Indiziata numero uno per la attuale confusione delle lingue, la retorica, spesso coinvolta nella polemica contro le fake news, viene rivalutata in un nuovo saggio di Andrea Granelli e Flavia Trupia, grazie alla consapevolezza che, per comunicare, il “come” sia altrettanto importante del “cosa”.
di Gian Piero Jacobelli
Se andate su Google e digitate le parole “Contro la retorica”, si aprirà una interminabile sequela di recriminazioni, che nelle loro diverse e talvolta contrastanti specificazioni lasciano intendere come il problema non sia questa o quella retorica, ma sia proprio la retorica in quanto tale: “Contro la retorica del sovranismo”, “Contro la retorica del populismo”, “Contro la retorica dell’ascolto”, “Contro la retorica del dubbio”, “Contro la retorica della resilienza”, “Contro la retorica dell’anonimato sul Web” e chi più ne ha più ne metta.
Si direbbe che la retorica, con tutto il suo codazzo ancellare – la ipocrisia, la menzogna, la falsità, la impostura e via dicendo – rappresenti, comunque la si consideri, il male peggiore del nostro tempo.
Per contro, a pensarci bene, sembra che nessuno, quanto meno nessuno che abbia la responsabilità di orientare, convincere, guidare gli altri, dalle organizzazioni più piccole, come quelle famigliari, alle organizzazioni più grandi, come le aziende, i partiti e lo stesso governo, possa fare a meno della retorica. Non a caso, si stanno moltiplicando i consulenti e le scuole che pretenderebbero di insegnare a esprimersi opportunamente ed efficacemente nelle diverse situazioni interpersonali o professionali, quasi che la forma sia ormai diventata più importante della sostanza.
Insomma, si può dire che la retorica sta diventando il vero specchio del nostro tempo: un tempo in cui alla diffuse crisi delle identità che si basano sui fatti, fa risconto una ricerca affannosa di identità che si basano sulle parole.
Non che le parole siano in linea di principio meno affidabili dei fatti, che tendenzialmente prima di farsi, si dicono. Il problema, se mai, è che spesso e volentieri verba volant, nel senso che vengono affermate e subito dopo smentite, giocando sui loro effetti a breve termine. Come impedire, dunque, che queste parole volino troppo e che si rivelino effimere quanto un flatus vocis?
Per rispondere a questo cruciale interrogativo, si stanno moltiplicando i libri dedicati alla retorica, con l’obiettivo di conferire a questa, che tradizionalmente era una delle più importanti discipline umanistiche, una maggiore consistenza sia epistemologica (la retorica come esercizio di conoscenza), sia metodologica (la retorica come esercizio di relazione).
Tra questi libri, ne vogliamo segnalare uno che ci sembra particolarmente interessante e degno di attenzione anche per la nostra rivista che al rapporto tra le parole e le cose, tra la teoria e la pratica, dedica molte delle sue riflessioni.
Questo libro si intitola La retorica è viva. E gode di ottima salute (FrancoAngeli 2019). I suoi autori sono Andrea Granelli, studioso della innovazione in tutti i suoi aspetti di merito e di metodo, e Flavia Trupia, consulente e docente di comunicazione.
Granelli e Trupia affrontano e riescono a rimuovere molte delle ambivalenze a cui abbiamo accennato a proposito delle perplessità che la retorica suscita nella cultura contemporanea, saltandole a piè pari: rilevando in maniera assai convincente come la retorica non sia qualcosa che si aggiunge al nostro modo di comportarci e di comunicare, ma costituisca il vero e proprio brodo di coltura, la matrice fondamentale di questo modo di essere.
Insomma, senza la retorica, non si va molto avanti, né nelle relazioni interpersonali, né in quelle istituzionali. Da questo punto di vista, sarebbe un errore madornale pensare alla retorica solo come un modo di parlare, alla stregua di quanto fanno prevalentemente le scuole di public speaking.
La retorica costituisce essenzialmente un modo di relazionarsi agli altri, anche senza conoscerli, ma atteggiandosi progressivamente secondo un costante e sensibile processo di feedback, allo scopo di non interrompere il canale di comunicazione, consentendo un duraturo scambio di informazioni e un aperto confronto di opinioni.
«La retorica», concludono gli autori del libro, andando dichiaratamente e, a nostro avviso, giustamente controcorrente, «ci impone di ascoltare l’altro, di metterci nei suoi panni, di decidere in precedenza su cosa vogliamo e possiamo cedere per andare incontro al nostro interlocutore. Il retore è sempre un negoziatore: in famiglia, sul lavoro, nel dibattito pubblico».