Di pari passo con l’invecchiamento della popolazione mondiale, aumentano i casi di pazienti affetti da disfunzioni motorie. Uno studio giapponese propone di utilizzare la realtà virtuale per restituire confidenza ai pazienti.
di Lisa Ovi
Fin dai primi passi, l’educazione motoria è il risultato di un accompagnamento, si tratti del genitore che insegna al figlio a camminare o del fisioterapista che sorregge e guida un paziente nel recuperare le capacità motorie perdute in seguito a traumi o malattie. In che modo questa relazione con un educatore facilita l’apprendimento motorio? Ed é possibile affidare il compito a delle macchine?
Sviluppare tecnologie capaci di stimolare il recupero del movimento è uno dei grandi temi degli ultimi decenni. Abbiamo visto esseri umani tornare a camminare grazie ad un impianto elettrico, esoscheletri mossi da impianti cerebrali, persino dispositivi elettronici capaci di porre rimedio a colonne vertebrali danneggiate.
Un nuovo studio, pubblicato dalla rivista Nature, presenta un nuovo metodo basato sulla realtà virtuale (VR) indirizzato sia alla riabilitazione che all’allenamento sportivo. Il suo autore, il professor professor Kazumichi Matsumiya della Tohoku University, sottolinea l’importanza di supportare la consapevolezza corporea non meno dei progressi motori.
La consapevolezza del corpo è il risultato del costante flusso di informazioni che questi invia al cervello per descriverne posizione e postura. Queste informazioni e la capacità di controllare il movimento sono parte integrante del senso di sé degli individui. Distinguere la consapevolezza di sé e padronanza di sé non è semplice, eppure il professor Kazumichi ha ritenuto importante sviluppare uno strumento che permettesse di determinare il peso di questi due fattori nel recupero del movimento.
L’utilizzo della realtà virtuale ha permesso ai partecipanti non solo di vedere e toccare il proprio corpo, ma anche di percepirlo. E mentre i soggetti osservavano l’immagine di una mano generata dal computer, Matsumiya ha ne misurava il loro senso di proprietà e di agenzia su quella mano.
Lo studioso ha potuto così concludere che il controllo motorio migliora quando i partecipanti sperimentano un senso di controllo sul corpo artificiale, indipendentemente dal fatto di riconoscerlo come proprio. Sviluppare una versione artificiale della percezione di poter controllare il movimento non può quindi che rafforzare l’efficacia dei piani di riabilitazione o di allenamento sportivo volti a conseguire un maggiore controllo motorio generale.
(lo)