L’estate 2020 non è stata una delle migliori per l’atmosfera. Sia la National Oceanic and Atmosferic Administration che lo Scripps Institution of Oceanography hanno misurato nuovi valori record per la concentrazione di CO2.
di Luca Longo
Nemmeno il coronavirus ce l’ha fatta. In tutto il mondo, il brusco rallentamento di tutte le attività produttive e lo stop ai mezzi di trasporto imposto dalla pandemia ha provocato grossi danni all’economia ed alla nostra vita, ma – purtroppo – l’impatto del lockdown sulle emissioni clima-alteranti è stato minimo e momentaneo.
Infatti, sia la National Oceanic and Atmosferic Administration
che lo Scripps Institution of Oceanography hanno misurato nuovi valori record per la concentrazione di CO2 in atmosfera già all’inizio di luglio 2020.
Dopo la delusione, possiamo consolarci perché è stato almeno dimostrato al di là di ogni possibile dubbio che la soluzione al riscaldamento globale non può essere quella di fermare semplicemente tutto il Pianeta.
Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dagli accordi di Parigi, dobbiamo compiere una vera e propria transizione energetica. Questa richiederà il rapido sviluppo di fonti di energia rinnovabile insieme a un altrettanto rapido abbandono dei combustibili fossili, a cominciare dal carbone. In particolare, un passaggio decisivo sarà la progressiva elettrificazione di macchine, motori e impianti che oggi funzionano grazie a combustibili fossili. L’elettricità dovrà provenire non da centrali termoelettriche che bruciano fossili – se no siamo di nuovo daccapo – ma da fonti rinnovabili, primi fra tutti il Sole e il vento.
Purtroppo, però, l’ International Renewable Energy Agency stima che al 2050 più della metà dei consumi proverrà da settori che non sarà possibile elettrificare.
Inoltre, occorrerà risolvere il problema di come bilanciare l’intermittenza delle fonti rinnovabili (di notte i pannelli solari non funzionano e in assenza di vento le pale eoliche sono ferme) con la variabilità della domanda di energia.
Infatti, a differenza dei combustibili, l’elettricità non si può conservare: occorre utilizzarla nel momento stesso in cui viene generata, se no è persa per sempre. Una soluzione per pareggiare il conto e permetterci di immagazzinare l’energia verde quando è disponibile per poi usarla quando serve, è quella delle batterie: si trasforma l’energia elettrica in energia chimica immagazzinandola nei legami fra molecole e metalli presenti nella batteria, per poi invertire la reazione e ritrasformarla in elettricità quando ne abbiamo bisogno. Purtroppo le batterie hanno numerosi svantaggi: usano spesso metalli rari, costosi e difficilmente reperibili, inquina produrle e smaltirle, sono pesanti e poco adatte ad essere utilizzate in tutti i dispositivi mobili.
L’idrogeno (per gli amici H2) può essere la molecola che ci aiuterà a vincere questa sfida: è un ottimo vettore energetico in forma di gas. Infatti, un solo kg di H2 è in grado di sviluppare 142 MJ di energia, contro i 56 del gas naturale, i 45-46 della benzina, del diesel o del kerosene, i 30-32 del carbone e i 16 della legna. Può essere trasportato con facilità lungo gasdotti anche se, essendo un gas, ha una densità più bassa dei combustibili fluidi o solidi.
Inoltre, l’idrogeno è l’elemento di gran lunga più abbondante di tutto l’Universo: il Sole e la stessa Via Lattea sono fatti per tre quarti di idrogeno. Ma l’asso di briscola dell’H2 è che non produce emissioni di CO2 o altri inquinanti!
Sulla Terra, l’idrogeno ha un solo grosso problema: anche se sulla superficie del nostro pianeta se ne trovano oceani interi, tutto questo idrogeno si trova in forma ossidata: si chiama … acqua.
Per poterlo utilizzare come vettore di energia, dobbiamo fornire elettricità all’acqua in un elettrolizzatore: un dispositivo che trasforma l’energia elettrica in energia di legame chimico smontando le molecole d’acqua, che sono molto stabili, per trasformarle in molecole di idrogeno e di ossigeno, entrambe molto reattive. Se poi facciamo funzionare l’elettrolizzatore al contrario, questo diventa una cella a combustibile che trasforma di nuovo l’energia chimica in energia elettrica consumando le molecole reattive H2 e O2 per produrre stabili molecole di H2O.
Per questo, dobbiamo considerare l’Idrogeno come un vettore per il trasporto e l’immagazzinamento dell’energia e non come a una fonte energetica – a meno che non riusciamo a procurarcelo direttamente sul Sole, dove si trova già allo stato non ossidato; ma è piuttosto distante e … decisamente molto caldo.
Ma torniamo sulla Terra: in un impianto a pannelli solari o in una centrale eolica, quando produciamo energia in eccesso rispetto alla domanda, possiamo deviare il surplus di elettricità a un elettrolizzatore alimentato ad acqua. Possiamo utilizzare o liberare l’ossigeno in atmosfera e immagazzinare l’idrogeno comprimendolo in bombole. Quando, viceversa, la domanda di energia supera la nostra capacità di produzione da rinnovabili, possiamo fare funzionare l’elettrolizzatore al contrario e trasformare di nuovo l’energia chimica in energia elettrica.
Oltre a impiegarlo per stabilizzare la rete elettrica – immagazzinando l’energia in eccesso prodotta dalle rinnovabili invece di sprecarla – oppure come carburante per automobili, camion, anche intere navi, l’idrogeno può alimentare processi industriali che richiedono grandi quantità di energia, come le acciaierie o l’industria del Silicio rendendo più ecocompatibili quelle produzioni.
Un altro aspetto positivo per l’idrogeno è l’efficienza di conversione: una cella a combustibile attuale per un veicolo a idrogeno già raggiunge l’efficienza del 60%, mentre per un motore a benzina questa è solo del 20%. Anche un moderno impianto termoelettrico a carbone ha un’efficienza del 45%; ma un 10% si perde lungo la linea elettrica prima di raggiungere gli utilizzatori.
A tutti questi aspetti positivi, se ne aggiunge uno negativo: al momento attuale il costo dell’Idrogeno è troppo alto rispetto alle tecnologie più tradizionali. Ma anche su questo abbiamo delle buone notizie. Nel 2000, produrre una certa quantità di energia bruciando petrolio, costava 40 volte meno che ottenerla usando idrogeno prodotto da fonti rinnovabili. Nel 2010 il rapporto era sceso a solo 10 e oggi l’energia da H2 green costa solo il doppio di quella da fossili.
La International Energy Agency prevede che già nel 2030 il prezzo dell’H2 scenderà di un altro 30% grazie all’aumento della produzione ma, soprattutto al miglioramento delle tecnologie rinnovabili e di quelle per la generazione di Idrogeno.
Ed allora avanti con la ricerca e lo sviluppo, finché non potremo conservare in barattolo un pezzettino di Sole per usarlo quando ci pare.
Leggi qui l’articolo originale
Foto: Una cella a combustibile. Fonte Eni