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    Ci aspetta un futuro di malattie autoimmuni?

    Si stanno raccogliendo sempre più prove che le infezioni da covid-19 producono autoanticorpi che in alcuni casi distruggono le cellule del paziente, esponendolo a seri danni per il resto della vita.

    di Adam Piore

    Quando Aaron Ring ha iniziato a testare campioni di sangue raccolti da pazienti con covid-19 che erano passati attraverso lo Yale-New Haven Hospital lo scorso marzo e aprile, si aspettava di vedere un tipo di proteina immunitaria nota come autoanticorpo almeno in alcuni di loro. Questo tipo di anticorpi ha la spiacevole caratteristica di attaccare i tessuti dell’organismo stesso e compare dopo alcune infezioni gravi.

    I ricercatori della Rockefeller University di New York City avevano già scoperto che alcuni pazienti con casi gravi di covid avevano copie di queste proteine immunitarie potenzialmente pericolose che circolavano nel sangue. Gli autoanticorpi preesistenti, probabilmente creati da infezioni precedenti, erano ancora in agguato e sembravano attaccare erroneamente altre proteine immunitarie, spiegando in parte perché alcune persone subivano gravi conseguenze a causa del covid-19.

    Aaron Ring, un immunologo di Yale, ha trovato una vasta gamma di autoanticorpi pronti ad attaccare gli organi del corpo umano. Yale University

    Tuttavia, ciò che Ring, un esperto di immunoterapia contro il cancro alla Yale University, ha rilevato nei suoi campioni di sangue lo scorso autunno lo ha spaventato a tal punto che ha smesso di mandare all’asilo la figlia di nove mesi e ha scelto l’isolamento per la sua famiglia. I ricercatori della Rockefeller avevano identificato un singolo tipo di anticorpo pronto ad attaccare le cellule immunitarie. 

    Ma Ring, utilizzando un nuovo metodo di rilevamento che aveva inventato, ha trovato una vasta gamma di autoanticorpi in grado di fare altrettanto, colpendo le proteine degli organi vitali dell’organismo e quelle del sangue. I livelli, la varietà e l’ubiquità degli autoanticorpi che ha trovato in alcuni pazienti lo hanno scioccato e ricordavano il quadro clinico che i medici potrebbero vedere nelle persone con malattie autoimmuni croniche che spesso portano a una vita di dolore e danni agli organi, incluso il cervello .”Mi ha sconvolto vedere pazienti con covid con livelli di autoreattività simili a una malattia autoimmune come il lupus”, egli dice.

    I test sugli autoanticorpi di Ring hanno mostrato che in alcuni pazienti, anche con casi lievi di covid, le proteine immunitarie “canaglia” stavano marcando le cellule del sangue per l’attacco mentre altre erano a caccia di proteine associate al cuore e al fegato. Alcuni pazienti sembravano avere autoanticorpi pronti ad attaccare il sistema nervoso centrale e il cervello. Il quadro era molto più inquietante di qualsiasi altra cosa identificata dagli scienziati Rockefeller. 

    I risultati di Ring sembravano suggerire un problema potenzialmente sistemico, nel senso che questi pazienti sembravano sfornare diverse varietà di nuovi autoanticorpi in risposta al covid, fino a quando il corpo non entrava in guerra con se stesso.

    Ciò che ha spaventato di più Ring è stato il fatto che gli autoanticorpi hanno il potenziale per durare tutta la vita. Questa possibilità ha sollevato una serie di domande inquietanti: quali sono le conseguenze a lungo termine per questi pazienti se i potenziali “assassini” sopravvivono all’infezione? Quanta distruzione potrebbero causare? E per quanto tempo?

    Anche se i vaccini fermeranno l’inesorabile diffusione del covid, si profila un’altra crisi di salute pubblica: la misteriosa e persistente condizione cronica che affligge alcuni sopravvissuti, spesso definita “long covid“. Circa il 10 per cento dei sopravvissuti alla malattia, molti dei quali hanno avuto solo lievi sintomi iniziali, non riescono a uscirne fuori.

    Spesso soffrono di estrema stanchezza, difficoltà respiratorie, “annebbiamento del cervello”, disturbi del sonno, febbri, sintomi gastrointestinali, ansia, depressione e una vasta gamma di altri sintomi. I responsabili politici, i medici e gli scienziati di tutto il mondo avvertono che innumerevoli milioni di giovani adulti altrimenti sani potrebbero affrontare decenni di problemi debilitanti.

    Le cause del long covid sono ancora misteriose, ma l’autoimmunità ora è in cima alla lista delle possibilità. E Ring crede che tra i più probabili colpevoli, almeno in alcuni pazienti, ci siano gli eserciti di autoanticorpi in fuga.

    Un sistema andato in tilt

    I medici in prima linea nella pandemia hanno quasi subito riconosciuto che la più grande minaccia per molti dei loro pazienti non era il virus stesso, ma la risposta dell’organismo ad esso. A Wuhan, in Cina, alcuni medici hanno notato che il sangue di molti dei loro pazienti più malati era inondato di proteine immunitarie note come citochine, un segnale SOS cellulare in grado di innescare la morte cellulare o un fenomeno noto come tempesta di citochine, dove l’organismo attacca i propri tessuti. 

    Si è pensato che le tempeste di citochine rappresentassero una sorta di risposta immunitaria apocalittica, simile a quando si sferra un attacco aereo sulla propria posizione ormai invasa dal nemico. Sebbene questo fenomeno fosse qualcosa che i medici avevano già avuto modo di vedere in altre condizioni, è diventato presto evidente che le tempeste di citochine prodotte dal covid-19 avevano un potere distruttivo insolito.

    Jean-Laurent Casanova, immunologo e genetista alla Rockefeller University, ha individuato per la prima volta gli autoanticorpi in agguato nel sangue di pazienti con gravi casi di covid. Rockefeller University

    All’inizio della pandemia, Jean-Laurent Casanova, immunologo e genetista alla Rockefeller University, ha deciso di dare un’occhiata più da vicino. Nel 2015, Casanova aveva dimostrato che molte persone che hanno contratto casi gravi di influenza portavano mutazioni genetiche che bloccavano la loro capacità di produrre un’importante proteina di segnalazione, chiamata interferone-1 (IGF-1), che consente ai pazienti di attivare un’efficace risposta immunitaria precoce. 

    L’interferone si chiama così, dice Casanova, perché “interferisce” con la replicazione virale informando le cellule vicine “che c’è un virus in giro e che dovrebbero chiudere le finestre e chiudere a chiave la porta”. Quando Casanova ha esaminato i pazienti con casi gravi di covid, ha scoperto che un piccolo ma significativo numero di coloro che soffrivano di polmonite critica presentava questi errori di battitura genetici che impedivano loro di produrre interferone. 

    Ma ha trovato anche qualcos’altro: un ulteriore 10 per cento dei pazienti covid con polmonite soffriva di deficit di interferone perché l’agente di segnalazione era stato attaccato e neutralizzato da autoanticorpi che, a suo parere, prbabilmente stavano circolando nel sangue dei pazienti prima che contrassero il covid. 

    Tuttavia, in risposta all’infezione da covid, questi autoanticorpi persistenti si erano replicati in gran numero e avevano attaccato il cruciale segnale di allerta prima che potesse dare l’allarme. Quando finalmente il sistema immunitario si era messo in marcia, era così indietro che ha fatto ricorso alla sua ultima opzione: una pericolosa tempesta di citochine.

    “Gli autoanticorpi esistono già: la loro creazione non è innescata dal virus”, spiega Casanova. Ma una volta che una persona è stata infettata, sembra che si moltiplichino in gran numero, causando un’infiammazione polmonare e sistemica catastrofica. I risultati di Casanova, pubblicati a settembre su “Science”, indicavano che molti pazienti covid critici potevano essere salvati con farmaci esistenti ampiamente disponibili, vale a dire  tipi di interferone sintetico in grado di eludere gli autoanticorpi e mettere in moto il sistema immunitario abbastanza presto da evitare una tempesta di citochine.

    Ma i risultati hanno anche fatto riferimento a qualcosa che ha alimentato l’ansia di Ring: la capacità degli autoanticorpi, una volta in circolazione, di restare e rappresentare una minaccia continua. Qualcosa di nuovo ha preoccupato Ring. Mentre Casanova attribuiva gli anticorpi canaglia all’eredità di una precedente infezione, i dati di Ring suggerivano che fosserpo creati dal covid stesso.   

    Ring ha rapidamente confermato i risultati di Casanova in alcuni dei suoi pazienti. Ma quello era solo l’inizio, poiché la sua tecnica di rilevamento, utilizzata in una prima fase nella terapia immunologica del cancro, poteva testare la presenza di anticorpi diretti contro una qualsiasi delle 2.688 proteine umane.

    Ring ha trovato anticorpi che mirano ad altri 30 importanti agenti di segnalazione oltre all’interferone, alcuni dei quali svolgono un ruolo essenziale nell’indicare i punti che le cellule immunitarie dovevano attaccare. C’erano anche anticorpi contro un certo numero di proteine specifiche per organi e tessuti, alcune delle quali sembravano spiegare alcuni sintomi di covid. A differenza degli autoanticorpi di Casanova, quelli di Ring sembravano nuovi di zecca.

    Sul suo computer, Ring può visualizzare diversi grafici che mostrano la popolazione di 15 diversi autoanticorpi trovati in alcuni pazienti con il progredire dell’infezione. Proprio come ha descritto Casanova, gli anticorpi contro l’interferone sono chiaramente visibili nel sangue quando i pazienti vengono testati per la prima volta in ospedale. Questi numeri rimangono alti man mano che l’infezione progredisce. Ma Ring ha scoperto che la traiettoria è abbastanza diversa per gli altri autoanticorpi.

    Nei campioni iniziali, gli autoanticorpi, ad eccezione di quelli contro l’interferone, sono inesistenti o non rilevabili nel sangue. Compaiono per la prima volta nei successivi campioni di sangue e continuano ad aumentare man mano che l’infezione persiste. Ciò sembra confermare la peggiore paura di Ring, vale a dire che gli autoanticorpi fossero creati dal covid. “Questi sono chiaramente acquisiti di recente, non ci sono dubbi”, spiega, indicando una linea di autoanticorpi in aumento. “Sono emersi durante il corso dell’infezione. L’infezione ha innescato l’ autoimmunità”.

    Nella maggior parte di questi pazienti, gli autoanticorpi sono tornati a livelli non rilevabili nei successivi campioni di sangue. Ma in alcuni, gli autoanticorpi sono rimasti elevati al momento dell’ultimo test, in alcuni casi più di due mesi dopo l’infezione. Alcuni di quei pazienti hanno sviluppato un long covid.

    Un attacco a tutto campo

    Perché compaiono questi nuovi autoanticorpi? Sono emersi alcuni indizi significativi. A ottobre, un team di ricercatori guidato da Ignacio Sanz, un esperto di lupus della Emory University, ha documentato un fenomeno nel sistema immunitario di molti pazienti con covid grave che si osserva spesso durante le fasi di riacutizzazione del lupus.

    Questo fenomeno si verifica nelle cellule immunitarie specializzate note come cellule B, che producono anticorpi. Al fine di aumentare rapidamente la produzione delle cellule B necessarie per combattere il virus del covid, spiega Sanz, il sistema immunitario di alcuni pazienti sembra prendere una scorciatoia pericolosa nel processo biologico che di solito determina quali anticorpi il corpo genera per combattere una specifica infezione.

    Normalmente, quando un virus invasore innesca una risposta immunitaria, le cellule B si dispongono in strutture autonome nei follicoli dei linfonodi, dove si moltiplicano rapidamente, mutano e diventano un esercito immunitario di miliardi di elementi, ognuno con una copia della sua firma proteica anticorpale sulla sua superficie. Non appena ciò accade, tuttavia, le cellule si lanciano in un balletto mortale a livello molecolare, in competizione per legarsi con un piccolo numero di frammenti virali per vedere qual è più adatto all’attacco.

    Le cellule perdenti iniziano immediatamente a morire a milioni. Alla fine, solo le cellule B con l’anticorpo che forma il legame più forte con il virus invasore sopravvivono per essere rilasciate nel flusso sanguigno. È una buona cosa che le altre non lo facciano, spiega Sanz, perché ben il 30 per cento degli anticorpi prodotti nella corsa per combattere un virus invasore prenderà di mira parti del corpo che il sistema è progettato per proteggere.

    Quando Sanz ha esaminato il sangue di pazienti con covid grave, ha scoperto che molti hanno creato rapidamente anticorpi per combattere il virus. Ma la maggior parte di questi anticorpi è stata prodotta moltiplicando rapidamente le cellule B generate al di fuori del normale processo di eliminazione. Sanz aveva già visto questo fenomeno nel lupus e molti credevano che fosse un segno distintivo della disfunzione immunitaria.

    Eline Luning Prak, professore all’ospedale dell’Università della Pennsylvania, dice di non essere sorpresa. Luning Prak, esperta di malattie autoimmuni, osserva che quando l’organismo è in crisi, i normali controlli possono essere allentati. “Questa è quella che io chiamo una risposta immunitaria in cui c’è bisogno dell’aiuto di tutti”, ella dice. “Quando si sta per morire a causa di una dilagante infezione virale, il sistema immunitario reagisce con qualsiasi cosa ha a disposizione.

    Ancora un mistero

    A marzo, James Heath, presidente dell’Institute for Systems Biology di Seattle, ha lavorato con una lunga lista di eminenti immunologi per pubblicare quello che ritiene essere il primo documento scientifico che fornisce un quadro clinico del sistema immunitario dei pazienti due o tre mesi dopo l’infezione. 

    Heath e i suoi colleghi hanno scoperto che le persone che sono sopravvissute hanno intrapreso uno tra quattro diversi percorsi. Due gruppi di pazienti hanno sperimentato guarigioni complete: un gruppo da covid acuto grave e un secondo dalla forma più lieve della malattia. Altri due gruppi, uno con una forma di covid grave e l’altro con sintomi iniziali lievi, hanno continuato a sperimentare una sostenuta attivazione immunitaria.

    La stragrande maggioranza dei pazienti studiati da Heath deve ancora riprendersi completamente. Solo un terzo”, spiega, “è come se fosse guarito”. Ma cosa sta causando esattamente questa continua reazione immunitaria, che si tratti di malattie autoimmuni e autoanticorpi o qualcos’altro, è “la domanda da un milione di dollari”. 

    Per Heath, la presenza persistente di anticorpi autoaggressivi, come quelli trovati da Ring e altri, sembra l’ipotesi principale. A suo parere, tuttavia, i sintomi cronici potrebbero anche essere causati da resti non rilevabili del virus che mantengono il sistema immunitario in uno stato di attivazione di basso livello.

    Alla fine, Heath pensa che ciò che chiamiamo long covid potrebbe benissimo essere qualcosa di più di un disturbo causato dall’infezione iniziale. “Di sicuro, il sistema immunitario si sta attivando contro qualcosa e se lo faccia o meno da solo, che è la differenza tra autoimmune e altro, è una questione aperta. Probabilmente cambia da persona a persona”. Luning Prak concorda sul fatto che la causa del long covid potrebbe essere diversa in differenti pazienti.

    “Cosa potrebbe causare il long covid? Bene, una possibilità è che si abbia una malattia virale e che si subisca un danno residuo da quella”, ella sostiene. “Un’altra possibilità è che si abbia l’autoimmunità. Una terza possibilità è un qualche tipo di infezione cronica. Queste tre ipotesi lasciano comunque spazio al virus.  È un’idea davvero spaventosa e inquietante per la quale abbiamo pochissime prove”. Inoltre, conclude, tutte e tre potrebbero rivelarsi vere.

    Perché rischiare?

    Sebbene il colpevole (o i colpevoli) dietro al long covid rimanga un mistero, il lavoro svolto da Ring, Heath, Luning Prak e altri potrebbe presto darci un’idea migliore di ciò che sta accadendo. Ring nota, per esempio, che un numero crescente di segnalazioni di pazienti in cui la malattia persiste suggerisce che in alcuni casi il vaccino sembra curarli.

    L’immunologa di Yale Akiko Iwasaki ipotizza che il long covid possa essere causato dalla presenza di residui virali. Peter Baker

    La collega di Ring, Akiko Iwasaki, immunologa di Yale e coautrice del suo articolo sugli autoanticorpi, ipotizza che se il long covid è causato dalla presenza di residui virali, il vaccino potrebbe aiutare a eliminarli inducendo più anticorpi virali specifici. E se la causa sono gli autoanticorpi, spiega, la specificità del vaccino – che è progettato per addestrare il sistema immunitario a colpire il virus – potrebbe mobilitare una risposta talmente forte che altre componenti del sistema intervengono a inibire gli autoanticorpi.

    Tutto questo rimane una speculazione scientifica. Ma Ring spera che lui e i suoi collaboratori ottengano presto delle risposte. Sono in procinto di raccogliere campioni di sangue da pazienti con long covid da cliniche in tutto il paese, alla ricerca di segni rivelatori di autoanticorpi e altre indicazioni di disfunzione immunitaria.

    Nel frattempo, Ring non vuole che sua figlia corra rischi.

    Immagine di: Daniel Zender

    (rp)

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