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    Il lavoro invisibile

    L’antropologa Mary Grey parla del suo ultimo libro, in cui descrive le condizioni, spesso ai limiti dell’accettabile, di chi sta dietro le quinte della gig economy.

    di Karen Hao

    Qualche giorno fa, il Guardian ha pubblicato un articolo sulle condizioni di lavoro del personale di Google Assistant. Dietro la “magia” della sua capacità di tradurre 26 lingue si trova un enorme gruppo di linguisti, a loro volta subappaltatori, che devono etichettare noiosamente i dati necessari al suo funzionamento. Queste persone guadagnano salari bassi e sono regolarmente costretti a lavorare in orario non retribuito. Le loro rimostranze sulle condizioni di lavoro non sono mai state recepite.

    È solo una storia tra dozzine che hanno iniziato a sollevare il sipario su come funziona l’industria dell’Intelligenza Artificiale. Gli operatori umani non si limitano a etichettare i dati per l’intelligenza artificiale, ma sono l’intelligenza artificiale. Dietro l’IA di Facebook ci sono migliaia di moderatori di contenuti; dietro Amazon Alexa si cela una squadra globale di trascrittori e dietro Google Duplex ci sono a volte umani che imitano l’Intelligenza Artificiale che imita gli umani. L’Intelligenza Artificiale non si affida alle polverine magiche, ma a lavoratori invisibili che addestrano gli algoritmi senza sosta fino a quando non hanno automatizzato i propri lavori.

    Nel loro nuovo libro Ghost work: how to stop Silicon Valley from building a new global underclass, l’antropologa Mary Gray e l’informatico Siddharth Suri sostengono che chiunque di noi potrebbe essere il prossimo candidato a questa sorte. Karen Hao incontrato Gray per discutere perché del lavoro dei “fantasmi” e di come la loro invisibilità li renda più vulnerabili.

    Mi può dare una definizione del ghost work?

    E’ un lavoro che potrebbe essere, almeno in parte, pianificato, gestito, spedito e costruito attraverso un’interfaccia di programmazione di applicazioni e Internet. Probabilmente diventa un lavoro fantasma qualora si parta dall’assunto che non ci sono umani coinvolti in quel ciclo e che si tratta di un software per certi versi “magico”.

    Quindi la definizione dipende proprio da come viene commercializzato il prodotto o il servizio finale.

    Si. Il prodotto finale di per sé non è intrinsecamente cattivo o buono. Sono le condizioni di lavoro che lo rendono cattivo o buono. Fornire un servizio come quelli che descriviamo nel libro, sottotitolare una traduzione o organizzare gli algoritmi di addestramento, vengono troppo spesso considerati lavori banali, anche se faticosi. Si pensi, per esempio, alla moderazione dei contenuti. Viene considerata come una pratica ripetitiva, ma dal punto di vista di chi se ne occupa è un lavoro che implica creatività, intuizione e capacità di giudizio. Il problema è che non viene riconosciuta l’importanza della persona per arrivare a determinati risultati, creando in tal modo condizioni di lavoro insostenibili.

    Le aziende hanno una lunga storia di sfruttamento del lavoro delle comunità meno protette, come nel caso dell’industria della moda. C’è qualcosa che caratterizza queste nuove figure invisibili, suscitando, se possibili, ancora più motivi di preoccupazione?

    In un certo senso, si tratta sempre di sfruttamento. Ma, a mio parere, il cambiamento radicale è che in precedenza non ci sono mai state industrie che abbiano venduto il lavoro a contratto sotto forma di automazione. Il consumatore non riesce più a risalire la catena di approvvigionamento, come nel tessile, nell’alimentare e nell’agricoltura, ed ha difficoltà a capire che c’è dietro una persona che lavora. Mi vengono i brividi solo a pensare che questo meccanismo venga esteso a chi vende servizi di informazione, cancellando la presenza di migliaia di lavoratori che partecipano attivamente al ciclo economico. Ciò rende anche particolarmente difficile per i lavoratori organizzarsi e recuperare potere contrattuale.

    Sta dicendo che la società non si rende conto dell’esistenza di questi lavoratori?

    Esattamente. Nel corso degli anni, molte industrie hanno fatto affidamento su lavoratori temporanei. Ma ora si è costruita un’intera economia su questo tipo di lavoro. Non si sente più dire: “Appalto una parte del lavoro a collaboratori a tempo determinato e chi ha il posto fisso svolge la maggior parte del lavoro”. E’ un fenomeno radicale. Gran parte della nostra economia non si affida più al lavoro d’ufficio. Non si passa più da un lavoro determinato a uno a tempo pieno e stabile. Stiamo parlando dello smantellamento del lavoro fino a oggi conosciuto.

    In effetti, l’aspetto che più mi ha sorpreso del suo libro è quante persone altamente istruite stiano facendo un lavoro “invisibile”.

    Il grande paradosso dei servizi di informazione on-demand è che non possono essere facilmente automatizzati. Qualsiasi lavoro che coinvolga l’offerta di un servizio richiede intelligenza e attenzione, quindi l’educazione universitaria è diventata un requisito fondamentale.

    Quali cambiamenti su larga scala si devono verificare per non rimanere tutti inghiottiti dal lavoro invisibile?

    Essere dipendenti dal lavoro a contratto significa essenzialmente essere legati alla disponibilità delle persone. Quindi l’intervento fondamentale di cui hanno bisogno i lavoratori e le imprese è quello di ricostruire il contratto sociale per l’occupazione intorno al valore della disponibilità. Ciò presuppone che tutti gli adulti in età lavorativa abbiano il potenziale per partecipare alla nostra economia e che abbiano valore proprio perché sono in grado di rispondere a quanto viene chiesto. In questo momento si cerca, in particolare negli Stati Uniti, di capire come creare lavoro a tempo pieno. Ci si dovrebbe invece chiedere: “Quali sono le garanzie da assicurare a chi partecipa a questo nuovo tipo di economia?” Questi lavoratori hanno bisogno soprattutto di alcune cose: accedere all’assistenza sanitaria; godere di un periodo di ferie retribuito; accedere a spazi di co-working protetti; accedere alla formazione continua per ampliare le proprie capacità. Oltre a ciò, chi lavora a contratto deve poter controllare tre cose: il tempo, le opportunità e le possibilità di contribuire a reti diverse di collaboratori che insegneranno loro nuove cose da applicare ai progetti futuri. Se si offrono loro le condizioni essenziale per partecipare allo sviluppo dell’economia, vale a dire rendere possibile entrare e uscire dal mercato, ammalarsi e curarsi, mettere su una famiglia, apprendere nuove capacità, saranno in grado di diventare visibili.

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