Dieci senatori democratici, compresi i candidati presidenziali Kamala Harris, Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, hanno chiesto a Google di trasformare il suo esercito di lavoratori temporanei in dipendenti a tempo pieno.
di Angela Chen
In una lettera al CEO di Google Sundar Pichai, i senatori democratici hanno scritto che “le differenze tra le categorie di lavoratori sembrano essere solo nominali”, e quindi l’azienda dovrebbe “trattare tutti i lavoratori di Google allo stesso modo”.
Inoltre, chiedono a Google, tra le altre cose, di assumere a tempo pieno i dipendenti temporanei dopo sei mesi, garantire salari e benefici uguali a tutti i tipi di dipendenti e dare in appalto solo lavori che non sono già svolti da chi presta servizio a tempo pieno.
La lettera arriva alla fine di una crescente ondata di preoccupazione per le condizioni di lavoro nel settore tecnologico. Viene citato in particolare un articolo del “New York Times” sulla “forza lavoro ombra” di Google di 121.000 lavoratori temporanei che supera i suoi 102.000 lavoratori a tempo pieno (a marzo).
Sono contenuti anche riferimenti a un’indagine sulle condizioni lavorative estenuanti dei moderatori dei contenuti di Facebook e a un recente libro dell’antropologa Mary L. Gray sui “lavoratori fantasma” o il sottobosco di collaboratori che sono l’ossatura del comparto tecnologico.
Si parla ormai sempre più frequentemente di sindacati dei lavoratori del settore tecnologico. Il candidato presidenziale democratico Pete Buttigieg ha recentemente sostenuto che i lavoratori della gig economy (molti dei quali lavorano per aziende tecnologiche come Uber) dovrebbero avere il diritto di associarsi in sindacati.
I senatori hanno dato tempo fino al 9 agosto per rispondere, ma l’azienda ha già fatto capire di non essere d’accordo. Google, in una lettera inviata da un suo dirigente ai senatori, afferma di non ledere i diritti dei collaboratori e che la qualifica di lavoratore temporaneo non significa il diritto all’accesso a un lavoro a tempo pieno.
In conclusione, è improbabile che la lettera abbia un impatto immediato, ma è la prova più evidente che le Big Tech sono nel mirino della politica.
Foto: Sundar Pichai, CEO di GoogleAP/Jeff Chiu