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    Nuove regole per la gig economy

    Da pochi giorni, la California ha approvato un disegno di legge secondo cui i lavoratori dovranno essere designati come «dipendenti» e non più come «appaltatori indipendenti» se il loro lavoro fa parte delle normali attività aziendali.

    di Angela Chen

    Si tratta di un duro colpo per le aziende, come Uber e Lyft, che hanno al loro servizio manodopera con mansioni estremamente differenti, come autisti, rider, bidelli, operai e l’inizio di una lunga battaglia.

    Un portavoce di Uber ha già dichiarato che non concederà questa nuova qualifica ai suoi lavoratori perché gli autisti non sono “una parte fondamentale” della sua attività (Il nuovo disegno di legge, chiamato AB5, chiarisce che le persone sono dipendenti se il loro lavoro è fondamentale per l’azienda).

    Uber, Lyft e DoorDash hanno anche stanziato 90 milioni di dollari per finanziare una campagna per consentire ai residenti di votare se questi lavoratori debbano avere una nuova qualifica, che non sia né quella di dipendente né quella di appaltatore indipendente.

    Sebbene non sia utilizzata negli Stati Uniti, questa “terza categoria” è stata implementata in altri paesi e, in alcuni casi, i risultati sono materia di riflessione. 

    Ma cosa implica la nascita di questa terza categoria di lavoratori?

    Negli Stati Uniti, la definizione e i diritti esatti di un “dipendente” possono variare a livello statale, ma ci sono solo due categorie di lavoratori: impiegati e a contratto. Altri paesi, tuttavia, hanno più classificazioni. Regno Unito, Spagna, Germania, Canada, Italia e Corea del Sud riconoscono tutti questa categoria intermedia, secondo Miriam Cherry, esperta di diritto del lavoro presso l’Università di St. Louis. Hanno nomi diversi, come “lavoratore” nel Regno Unito o “trade (Trabajador por cuenta ajena económicamente dependiente)” in Spagna.

    Qual è la posta in gioco? Che diritti hanno i lavoratori di questa nuova categoria?

    I dipendenti di solito ricevono un salario minimo federale e, tra le altre indennità, congedi per malattia, ferie retribuite e contributi previdenziali e sanitari. Il contraente indipendente non ha diritto a questi benefici. Inoltre, non può fare causa per molestie sessuali o discriminazione di genere ai sensi della legge federale perché le leggi sui diritti civili sul luogo di lavoro si applicano solo ai dipendenti.

    Non esiste una regola rigida per i diritti dei lavoratori della terza categoria. In alcuni paesi ricevono il salario minimo e in altri no. In Europa, argomento di contesa sono state le ferie retribuite. “I sindacati e i lavoratori hanno lottato per conquistarle, ma i datori di lavoro si sono opposti”, spiega Cherry. Ma gli Stati Uniti non hanno comunque politiche generose sul tema ferie, quindi non rappresentano un problema di fondo.

    Un’altra grande domanda è se i lavoratori di terza categoria potranno avere un loro sindacato. A livello federale, i contraenti indipendenti non sono autorizzati a creare sindacati, ma Uber e Lyft hanno affermato che accetterebbero la contrattazione settoriale, consentendo agli autisti di avere un contratto collettivo. 

    Prima che passasse la legge della California, le aziende avevano negoziato offrendo un nuovo salario minimo di 21 dollari all’ora (ma solo quando un passeggero è in macchina, quindi il tempo speso per cercare i passeggeri non viene calcolato).

    Cherry evidenzia che può essere estremamente difficile stabilire i confini di una terza categoria. “In pratica”, ella spiega, “non si possono concedere tutti i diritti, quindi si deve decidere cosa togliere e non è affatto semplice. Devo dire che sono contrario a questo modo di procedere”.

    Come ha funzionato la terza categoria in altri paesi?

    I risultati sono stati misti. Nel Regno Unito, i lavoratori della gig economy hanno conquistato stipendi minimi e ferie pagate. Ma in Italia, molte aziende hanno semplicemente trasferito i loro dipendenti a tempo pieno nella nuova categoria, privandoli di una serie di benefici.

    Da parte sua, Shona Clarkson, organizzatrice della campagna di attivisti Gig Workers Rising, afferma che le proposte delle aziende di sharing economy sono “una versione annacquata di ciò che gli autisti chiedono da anni” e di certo non soddisfano le loro esigenze.

    Gig Workers Rising continuerà a lottare affinché gli autisti diventino impiegati a pieno titolo, afferma, aggiungendo che la campagna da 90 milioni di dollari è la prova che “queste aziende hanno paura”.

    Foto :Sean Gallup | Getty

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