La scienziata che ha avanzato l’ipotesi della fuga accidentale del virus da un laboratorio cinese ha intenzione di cambiare il suo nome e tornare a fare una vita normale.
di Antonio Regalado
Alina Chan ha iniziato a fare domande nel marzo 2020. Stava chattando con gli amici su Facebook sul virus che si stava diffondendo dalla Cina. Le sembrava strano che la gente dicesse che provenisse da un mercato alimentare all’aperto. Se era così, perché nessuno aveva trovato animali infetti? Si chiese perché nessuno ammettesse un’altra possibilità, che le sembrava molto ovvia: l’epidemia poteva essere stata causata da un incidente di laboratorio.
Chan sta finendo la specializzazione in un laboratorio di terapia genica presso il Broad Institute, un prestigioso istituto di ricerca a Cambridge, nel Massachusetts, affiliato sia ad Harvard che al MIT. Ha lavorato in alcuni laboratori e sa che non sono posti perfetti. In effetti, è stata spesso lei a parlare di ciò che non andava. Infatti, è stata coinvolta in una denuncia di irregolarità sulle condizioni di lavoro in un laboratorio ad Harvard. Chan ha sempre preso posizione, anche se non l’ha di certo aiutata a far carriera.
La discussione su Facebook è iniziata quando una delle sue amiche ha diffuso un articolo pubblicato da cinque virologi senior sulla rivista “Nature Medicine”, intitolato The Proximal Origins of SARS-CoV-2, che analizzava le probabili fonti del nuovo virus. Gli autori dell’articolo hanno esaminato attentamente il genoma del virus del covid-19 e hanno affermato di non aver trovato alcun segno che fosse stato appositamente progettato.
Un amico ha detto a Chan che la rivista avrebbe dovuto “mettere a tacere” tutte le teorie del complotto. Ma quando ha letto l’articolo, ha visto da subito un problema. Pur contestando la possibilità che il virus fosse il prodotto di un’ampia ingegneria genetica, avevano escluso altri scenari più semplici. Per esempio, un normale virus presente nei pipistrelli in natura, se portato a Wuhan, poteva essere sfuggito in qualche modo.
La sua opinione è ora ampiamente condivisa. Ciò è dovuto in parte al suo account Twitter. Per tutto il 2020, Chan ha prodotto materiali e alimentato dubbi scientifici, a volte aggiungendo un GIF di un unicorno per evidenziare ricerche che trovava poco plausibili. Molti scienziati credevano tranquillamente che fosse possibile una fuga del virus da un laboratorio, se non altro perché il centro mondiale di ricerca sui virus dei pipistrelli simile a SARS-CoV-2, l’Istituto di virologia di Wuhan, si trova a poco più di 10 km da dove sono stati osservati i primi casi dell’epidemia. Ma non c’erano prove reali, e andare controcorrente non paga, come mi ha detto un esperto virologo.
Chan non ha avuto paura di schierarsi contro i migliori virologi del mondo e la sua perseveranza ha aiutato a cambiare le menti di alcuni ricercatori. Il capovolgimento del pensiero è stato così netto che le organizzazioni dei media stanno aggiornando i vecchi articoli in cui si bollava l’idea della fuoriuscita fortuita del virus come teoria della cospirazione. A maggio, il presidente Biden ha ordinato alle agenzie di intelligence di condurre una nuova indagine sull’origine del virus entro la fine dell’estate.
“Penso che il mio obiettivo sia stato raggiunto”, afferma Chan. “Volevo solo che le persone indagassero, prendessero la cosa sul serio. Il mio lavoro è finito e voglio tornare a una vita normale”.
Non è probabile che accada presto.
Chan è richiesta dai programmi televisivi e radiofonici e ha appena firmato un accordo con HarperCollins per scrivere un giallo sulla ricerca delle origini del covid-19, in collaborazione con lo scrittore scientifico britannico Matt Ridley. Deve anche sopportare le conseguenze dell’accusa alla Cina, in effetti, di uno dei più grandi misfatti della storia. Mi ha detto che dopo la pubblicazione del libro, ha intenzione di cambiare nome e cercare di continuare tranquillamente la sua carriera scientifica.
Chan ha anche provocato reazioni sgradevoli, come i messaggi in cui viene definita una “traditrice della razza”. Etnicamente Chan è in parte cinese, ma è nata in Canada ed è cresciuta a Singapore, da dove proviene la sua famiglia che lavora nel settore della tecnologia dell’informazione. Dice che il motto a casa era: “Non metterti nei guai. Evita di parlare di politica”. Chan è tornata in Canada a 16 anni per frequentare l’Università della British Columbia dove ha conseguito il dottorato. Alla fine ha dovuto decidere quale nazionalità mantenere, optando per il passaporto canadese.
Prima di incontrarla di recente al Broad Institute, abbiamo organizzato l’incontro sull’app crittografata Signal. Non voleva dire a quale piano lavorava quindi ci siamo incontrati fuori dall’edificio. Ha detto agli amici che il governo cinese potrebbe darle la caccia e che il suo obiettivo in questo momento è rimanere in vita e non essere hackerata. (Si veda link)
“Ci sono alcuni problemi di sicurezza”, dice il suo capo al Broad, Ben Deverman. The Broad è il principale istituto negli Stati Uniti per lo studio della genetica umana, con un budget di 500 milioni di dollari l’anno. Il laboratorio di Deverman studia come modificare i virus che potrebbero essere utilizzati nella terapia genica.
“Penso che probabilmente abbia fatto più di chiunque altro nel coinvolgere il pubblico. Il suo punto di vista non è mai cambiato, ma quello degli altri sì”. Ciò include le persone all’interno dell’istituto, che hanno sostenuto la sua libertà di parola, ma le hanno chiesto di mantenere uno rigorosa distanza tra il suo lavoro e le sue attività su Twitter.
Come altri giornalisti interessati all’idea del lab-leak, seguo Chan dallo scorso maggio. E’ una figura unica tra chi indaga sul mistero, ha lavorato in una vera istituzione scientifica e non sembra avere motivi di altro tipo per portare avanti la sia idea. È intelligente e amichevole. “Non c’è dubbio che ha contribuito a portare la discussione sull’origine del virus da un laboratorio a un livello tale che più persone sono disposte a parlarne, non solo teorici della cospirazione”, afferma Jonathan Eisen, che studia l’evoluzione dei microbi all’Università della California, a Davis, ed è anche attivo nelle discussioni sui social media sulle origini del covid. (Si veda link)
L’ovvio problema con la teoria della fuga delk virus dal laboratorio, tuttavia, è che non ci sono prove concrete al riguardo. Chan non ha una visione particolare su come potrebbe essere accaduto esattamente un incidente, per esempio se uno studente si è ammalato in una grotta di pipistrelli o la ricerca segreta per infettare i topi con un nuovo virus è andata male. Dopo aver letto i post di Chan, ho notato che molte delle sue affermazioni non si riferiscono nemmeno a prove dirette; più spesso ruotano attorno alla loro assenza.
Tende a sottolineare cose che i ricercatori cinesi non hanno fatto o detto, fatti importanti che non hanno rivelato rapidamente, l’animale di mercato infetto che non hanno mai trovato o un database che non è più online. Sta chiaramente suggerendo che c’è un insabbiamento e, quindi, un complotto per nascondere la verità.
Un virus preadattato
Lo scorso febbraio, quando importanti scienziati si sono riuniti per analizzare il genoma del virus, hanno finito per pubblicare due lettere. Una, su “The Lancet”, in cui viene respinta la possibilità di un incidente di laboratorio come una “teoria della cospirazione” (i suoi autori includevano uno scienziato che ha finanziato la ricerca presso il laboratorio di Wuhan). L’altra era Proximal Origins su “Nature Medicine”, scritta da Kristian Andersen, un biologo evoluzionista dello Scripps Research Institute di La Jolla, in California. Andersen e i suoi coautori hanno esaminato il genoma del virus e hanno discusso il motivo per cui era molto probabile che fosse un evento naturale, supportato da prove simili a quelle per altri trovati in natura.
Le 30.000 lettere genetiche in quel genoma rimangono l’indizio più studiato sull’origine del virus. I coronavirus spesso si scambiano parti, un fenomeno chiamato ricombinazione. Andersen ha scoperto che tutti i componenti del virus erano stati visti prima in campioni raccolti negli anni da animali. A suo parere, l’evoluzione avrebbe potuto produrlo. L’Istituto di Wuhan aveva ingegnerizzato geneticamente virus di pipistrello per esperimenti scientifici, ma il genoma SARS-CoV-2 non corrispondeva a nessuno dei virus “a telaio” preferiti utilizzati in quegli esperimenti e non conteneva altri evidenti segni di ingegneria.
Secondo Clarivate, un’azienda di analisi di dati, la lettera di “Nature Medicine” è stata il 55esimo articolo più citato del 2020, con oltre 1.300 citazioni nelle riviste tracciate. Le registrazioni delle e-mail avrebbero successivamente mostrato che, a partire da gennaio 2020, la lettera era stata oggetto di messaggi urgenti e di alto livello e teleconferenze tra gli autori delle lettere, Anthony Fauci, capo del National Institute of Allergy and Infectious Disease, un gruppo di autorevoli virologi e il capo del Wellcome Trust, un’importante organizzazione di finanziamento della ricerca farmaceutica nel Regno Unito.
All’inizio, gli autori si erano preoccupati dell’origine sospetta del virus prima di convenire rapidamente attorno a un’analisi scientifica a sostegno di una causa naturale. Inizialmente uno dei loro obiettivi era quello di annullare le voci secondo cui il virus fosse un’arma biologica o il risultato di un esperimento d’ingegneria andato male, ma alla fine si sono spinti oltre e hanno dichiarato di escludere la possibilità di qualsiasi scenario legato a un laboratorio.
Lavorando da casa sua in Massachusetts, Chan ha presto trovato un modo per far rivivere la teoria degli incidenti di laboratorio cercando differenze con la SARS, un virus simile che è scoppiato nel 2002, ma ha causato solo circa 8.000 infezioni. Con Shing Zhan, specialista in bioinformatica dell’Università della British Columbia, Chan ha esaminato i primi casi umani di covid e ha visto che il nuovo virus non era mutato così velocemente come la SARS.
Se fosse stato un virus animale proveniente da un mercato, pensò, il suo genoma avrebbe mostrato segni di adattamento più rapidi al suo nuovo ospite umano. Ha preparato un’analisi sostenendo che il virus era “preadattato” agli esseri umani e ha offerto alcune teorie sul perché. Forse si era diffuso inosservato in altre persone in Cina. O forse, ha pensato, era cresciuto in un laboratorio da qualche parte, moltiplicandosi nelle cellule umane o nei topi transgenici a cui erano stati uniti geni umani.
La possibilità che un virus non ingegnerizzato possa essersi “adattato agli esseri umani mentre veniva studiato in un laboratorio”, ha scritto, “dovrebbe essere considerata, indipendentemente da quanto sia probabile o improbabile”. Il 2 maggio 2020, Chan ha pubblicato un documento prestampato, scritto insieme a Deverman e Zhan, sul sito web bioRxiv, in cui si comunicano risultati che non sono ancora stati esaminati da altri scienziati.
“Le nostre osservazioni suggeriscono che quando SARS-CoV-2 è stato rilevato per la prima volta alla fine del 2019, era già preadattato alla trasmissione umana”, hanno scritto. Il dipartimento delle comunicazioni del Broad Institute ha anche indicato a Chan esempi su come comporre un “tweetorial”, una catena di post, con immagini, per presentare un argomento scientifico complesso a un pubblico più ampio. Ha pubblicato il suo primo tweetorial il giorno seguente.
Per i giornalisti sospettosi sulla gestione del virus da parte della Cina, il thread – e quelli che seguirono – erano dinamite. Qui c’era un vero scienziato del più grande centro genetico d’America che stava mettendo in dubbio la storia ufficiale. Il coronavirus non proviene da animali nel mercato di Wuhan, ha urlato un titolo del “Mail on Sunday”, in quello che è diventato il primo breakout di Chan nella conversazione pubblica.
Sebbene il suo rapporto sia stato un successo mediatico, quello che il “Daily Mail” ha descritto come il “documento di riferimento” di Chan non è mai stato formalmente accettato da una rivista scientifica. Chan dice che è a causa della censura dovuta al fatto che lei ha abbracciato la possibilità di origine di laboratorio. Eisen di UC Davis, tuttavia, ritiene che le aspettative di Chan su come avrebbe dovuto comportarsi il virus covid-19 rimangano congetture. A suo parere, non abbiamo dati molecolari sufficienti su più epidemie per sapere davvero cosa è normale. E, osserva, il covid-19 ha continuato a cambiare e adattarsi.
“Penso che sia interessante quello che ha cercato di fare Chan, ma non sono convinto dalla conclusione, e penso che le deduzioni fossero sbagliate. In ogni caso mi complimento con lei per averlo postato. Molte delle persone che spingono la teoria dell’origine di laboratorio non fanno affermazioni basate sulla logica, ma lei ha presentato le sue prove. Non sono d’accordo, ma questa è scienza”.
Giusta o sbagliata, però, la parola usata da Chan – “preadattato” – ha fatto rabbrividire persone come l’autore Nicholson Baker. “Avevamo a che fare con una malattia che era in grado di attaccare immediatamente le vie respiratorie umane”, afferma Baker, che si è messo in contatto con Chan per saperne di più. Diversi mesi dopo, nel gennaio di quest’anno, Baker avrebbe pubblicato un lungo rapporto sul “New York” magazine dicendo che si era convinto che la colpa fosse di un incidente di laboratorio. Ha citato una varietà di fonti, tra cui Chan.
Il problema del pangolino
Chan si è anche occupata di quattro articoli che erano stati pubblicati all’inizio del 2020, due dei quali su “Nature”, che descrivevano virus nei pangolini – mammiferi in via di estinzione a volte mangiati come prelibatezze in Cina – che condividevano somiglianze con il SARS-CoV-2. Se i ricercatori fossero riusciti a trovare tutti i componenti del virus pandemico, specialmente negli animali selvatici trafficati illegalmente come cibo, avrebbero potuto attribuire il caso a uno spillover dalla natura. I documenti sui pangolini, pubblicati in rapida successione all’inizio del 2020, sono stati un inizio promettente. Agli autori di Proximal Origins, questi virus simili offrivano prove “evidenti” dell’origine naturale.
Chan e Zhan hanno notato che tutti i giornali descrivevano lo stesso gruppo di animali, anche se alcuni non si sono resi conto della sovrapposizione. Uno ha persino rietichettato i dati, il che li ha fatti sembrare nuovi. Per Chan, non si trattava solo di un lavoro sciatto o di una cattiva condotta scientifica. Potrebbe esserci stato un “coordinamento” tra gli autori di tutti questi documenti, alcuni dei quali avevano già pubblicato insieme. Ha creato l’hashtag #pangolinpapers, richiamando alla mente i Panama Papers, documenti che rivelavano rapporti finanziari segreti offshore.
Chan ha iniziato a inviare e-mail ad autori e riviste per ottenere i dati grezzi di cui aveva bisogno per analizzare più approfonditamente i lavori. La messa a disposizione di tali dati è solitamente una condizione per la pubblicazione, ma a volte sono difficili da ottenere. Dopo quelli che lei chiama mesi di ostruzionismo, Chan ha perso la calma e ha lanciato un’accusa. “Ho bisogno che gli scienziati e gli editori che stanno coprendo direttamente o indirettamente i gravi problemi di integrità della ricerca che circondano alcuni dei principali virus simili a SARS-2 si fermino e riflettano un po’”, ha pubblicato su Twitter. “Se queste azioni oscurano le origini della SARS2, si sta giocando un ruolo nella morte di milioni di persone”.
Eddie Holmes, un importante virologo australiano e coautore di uno di quei documenti (oltre a Proximal Origins), ha definito il tweet “una delle cose più spregevoli che ho letto sulla questione delle origini”. Si sentiva accusato, ma si chiedeva di cosa fosse accusato, dal momento che il suo articolo aveva correttamente rappresentato le sue fonti di dati sui pangolini. (Si veda link)
Ma dopo che qualcuno ha chiamato il Broad Institute per lamentarsi delle molestie, Chan ha tolto il post. “Ho commesso l’errore di twittare con rabbia”, dice. The Broad è un’affiliata del MIT, che pubblica anche la rivista americana, e l’anno scorso ho scoperto che Chan aveva fatto arrabbiare così tanto alcuni virologi che il mio collegamento istituzionale con lei era diventato un problema. Quando ho chiamato Holmes lo scorso autunno su una questione separata, per avere notizie sul rilascio iniziale al pubblico del genoma SARS-CoV-2 nel gennaio 2020, a cui aveva partecipato, ha risposto che non ne avrebbe discusso con me perché Chan è a sua volta legata al MIT e “ha messo direttamente in discussione l’integrità della mia ricerca”.
Genoma virale
Crits-Christoph mi ha detto che ha anche passato innumerevoli ore a sgranocchiare database genetici sul suo computer alla ricerca di indizi sull’origine. Inizialmente sentiva che le probabilità di una fuga del virus dal laboratorio erano del 20 per cento, ma afferma che dopo una serie di approfondimenti ha dimezzato la sua stima. L’evidenza di un’origine naturale sembra più forte. “C’è un enorme pregiudizio verso l’ipotesi dell’erore casuale che nessuno ammette davvero”, dice. “Il che significa che molti di noi sarebbero estasiati se la bioinformatica potesse… portare a dimostrare un crimine come uscito da un romanzo di Michael Crichton”.
Il genoma di SARS-CoV-2 colloca chiaramente il virus in una sottofamiglia di agenti patogeni osservati nei pipistrelli. È un pezzo di malware biologico di riserva, non realmente vivo, ma bravo a dirottare una cellula e trasformarla in una fabbrica per altri virus. Ma nonostante le affermazioni assortite che sia stato costruito dall’HIV o creato con CRISPR, il genoma non porta alcun segno chiaro che sia nato in una capsula di Petri. Secondo l’opinione di molti scienziati, come Eisen, è invece proprio il genere di cose che l’evoluzione potrebbe inventare: intelligente, compatto, letale.
La mancanza di una pistola fumante nel genoma è uno dei motivi per cui, nella prima metà del 2020, la teoria degli incidenti di laboratorio è vissuta principalmente online, dove è stata portata avanti da investigatori di Internet, alcuni dei quali lavoravano sotto nomi anonimi, che mancavano di credibilità scientifica. “Attivisti troppo zelanti, investigatori autoproclamati, scrittori non qualificati e teorici della cospirazione politicamente motivati” è come la virologa e opinionista Angela Rasmussen, dell’Università del Saskatchewan, avrebbe poi descritto il circolo sociale che si è formato attorno alle teorie sulle origini del virus. (Si veda link)
Questi investigatori hanno avuto un certo successo in un’area. Utilizzando i registri dell’Istituto di virologia di Wuhan, tra cui una tesi di laurea trovata su un sito Web cinese e annotazioni nei database genetici, hanno documentato il fatto che l’istituto non aveva immediatamente rivelato una presenza di virus della stessa famiglia di SARS-CoV-2. Aveva anche oscurato dove erano stati trovati questi altri virus: in una miniera dove alcuni uomini che stavano spalando guano erano morti per una misteriosa malattia polmonare nel 2012. Alla fine, otto mesi dopo, l’istituto ha effettuato i test sul sangue conservato dei minatori morti che, ha affermato l’istituto, hanno escluso il SARS-Cov-2 come causa dei decessi del 2012.
L’incapacità dell’istituto di divulgare tali informazioni rilevanti in precedenza è inspiegabile per molti scienziati. “È difficile capire perché non ce l’hanno detto prima”, afferma David Relman, un biologo della Stanford University. Anthony Fauci ha anche detto che gli piacerebbe dare un’occhiata ai campioni di sangue di quei minatori.
A volte Chan ha fatto riferimento a indizi fuoriusciti dal laboratorio, a volte ha aggiunto riferimenti scientifici. Per esempio, ha notato che nella sua descrizione iniziale del virus, nel febbraio 2020, l’Istituto di Wuhan non ha citato un componente insolito chiamato sito di taglio per la furina, una sequenza genetica potenzialmente sospetta perché a volte i siti di furina vengono aggiunti intenzionalmente ai virus per renderli più contagiosi.
Il sito di taglio per la furina, una stringa di quattro amminoacidi, aiuta il virus a fondersi con le cellule umane. Nessun sito di questo tipo si trova negli altri virus più strettamente correlati a SARS-CoV-2. Tuttavia, gli ingegneri genetici li hanno già aggiunti negli esperimenti di laboratorio. La speculazione che la presenza del sito di taglio per la furina sia una firma della manipolazione genetica umana lo ha reso uno degli aspetti più esaminati del genoma. Chan considera l’omissione dei massimi esperti mondiali di virus dei pipistrelli come una prova schiacciante. Lo ha paragonato a “descrivere un unicorno e non menzionare il corno”. È arrivata al punto pubblicando decine di GIF di unicorni, con l’aggiunta di commenti sarcastici.
Messa così, l’omissione suona molto sospetta. Lo era, invece? Anche altri due importanti articoli che sono stati tra i primi a descrivere il virus non hanno menzionato il sito di taglio per la furina. Ma altri ricercatori lo trovarono immediatamente nel genoma, che era comunque pubblico. Per Stuart Neil, capo del dipartimento di malattie infettive del King’s College di Londra, l’omissione è decisamente “strana”, ma ci sono altre spiegazioni meno sinistre. Forse i ricercatori avevano solo fretta, dice. “Non hanno nascosto nulla; semplicemente non l’hanno commentato”.
I ricercatori hanno preso nota dell’unica implicazione ricorrente del commento di Chan: che non solo c’è stato un incidente di laboratorio, ma che la Cina deve nasconderlo attivamente, con l’aiuto inconsapevole di scienziati stranieri che hanno troppa paura di porre domande imbarazzanti. “Qualsiasi tipo di origine di laboratorio dovrebbe coinvolgere una massiccia cospirazione di scienziati, medici e funzionari della salute pubblica”, ha scritto Andersen, dello Scripps Institute, in una delle sue numerose critiche online a Chan, che spesso litigava con lui su Twitter. Eppure, ha osservato Andersen, più di un anno dopo, dalla Cina non è emerso alcun informatore credibile.
Chan può trovare delle ragioni per questo. Un incidente di laboratorio non ha bisogno di coinvolgere molte persone. Una lunga serie di errori di ricerca vengono tranquillamente ripuliti e mai menzionati. La polizia cinese ha anche cercato di impedire ai medici di discutere del virus; alcuni giornalisti sono stati arrestati. Chiunque in Cina abbia rilasciato accidentalmente il virus, dice Chan, avrebbe molte ragioni per stare zitto, dal momento che “potrebbe essere ucciso”.
Entra in scena il Dipartimento di Stato
Entro la fine del 2020, l’importanza di Chan stava raggiungendo l’apice. Come riportato per la prima volta su “Vanity Fair”, i funzionari della divisione per il controllo degli armamenti del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti si sono riuniti su Zoom il 7 gennaio, il giorno dopo la rivolta al Campidoglio, per ascoltare testimonianze sulle probabilità che il virus provenisse da un laboratorio. Chan è stata uno dei due oratori scelti per rivolgersi al gruppo. L’altro era Steve Quay, un medico e amministratore delegato di Atossa Therapeutics, un’azienda di biotecnologie quotata in borsa che commercializza libri sanitari tramite un sito web. Quay ha affermato di essere “sicuro al 99 per cento che il virus provenga da un laboratorio”.
Chan mi ha detto che è rimasta sorpresa da quanto poco sappia effettivamente il governo degli Stati Uniti. Non sembrano esserci intercettazioni telefoniche segrete o informatori che raccontano tutto. Invece, gli investigatori dell’era Trump sembravano fare affidamento su prove e fonti twittate di non virologi. Ciò ha provocato un acceso dibattito tra i funzionari sul fatto che le prove fossero credibili. Due note trapelate riguardano alcuni di questi dibattiti. Uno dei promemoria difende l’affidabilità di Quay sulla base del fatto che è un “imprenditore biotecnologico con 78 brevetti a suo nome” e loda Chan per la sua “profonda esperienza della doppiezza cinese e della mancanza di trasparenza”.
“Penso che questo dica più su di loro che su di me”, dice con una risata. Chan non ha particolari competenze sulla Cina. Sebbene sappia leggere il cinese, che ha studiato a Singapore, il suo mandarino parlato è tale che i camerieri a volte le chiedono di ordinare in inglese. Nega anche di essere motivata da un qualsiasi rancore verso la Cina. “Non ho mai vissuto in Cina”, dice. “Nessuno dei miei genitori parla cinese come lingua madre. Non conosco nemmeno nessuno in Cina. Penso che la mia posizione sia quanto più ragionevole potrebbe essere: non mi piace il Partito Comunista Cinese a causa della dittatura e dei campi di concentramento. Potrei anche criticare il governo degli Stati Uniti per come ha trattato i figli degli immigrati, ma non per questo voglio che gli Stati Uniti brucino”.
Chan mi ha inviato una copia del suo slide deck dal briefing del Dipartimento di Stato, con un elenco di “Top 10 Points”. Dei 10, quattro sono argomenti genetici o biologici, che iniziano con il periodo mancante di adattamento del virus negli esseri umani, anche se questa scoperta non è accettata da tutta la comunità scientifica. Gli altri sei si riferiscono a presunti comportamenti sospetti da parte di scienziati cinesi, inclusa la mancata menzione dei minatori morti nel 2012 e del sito della furina sul genoma del virus.
Una vicenda ancora aperta
Entro marzo 2021, la Cina e l’Organizzazione mondiale della sanità erano pronte a presentare il risultato di un’indagine congiunta e ufficiale sulle origini, che ha concluso che un virus di pipistrello presente in animali commestibili era una causa probabile e ha respinto un incidente di laboratorio come “estremamente improbabile”. Hanno raggiunto questa conclusione a causa dell’affermazione della Cina secondo cui nessuno in laboratorio aveva contratto il virus o aveva mai lavorato in precedenza con SARS-CoV-2. Il gruppo investigativo ha affermato che non avrebbe proseguito ulteriormente sulla strada di questa teoria, sebbene anche il capo dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, abbia sostenuto che tutte le teorie devono rimanere aperte.
Chan a quel punto aveva accumulato un gruppo sempre più ampio di alleati scientifici che condividevano i suoi sospetti o ne avevano a loro volta. Il primo aprile, ha inviato un’e-mail a Relman e Jesse Bloom, un virologo del Fred Hutchinson Cancer Research Center, proponendo loro di richiedere un’indagine completa per avere accesso ai registri di laboratorio aperti in Cina e ad altri dati grezzi. 18 scienziati sgomenti per il rapporto dell’OMS, tra cui Relman, Bloom e Ralph Baric, uno dei massimi esperti di coronavirus dell’Università della Carolina del Nord, hanno accettato di frimare. Con il peso di tali nomi di alto livello, oltre a quello di Chan, la lettera è apparsa sulla rivista “Science”.
Dalla pubblicazione della lettera, le posizioni sulla questione del laboratorio sono cambiate ancora più rapidamente. Numerosi scienziati hanno pubblicamente cambiato schieramento. Un firmatario della lettera di “Lancet” del 2020 che denunciava l’ipotesi della fuga del virus dal laboratorio come teoria del complotto ha cambiato completamente idea. Ora è sicuro che il virus sia stato rilasciato per errore da qualche parte a Wuhan. La lettera ha anche aiutato a rompere il legame tra la teoria del laboratorio con Donald Trump, Fox News e vari funzionari repubblicani che l’avevano enunciata con enfasi per la prima volta l’anno scorso.
Pochi giorni dopo la pubblicazione della lettera, il presidente degli Stati Uniti Joseph Biden ha dichiarato di avere chiesto alla comunità dell’intelligence di raddoppiare gli sforzi per raccogliere e analizzare le informazioni che potrebbero portarci più vicini a una conclusione definitiva e di riferirgli di persona entro 90 giorni.
Ora che la teoria dell’origine del laboratorio è oggetto di indagine da parte di potenti organizzazioni e presa sul serio da una massa critica di rispettati scienziati, ho chiesto a Chan come si sarebbe sentita se il virus avesse dimostrato di essere emerso naturalmente, cosa che la maggior parte degli scienziati sembra ancora credere probabile. “Se è naturale, allora ho fatto una cosa terribile perché ho messo diversi scienziati in una posizione molto pericolosa dicendo che potrebbero essere la fonte di un incidente che ha provocato la morte di milioni di persone”, conclude.
Immagiine: Alina Chan. Foto di cortesia
(rp)