Secondo un nuovo studio della NASA, le emissioni invernali di gas serra nei territori dell’artico potrebbero presto superare la capacità della vegetazione locale di assorbirle, una netta inversione di tendenza per una regione che cattura e immagazzina tali gas da decine di migliaia di anni.
di Lisa Ovi
Dai risultati di uno studio finanziato dalla NASA, nel corso di questo secolo le emissioni invernali di anidride carbonica delle regioni caratterizzate da permafrost potrebbero aumentare anche del 41%. La maggior parte dei modelli climatici non prende in considerazione le emissioni provocate dal disgelo del permafrost nei propri calcoli sul futuro climatico del pianeta. La ricerca è stata pubblicata da Nature Climate Change.
Prende il nome di permafrost il terreno ghiacciato ricco di carbonio tipico del 24% dell’emisfero settentrionale, nei territori dell’Alaska, Canada, Siberia e Groenlandia. Da decine di migliaia di anni, il permafrost preserva sotto gelo più anidride carbonica di quanta gli esseri umani ne abbiano mai emessa con il consumo di combustibili fossili. Ora, con l’innalzamento delle temperature a livello globale, il permafrost si sta scongelando, rilasciando così gas a effetto serra nell’atmosfera.
I risultati confermano quanto osservato precedentemente in rilevamenti locali. “Le emissioni invernali di anidride carbonica sono probabilmente già superiori a quanto la vegetazione artica sia in grado di riassorbire durante la stagione della crescita,” spiega Sue Natali, direttrice del programma artico per il Woods Hole Research Center e autore principale dello studio. Lo studio è stato condotto con il supporto dell’esperimento AboVE della NASA, in coordinazione con il Permafrost Carbon Network e altre organizzazioni.
I ricercatori hanno condotto rilevamenti dei livelli di emissioni sul campo in più località, combinando poi i risultati con dati raccolti per telerilevamento e modelli di ecosistemi al fine di calcolare le attuali e future emissioni di anidride carbonica invernali nelle regioni del permafrost settentrionale. Secondo i loro calcoli, durante le stagioni invernali tra il 2003 e il 2017, le regioni del permafrost avrebbero rilasciato un totale medio annuale di 1,7 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Per contro, la media stimata di riassorbimento dell’anidride carbonica della regione durante la stagione di crescita non supererebbe il miliardo di tonnellate.
I ricercatori hanno poi calcolato l’incremento di emissioni della regione da qui al 2100 in relazione allo scioglimento dei ghiacci prevedibile secondo svariati scenari. Nel caso si riuscissero a ridurre in misura anche solo modesta le emissioni umane da combustibili fossili, le emissioni artiche invernali aumenterebbero del 17%, mentre incrementeranno del 41%, se lo sfruttamento dei combustibili fossili dovesse continuare ad aumentare ai tassi attuali fino alla metà del secolo.
Più il pianeta si fa riscalda, più anidride carbonica viene rilasciata dal permafrost e più le temperature continueranno ad aumentare. È un circolo vizioso. Il circolo polare artico potrebbe passare da essere una risorsa di assorbimento dei gas serra ad essere una fonte di emissioni.
Le emissioni di gas serra provocate dallo scioglimento del permafrost non sono le sole ancora non calcolate nei modelli climatici. Sono molti i processi e gli eventi dinamici dall’impatto ancora non quantificato sulle emissioni globali di anidride carbonica. Nel caso dei territori artici, per esempio, i laghi termocarsici, prodotti dallo scioglimento dei ghiacci, potrebbero accelerare il tasso di emissioni di anidride carbonica esponendo strati profondi del permafrost a temperature più calde. Lo stesso possono fare i sempre più frequenti, e gravi, incendi boschivi artici e boreali, rimuovendo lo strato superiore isolante del suolo.
Foto: Permafrost. Boris Radosavljevic, Wikimedia Commons