Non possiamo permetterci di impiegare decenni a costruire, né tanto meno a non costruire, un singolo progetto che permetta di resistere ai cambiamenti climatici.
di James Temple
Sedici anni fa, scrivevo degli ostacoli che si frapponevano allo sviluppo del Transbay Transit Center, destinato a diventare il capolinea settentrionale di una linea ferroviaria ad alta velocità tra San Francisco a Los Angeles. Il treno ad alta velocità doveva facilitare gli spostamenti, ridurre le emissioni di gas serra e connettere i due poli economici dello stato. La California istituì un’agenzia statale pianificare la linea ferroviaria di oltre 800 chilometri nel 1996. Gli elettori ne approvarono la costruzione nel 2008, ma la costruzione ha un decennio di ritardo e senza i finanziamenti federali che l’amministrazione Trump ha deciso di negare, il destino del progetto da 80 miliardi di dollari è ora in dubbio.
Ciò che colpisce, però, è il fatto che non ci sia nulla di eccezionale in questa storia. Gli Stati Uniti sono divenuti incapaci di eseguire grandi opere e negligenti nel mantenimento delle infrastrutture esistenti. Il grosso delle autostrade, dei ponti, delle condutture idriche, dei porti, delle ferrovie e delle linee di trasmissione elettriche della nazione sono state costruite più di mezzo secolo fa e in molti casi stanno crollando. L’American Society of Civil Engineers ha stimato un divario di $1,4 trilioni tra il finanziamento disponibile e l’importo necessario a mantenere, ricostruire o sviluppare le infrastrutture statunitensi tra il 2016 e il 2025. Tale cifra raggiungerà i $5 trilioni nel 2040.
A fronte dei pericoli imminenti alle infrastrutture dovuti ai cambiamenti climatici, il quadro non è roseo. Una riduzione delle emissioni di gas serra negli USA in linea con gli sforzi globali per prevenire un riscaldamento globale di 2 °C richiederebbe investimenti annuali in tecnologie pulite come le energie rinnovabili e nella costruzione di una rete moderna dieci volte più alti entro il 2030, da $100 miliardi a $1 trilione, secondo uno studio del 2015 di il progetto Deep Decarbonization Pathways.
Per fronteggiare i pericoli climatici divenuti ormai inevitabili, sarà necessario rafforzare le protezioni costiere, riprogettare gli impianti di gestione dei rifiuti e i sistemi idrici, rafforzare le infrastrutture per i trasporti e ricollocare case e imprese in zone con minor rischio di inondazione e incendio. A seconda della velocità a cui il mondo ridurrà le emissioni, i costi per l’adattamento climatico potrebbero raggiungere le decine o centinaia di miliardi di dollari l’anno entro la metà del secolo, secondo l’ultimo National Climate Assessment.
Dati i costi sbalorditivi e i margini di tempo stretti, non possiamo permetterci di impiegare decenni a costruire, né tanto meno a non costruire, un singolo progetto.
Le infrastrutture statunitensi hanno già dimostrato la propria incapacità di proteggere i cittadini da eventi estremi intensificati dai cambiamenti climatici come l’uragano Sandy, che mise in ginocchio New York City, inondando le metropolitane, provocando blackout e uccidendo dozzine di persone. In California, dove i feroci venti autunnali arrivano sempre prima e sempre più intensi, cavi di trasmissione dell’elettricità abbandonati hanno scatenato alcuni degli incendi più mortali e distruttivi nella storia dello stato.
Secondo Costa Samaras, direttore del Center for Engineering and Resilience for Climate Adaptation della Carnegie Mellon, sono da rinnovare: “Sistemi idrici, sistemi di alimentazione, sistemi di raccolta delle acque piovane, serbatoi, dighe, condutture, aeroporti, binari del treno. Tutto”.
Per esempio, gran parte delle strutture fognarie dello stato sono state progettate sulla base delle precipitazioni medie precedenti agli anni ’60. I livelli delle precipitazioni sono aumentati di circa il 70%. Ciò significa che in molte regioni, le tubature cittadine sono già troppo strette per le precipitazioni attuali precipitazioni. Negli Stati Uniti, due milioni di veicoli al giorno attraversano ponti classificati come “strutturalmente carenti” fiumi sempre più alti e veloci erodono il terreno alle fondamenta di case ed infrastrutture, mentre edifici per un valore complessivo di circa 1 trilione di dollari sono esposti ai rischi che accompagnano innalzamento dei mari, tempeste, inondazioni ed erosione delle coste.
Alcune aree si riveleranno semplicemente troppo costose da salvare. Secondo uno studio del 2016 della Commissione Globale su Economia e Clima, saranno necessari il mondo dovrà spendere circa 90 trilioni di dollari entro 15 anni per sostituire le infrastrutture datate delle nazioni ricche e costruir di nuove nelle economie emergenti.
Le nazioni sanno essere veloci quando lo desiderano. A partire dal 2008, la Cina ha installato 25.000 chilometri di linee ferroviarie ad alta velocità e dozzine di linee di trasmissione ad altissima tensione, con l’obbiettivo di coprire 37.000 chilometri. Proposte simili negli USA si sono impantanate tra battaglie politiche e legali. Tra i progetti più ostacolati c’è ogni struttura che minacciasse di oscurare un panorama, proiettare un’ombra sulla loro strada o rendere più difficile trovare parcheggio. Regole ambientali ben intenzionate sono state utilizzate come armi per rallentare o uccidere ogni proposta. Consulenti politici, sindacati e gruppi comunitari hanno rallentato o accelerato il processo in base a interessi differenti.
Nel frattempo, i cittadini stessi sono contrari agli aumenti delle tasse ed alle misure necessarie a costruire e mantenere infrastrutture. I prezzi immobiliari alle stelle, le polizze assicurative federali e le leggi fiscali intralciano le pianificazioni urbane e spingono a costruire in aree pericolose, secondo modelli di sviluppo insostenibili.
Invece di prepararci ai pericoli imminenti, troppo spesso si ricostruisce sempre alla stessa maniera ignorando gli avvertimenti chiari di inondazioni, incendi e altri disastri. Nella città di Paradise, in California, devastata da un incendio a fine 2018, un gruppo di residenti ha obbiettato al costo ed all’estetica di misure che avrebbero reso gli edifici ricostruiti più sicuri contro nuovi eventi eccezionali.
Il passato insegna che le infrastrutture costruite rapidamente sono quelle finanziate dal governo federale. Secondo Billy Fleming, direttore del Centro Ian McHarg dell’Università della Pennsylvania, il Green New Deal statunitense potrebbe rappresentare l’occasione migliore della nostra epoca. Il Green New Deal permetterebbe lo stanziamento di finanziamenti e la razionalizzazione dei progetti per l’adattamento al clima e per lo sviluppo di fonti rinnovabili. Nuovi posti di lavoro porterebbero a reti intelligenti, parchi eolici, impianti solari, stazioni di ricarica per veicoli elettrici, linee di trasporto di massa, ferrovia ad alta velocità e altro ancora. Ma per fare questo serve un cambiamento di linea politica profondo.
È fondamentale che il contributo pubblico smetta di essere usato per proteggere la ricchezza esistente e lo status quo, spiega Gabriel Metcalf, amministratore delegato del Comitato for Sydney, una think tank di politica urbana. In altre parole, la costruzione di nuove infrastrutture coerenti con obiettivi nazionali è impossibile se si permette ad ogni città ed ogni cittadino di dare la priorità alle proprie preoccupazioni individuali.
Dovremo costruire dighe per proteggere case ed edifici, anche il valore delle proprietà ne sarà compromesso. Dovremo costruire enormi parchi eolici costieri, anche a costo di rovinare il panorama. Serviranno linee di trasmissione su terreni pubblici e privati. Bisognerà aprire strade e marciapiedi per riparare metropolitane e linee fognarie e alcuni quartieri, se non addirittura città intere, dovranno essere spostati.
Aumentare le tasse per finanziare tutto questo sarà il meno.
Foto: Una sezione elevata della linea ferroviaria ad alta velocità della California sospesa a Fresno. AP, Rich Pedroncelli