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    Una donna fondamentale per la lotta ai cambiamenti climatici

    Rhiana Gunn-Wright del Roosevelt Institute afferma che gli eventi del 2020 sottolineano la necessità di coalizioni più ampie che spingano per riforme economiche, ambientali e di giustizia sociale di largo respiro.

    di James Temple

    Le attenzioni per il clima sono in gran parte andate in secondo piano con il diffondersi della pandemia, il tracollo economico e le proteste diffuse contro la brutalità della polizia. Ma per Rhiana Gunn-Wright, direttore della politica climatica del Roosevelt Institute e una degli architetti del Green New Deal, le questioni si intrecciano indissolubilmente. Non si può fare una riflessione articolata del settore dei combustibili fossili se non lo si guarda attraverso le lenti della giustizia razziale, della disuguaglianza economica e della salute pubblica, ella afferma in un’intervista con  “MIT Technology Review”.

    Le persone di colore hanno maggiori probabilità di vivere vicino a centrali elettriche e altre fabbriche inquinanti e soffrono di livelli più elevati di asma e maggiori rischi di morte precoce a causa dell’inquinamento atmosferico. Il tasso di mortalità per coronavirus tra i neri americani è più del doppio di quello dei bianchi. Le pratiche di riscaldamento globale e allevamento industriale rilasceranno agenti patogeni più micidiali e rimodelleranno la gamma di malattie infettive, ha affermato Gunn-Wright ad aprile in un articolo sul “New York Times”  intitolato Pensate che questa pandemia sia cattiva? Abbiamo un’altra crisi in arrivo.

    “Le persone che hanno maggiori probabilità di morire a causa dei fumi tossici sono le stesse persone che hanno maggiori probabilità di morire per il covid-19”, ha scritto Gunn-Wright. “È come se stessimo assistendo in anteprima alle peggiori conseguenze possibili della crisi climatica”.

    Una critica del Green New Deal  è stata che ha abbracciato troppi temi, moltiplicando la difficoltà di fare progressi su una qualsiasi delle questioni profondamente polarizzate che ha affrontato. Ma Gunn-Wright sostiene che questa è stata la sua forza: legare insieme queste cause apparentemente distinte in un ampio pacchetto di politiche ha evidenziato  le connessioni tra loro e ha contribuito a raccogliere un ampio consenso. Nell’intervista che segue, Gunn-Wright sostiene che tutto ciò che è accaduto nel 2020 ha solo reso ancora più forti queste convinzioni.

    Cosa pensa di questo 2020?

    Non è una domanda facile. Per come mi sento ora, direi che dipende dalla giornata. Per molti versi, sono più spaventata di quanto lo sia mai stata in precedenza, proprio a causa dell’entità delle crisi. Stiamo affrontando una recessione che potrebbe rivelarsi peggiore della Grande Depressione. E poi abbiamo anche una crisi del sistema della salute pubblica. Non dimentichiamo infine gli scontri intorno alla supremazia bianca e all’ingiustizia razziale che sono all’ordine del giorno. E ovviamente c’è sempre il nodo della crisi climatica. Ma allo stesso tempo sono più fiduciosa del solito, perché le proteste di questi giorni sono un chiaro segnale della necessità di cambiamento per il governo.

    In che modo le manifestazioni possono cambiare il modo di affrontare i problemi di giustizia ambientale?

    In primo luogo, mi hanno fatto capire che avevamo ragione. Quando è uscito il Green New Deal, ho concesso numerose interviste e mi è sembrato di passare sei mesi a rispondere alla stessa serie di domande. Che ruolo dovrebbe giocare l’equità in questo? Perché associare il concetto di giustizia a una proposta sul clima? Non diventa tutto più complesso?

    Ci obiettavano che legare i cambiamenti climatici e la politiche ambientali alle richieste di giustizia sociale o economica fosse chimerico, che in realtà avremmo reso più difficile ottenere risultati concreti sul clima, come se queste tematiche non fossero tutti collegate tra loro, come in realtà sono. 

    Sostanzialmente dicevamo che il cambiamento climatico non è solo un problema tecnologico o di emissioni, ma di sistemi che hanno permesso a un’industria che essenzialmente avvelena le persone di continuare a farlo anche se mette ulteriormente in pericolo la nostra sopravvivenza, sia come nazione che come globo. Si tratta di problemi che coinvolgono etnie, classi sociali e territori.

    La realtà attuale mi conferma che abbiamo anticipato i tempi. Alcuni gruppi, come il Sunrise Movementhanno investito prima su questo tipo di proteste sociali. Stanno collaborando con il Movement for Black Lives per convincerlo ad aderire alle loro istanze. 

    Il Green New Deal ha contribuito a allontanare le conversazioni sul clima da uno spazio puramente tecnocratico. La convinzione sempre più popolare al riguardo – almeno tra esperti di clima e attivisti ambientalisti – parte dal nesso tra posti di lavoro, giustizia e ambiente. In tal modo è molto più facile che i cambiamenti climatici continuino ad essere al centro del dibattito. 

    La scorsa settimana, ha twittato: “Quanto silenzio su Twitter …” Voleva dire che la comunità che si occupa di clima non sta facendo abbastanza per sollevare le questioni della giustizia razziale e sostenere le riforme della polizia?

    Sicuramente non vedo abbastanza “fermento”. Sempre meglio di niente, comunque. Ci sono sempre molti che pensano al clima come qualcosa che è al di fuori dei nostri sistemi sociali. Le persone hanno reagito ai cambiamenti climatici nella sfera pubblica chiedendosi se stessero realmente accadendo. Quindi il confronto si è spostato sugli aspetti tecnici e scientifici, perché un modo per combattere l’inquinamento è produrre continuamente più dati e nuove strategie per dimostrare cosa sta succedendo.

    L’aspetto negativo è che a volte si pensa che non si può parlare di questi argomenti perché troppo specialistici. Ma i dati non ci dicono ciò che è vero. Si limitano a chiarire cosa abbiamo deciso di misurare. E soprattutto quando si parla di “razza” e giustizia razziale, ci sono molte esperienze vissute che non sono state quantificate.

    Quale posto dovrebbe occupare il clima nei prossimi pacchetti di provvedimenti per la ripresa economica? 

    Vi è un crescente consenso sul fatto che affinché una ripresa economica dal covid sia solida, la decarbonizzazione deve giocare un ruolo centrale. Non è semplice procedere, ma ha senso economico. Gli investimenti nell’energia pulita hanno moltiplicatori migliori. Creano più posti di lavoro. Catalizzano più innovazione. 

    E soprattutto, aiutano a stabilizzare il clima, il che è cruciale dal punto di vista economico, in particolare visti i livelli di aumento della temperatura che stiamo osservando dalla fine del secolo. La prospettiva è quella di un’economia in cui sarà necessario generare un numero enorme di posti di lavoro e compensare un calo davvero significativo della domanda. La decarbonizzazione è una delle poche scelte politiche in grado di farlo. È uno dei pochi spazi in cui possiamo generare occupazione, creare nuove industrie e innescare innovazioni che contribuiscono a far crescere l’economia anche dopo l’investimento iniziale.
     

    Lo stimolo verde ha di gran lunga senso economicamente. Le uniche ragioni per non portarlo avanti sono di ordine politico. Ma negli Stati Uniti, non è quello che sta succedendo finora. Molti dei nostri soldi per la ripartenza andranno alle industrie petrolifere e del gas. Le energie rinnovabili stanno perdendo terreno, come dimostra il fatto che non esiste un supporto mirato per loro nel CARES Act [la legge sugli aiuti economici approvata a fine marzo]. 

    Cosa può fare la comunità attenta alle tematiche climatiche per essere più inclusiva e più sensibile alle altre questioni di giustizia sociale? 

    Innanzitutto assumere persone di colore, particolarmente quelle che non hanno lo stesso background formativo come già succede nei settori ambientali o politici in generale. Se vogliamo davvero  sostenere movimenti impegnati sul problema della giustizia, dobbiamo fare in modo che la nostra organizzazione si strutturi a partire da quei modelli. Ciò significa non solo assumere persone di colore, ma anche di scegliere non solo la fascia elitaria. Serve chi è impegnato socialmente da molto tempo e ha una conoscenza approfondita degli argomenti, senza cadere in forme di intellettualismo, ma  privilegiando le esperienze del mondo reale.

    Foto: Rhiana Gunn-Wright Roosevelt Institute

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