Per la prima volta al mondo, un uomo completamente paralizzato ha avanzato delle richieste precise: zuppa e birra. Ha anche chiesto a suo figlio di vedere un film insieme
di Jessica Hamzelou
Le interfacce cervello-computer (BCI) registrano i segnali elettrici all’interno del cervello di una persona e li convertono in comandi che controllano un dispositivo. Negli ultimi anni, le BCI hanno consentito alle persone parzialmente paralizzate di controllare gli arti protesici o di comunicare un semplice “sì” o “no” solo con il pensiero. Ma questa è la prima volta che qualcuno incapace addirittura di controllare i movimenti degli occhi, usa una BCI per comunicare frasi complete.
All’uomo, che vive in Germania, è stata diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) nell’agosto 2015, quando aveva 30 anni. Nel giro di pochi mesi, la malattia gli aveva progressivamente colpito i neuroni coinvolti nel movimento e lo aveva reso incapace di parlare o camminare. Da luglio 2016 l’uomo si è dovuto affidare a un ventilatore per respirare.
Nell’agosto 2016, ha iniziato a utilizzare un dispositivo di tracciamento oculare per comunicare, selezionando le lettere dallo schermo di un computer. Ma un anno dopo, le sue condizioni erano peggiorate e non era più in grado di tenere gli occhi fissi su un punto particolare. Il dispositivo era ormai inutile.
I membri della sua famiglia hanno iniziato a utilizzare un approccio cartaceo, in cui un membro della famiglia teneva una griglia di lettere su uno sfondo di quattro colori, indicando di volta in volta una riga di colore diverso e interpretando qualsiasi movimento degli occhi come un “sì”.
Per paura che perdesse anche la capacità di muovere gli occhi, la sua famiglia ha cercato l’aiuto di Niels Birbaumer, allora all’Università di Tubinga, e Ujwal Chaudhary di ALS Voice gGmbH, un’organizzazione no profit che offre BCI e altre tecnologie a persone che altrimenti non hanno altre possibilità di comunicare.
Dopo aver incontrato l’uomo nel febbraio 2018, Chaudhary ha cercato di automatizzare il sistema di comunicazione che la famiglia stava già utilizzando. Il team ha collegato un dispositivo di tracciamento oculare a un software per computer in grado di leggere la griglia colorata, consentendo all’uomo di selezionare le lettere una alla volta usando i movimenti degli occhi per sillabare le parole.
Ma poiché l’uomo ha perso sempre più il controllo sui movimenti degli occhi, è diventato meno in grado di comunicare anche usando questo dispositivo. “Abbiamo proposto di impiantare un elettrodo nel cervello per registrare direttamente l’attività elettrica delle cellule cerebrali”, ricorda Chaudhary.
La procedura, che comporta l’esecuzione di un foro nel cranio e l’incisione degli strati protettivi del cervello, espone al rischio di infezione e a danni al cervello. “Era l’ultima risorsa”, spiega Birbaumer. “Quando i BCI non invasivi e gli eye-tracker non funzionano più, non c’è altra scelta”.
L’uomo ha acconsentito alla procedura usando i movimenti degli occhi, dice Chaudhary. Anche sua moglie e sua sorella hanno dato il loro consenso. L’approvazione da parte di un comitato etico e del Federal Institute for Drugs and Medical Devices alla fine del 2019, è arrivata quando l’uomo aveva perso la capacità di utilizzare il dispositivo di tracciamento oculare.
Nel marzo 2019, i chirurghi hanno impiantato due minuscole griglie di elettrodi, ciascuna di 1,5 millimetri di diametro, nella corteccia motoria dell’uomo, una regione nella parte superiore del cervello responsabile del controllo del movimento.
Trasformare i segnali in comandi
Da subito, il team ha iniziato a cercare di aiutare l’uomo a comunicare. All’inizio, gli è stato chiesto di immaginare di fare movimenti fisici per permettere di controllare gli arti protesici e l’esoscheletro. Questo approccio è in linea con quanto intende fare Neuralink, l’azienda di Elon Musk: ottenere un segnale affidabile dal cervello e tradurlo in una sorta di comando.
Ma il tentativo non è andato bene e il team ha deciso di provare il neurofeedback, una tecnica non invasiva in cui si mostra a una persona la sua attività cerebrale in tempo reale in modo che possa imparare a controllarla. In questo caso, quando gli elettrodi nel cervello dell’uomo registrano un aumento di attività, un computer riproduce un tono audio crescente. Una caduta dell’attività cerebrale equivale a un tono discendente.
“In due giorni, è stato in grado di aumentare e diminuire la frequenza di un tono sonoro”, afferma Chaudhary, che è andato a trovare regolarmente l’uomo a casa sua fino a quando non è arrivato il coronavirus. “E’ stato incredibile. Lui è stato alla fine in grado di controllare la sua attività cerebrale in modo da segnalare un tono ascendente per dire ‘sì’ e un tono discendente per il ‘no’.
Il team ha quindi introdotto un software che imitava il sistema informatico cartaceo con cui originariamente comunicava con la sua famiglia. L’uomo sentiva la parola “giallo” o “blu”, per esempio, per scegliere un blocco di lettere da selezionare. Quindi venivano suonate singole lettere e lui usava un tono crescente o decrescente per selezionarle o eliminarle.
Senza sforzo
In questo modo l’uomo è riuscito in poco tempo a comunicare intere frasi. La ricerca è apparsa sulla rivista “Nature Communications”. Una delle prime frasi che l’uomo ha pronunciato è stata: “ragazzi, funziona facilmente!”. La comunicazione, comunque, era ancora lenta e richiede circa un minuto per selezionare ogni lettera.
I ricercatori ritengono comunque che il dispositivo abbia notevolmente migliorato la qualità della vita dell’uomo che è stato in grado di chiedere pasti e zuppe specifiche, far capire agli infermieri come muovere e massaggiare le sue gambe e avanzare la richiesta al giovane figlio di guardare un film insieme.
Chaudhary prevede di sviluppare un catalogo di parole usate di frequente che potrebbero eventualmente consentire al software di completare automaticamente le parole dell’uomo mentre le scrive. Nessuno sa quanto tempo dureranno gli elettrodi nel cervello dell’uomo, ma altri studi hanno scoperto che dispositivi simili funzionano ancora cinque anni dopo essere stati impiantati in altre persone.
Per chi è paralizzato, “un solo giorno può fare la differenza”, dice Kianoush Nazarpour dell’Università di Edimburgo, che non è stato coinvolto nello studio. “Si tratta di un’opportunità fondamentale per loro di riprendere il controllo delle loro vite. A suo parere, la tecnologia potrebbe diventare di routine per persone in queste condizioni entro i prossimi 10-15 anni. “Per una persona che non può comunicare, anche un “sì”/”no” può potenzialmente cambiare la vita“, spiega.
Brian Dickie, direttore dello sviluppo della ricerca presso la Motor Neurone Disease Association nel Regno Unito, concorda sul fatto che questa linea temporale sia realistica. Ma si chiede quante persone con malattie dei motoneuroni, di cui la SLA è il tipo più comune, trarranno beneficio da tali BCI.
Battute d’arresto
L’uomo che ha ricevuto il BCI ha una forma di SLA chiamata atrofia muscolare progressiva (PMA), che tende a colpire i nervi motori che viaggiano dalla colonna vertebrale ai muscoli, lasciando le persone incapaci di controllare i propri muscoli. Ma circa il 95 per cento dei casi di SLA comporta anche la degenerazione della corteccia motoria nel cervello, dice Dickie.
Anche le persone con PMA possono sperimentare questa degenerazione, il che potrebbe spiegare perché, da quando lo studio è stato completato, l’uomo sembra aver perso parte della sua capacità di comunicare. Nell’ultimo mese, l’uomo ha utilizzato il dispositivo solo per dire “sì” o “no”, afferma Birbaumer.
È possibile, per esempio, che cellule specializzate nel cervello abbiano riconosciuto l’elettrodo come estraneo e si siano raggruppati attorno ad esso, limitando la sua capacità di funzionare. “Potrebbero essere ragioni psicologiche o tecniche, disfunzioni degli elettrodi”, continua Birbaumer,
Se l’elettrodo alla fine non funzionerà più, i familiari dell’uomo potrebbero richiedere che venga rimosso e sostituito con un altro, magari in una regione cerebrale diversa. Ma, per ora, avere la capacità di dire “sì” e “no” è sufficiente, conclude Birbaumer. “La famiglia mi ha detto che la maggior parte delle informazioni di cui avevano bisogno sono state scambiate nel primo anno e mezzo. Anche solo con un ‘sì’ e con un ‘no’ si possono dire molte cose, se si fanno le domande giuste“.
Immagine di: Pixabay
(rp)