Le aziende e le nazioni stanno promuovendo piani per aspirare i gas serra dall’aria, ma il problema vero di questo decennio è ridurre le emissioni.
di James Temple
A febbraio, il gigante petrolifero Shell ha prospettato uno scenario in cui il mondo riporterà il riscaldamento globale a 1,5 C° entro il 2100, anche se il gas naturale, il petrolio e il carbone continueranno a generare enormi quote di energia a livello mondiale. Tra le altre cose, il percorso di Shell prevede l’installazione rapida di sistemi di cattura del carbonio sulle centrali elettriche, il potenziamento di macchine che possono aspirare l’anidride carbonica direttamente dall’aria e la piantagione di alberi sufficienti a coprire una terra grande quasi quanto il Brasile, nella speranza di assorbire miliardi di tonnellate di gas serra.
Le enormi ambizioni di Shell per la rimozione del carbonio sono tutt’altro che anomale. Un numero crescente di aziendesta creando programmi per creare o scambiare compensazioni di carbonio, utilizzando la piantumazione di alberi, la gestione del suolo e altri mezzi per bilanciare presumibilmente le emissioni altrove. Nel frattempo, numerose aziende e nazioni stanno annunciando piani di emissioni nette “zero” che si basano su questi programmi e le startup di rimozione del carbonio in rapida proliferazione stanno evidenziando ciò che alcuni considerano proiezioni eccessivamente rosee nelle loro presentazioni agli investitori.
Si sta alimentando la percezione, assolutamente discutibile, che la rimozione del carbonio sarà economica, semplice, scalabile e affidabile.”Molte di queste affermazioni sono solo sciocchezze”, afferma David Keith, uno scienziato del clima di Harvard che nel 2009 ha fondato Carbon Engineering, una delle prime startup a tentare di commercializzare la tecnologia di cattura dell’aria diretta. “Si crea confusione e non si pone attenzione all’insieme di azioni immediate e convenienti necessarie per ridurre le emissioni”, ha aggiunto in un’e-mail.
Aspettative non realistiche
Le emissioni climatiche globali continuano ad aumentare, alzando le temperature e provocando ondate di calore, incendi e siccità sempre più estremi. Poiché l’anidride carbonica persiste da centinaia se non migliaia di anni nell’atmosfera, non c’è dubbio scientifico che dovranno esserne rimosse enormi quantità per prevenire livelli di riscaldamento davvero pericolosi o per riportare il pianeta a un clima più sicuro.
La domanda è: quanta? Una varietà di modelli scientifici ha stimato che con una quantità da1,3 miliardi di tonnellate all’anno a 29 miliardi di tonnellate entro la metà del secolo si possa mantenere il riscaldamento globale a 1,5 C°. Un rapporto delle Nazioni Unite del 2017 ha stimato che difendere il pianeta da un riscaldamento oltre i 2 °C richiederà la rimozione di 10 miliardi di tonnellate all’anno entro il 2050 e 20 miliardi entro il 2100.
Un articolo pubblicato su “Nature Climate Change” a giugno ha ulteriormente complicato la questione osservando che la rimozione di tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera potrebbe non essere efficace nell’alleviare il riscaldamento come sperato, perché la chimica atmosferica in movimento potrebbe, a sua volta, influenzare la facilità con cui terre e oceani rilasciano la loro CO2.
Dieci miliardi di tonnellate sono una cifra gigantesca, quasi il doppio delle attuali emissioni annuali di carbonio degli Stati Uniti. E ci sono opzioni limitate per la rimozione del carbonio su larga scala. Queste includono la cattura diretta dell’aria, l’uso di vari minerali che si legano alla CO2, le iniziative per la riforestazione e la cosiddetta bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (usando le colture come combustibile, ma catturando tutte le emissioni rilasciate quando vengono bruciate).
Nessuna di queste opzioni può essere facilmente adottata su larga scala. La cattura diretta dell’aria è ancora proibitiva e ad alto consumo di energia. Usare le colture come combustibile significa strappare la terra ad usi alimentari. Tuttavia, all’improvviso, nazioni e aziende fanno sempre più affidamento, apertamente o implicitamente, su grandi quantità di rimozione del carbonio nei loro piani di zero-net, compresi quelli delle aziende petrolifere e del gas come Eni e Shell, nonché aziende come Amazon, Apple, Unilever e United.
Le società di capitale di rischio stanno investendo almeno decine di milioni di dollari in start-up in fase iniziale che promettono di utilizzare macchine, minerali e microbi per assorbire CO2, oltre a quelle che promettono di verificare e certificare che tutta la rimozione stia realmente avvenendo. “Si vedono molte persone fare grandi promesse in questo momento che non sanno come mantenerle”, afferma Klaus Lackner, direttore del Center for Negative Carbon Emissions dell’Arizona State University, che ha aperto la strada al concetto di cattura diretta del carbonio dall’aria.
Jonathan Goldberg, amministratore delegato di Carbon Direct, che fornisce consulenza alle aziende che cercano di raggiungere obiettivi di net-zero, afferma che le richieste aziendali di tonnellate di rimozione del carbonio di alta qualità attualmente superano l’offerta di opzioni affidabili “per ordini di grandezza”. E, aggiunge, c’è un grande divario tra ciò che sono disposti a pagare per tonnellata e il costo attuale per queste opzioni limitate e affidabili.
Tutto ciò lascia il mondo di fronte a una questione fondamentale. Da un lato, investire più denaro nella rimozione del carbonio aiuterà a ridurre il costo delle tecnologie che saranno necessarie in futuro. Dall’altra, il crescente interesse intorno a queste tecnologie potrebbe alimentare aspettative non realistiche sui loro risultati e su quanto nazioni e aziende possono continuare a emettere nei prossimi decenni cruciali. È anche probabile che le richieste del mercato orientino l’attenzione verso soluzioni più economiche che non siano altrettanto affidabili o durevoli.
La complessità della riforestazione
Un articolo di “Science” del 2019 ha affermato che c’è spazio per aggiungere quasi un miliardo di ettari di alberi in tutto il mondo, abbastanza per assorbire più di 200 miliardi di tonnellate di carbonio. Gli autori l’hanno dichiarata “una delle soluzioni di riduzione del carbonio più efficaci fino ad oggi”. La riforestazione su larga scala offre anche numerosi vantaggi aggiuntivi, tra cui la protezione della biodiversità, il miglioramento della salute del suolo e la fornitura di risorse preziose alle popolazioni locali.
Ma i ricercatori hanno criticato aspramente quel documento per avere sovrastimato la capacità di rimozione del carbonio degli alberi, sottovalutando le sfide presentate dagli usi concorrenti per quelle terre e includendo aree non particolarmente adatte alla crescita e al mantenimento delle foreste.
È abbastanza semplice dire, come ha fatto Shell, che possiamo piantare alberi su una superficie come il Brasile. Ma la gente vive nei posti dove andrebbero quegli alberi. E le popolazioni di tutto il mondo hanno piani molto diversi per la loro terra, inclusi alloggi, agricoltura, pascolo del bestiame, miniere, parchi eolici, impianti solari e altro ancora. In particolare, lo scenario del gigante petrolifero prevedeva di piantare alberi sulla scala della quinta nazione più grande del mondo mentre richiedeva un gigantesco aumento della produzione di biocarburanti, che a sua volta richiederà vaste quantità di terreno.
Abbiamo anche visto ripetutamente che i sistemi creati dagli esseri umani per incentivare la piantumazione o la conservazione degli alberi spesso sovrastimano i risparmi di carbonio o forniscono crediti di carbonio per foreste che non erano effettivamente a rischio di essere abbattute. “La ‘contabilità’ del carbonio è discutibile, traballante e spesso sfacciatamente disonesta”, ha scritto Lauren Gifford, una ricercatrice esperta di compensazioni dell’Università dell’Arizona, in una valutazione dei programmi di assorbimento di carbonio delle foreste pubblicata lo scorso anno su “Climatic Change”.
Inoltre, gli alberi cadono e marciscono naturalmente, rilasciando anidride carbonica nell’atmosfera, e il cambiamento climatico stesso sta rendendo le foreste sempre più esposte a incendi, insetti e siccità. Quindi, per fare progressi reali dal punto di vista climatico, non dobbiamo solo piantare miliardi di alberi, ma anche sostituire tutti quelli che muoiono, bruciano o vengono abbattuti ogni anno.
Ma uno degli aspetti chiave che oggi rendono difficile il confronto sulla rimozione del carbonio è l’idea che gli alberi e altri approcci naturali siano affidabili e durevoli quanto le opzioni tecnologiche più costose, afferma Keith. Il sistema delle compensazioni forestali, che è rappresentato dalle emissioni aspirate dagli alberi o non rilasciate perché le foreste che avrebbero potuto essere abbattute sono state invece preservate, costa dai 5 ai 15 dollari a tonnellata.
Nel frattempo, la società di pagamenti online Stripe, che ha creato un programma volto a incrementare la rimozione del carbonio, ha accettato di pagare Climeworks, con sede in Svizzera, 775 dollari per tonnellata per rimuovere la CO2, utilizzando la sua tecnologia di cattura diretta dell’aria.
Ovviamente, data la differenza di prezzo, la maggior parte delle aziende focalizzate sui profitti sceglierà per la prima opzione. Ma non stanno comprando la stessa cosa: mentre gli alberi muoiono e rilasciano la loro CO2, l’anidride carbonica catturata da Climeworks viene convertita in minerali e immagazzinata in profondità nel sottosuolo.
Lackner osserva che il prezzo effettivo della rimozione del carbonio attraverso le foreste sarebbe significativamente più alto se i proprietari terrieri fossero costretti a sostenere i costi correnti del monitoraggio dei livelli di carbonio e le responsabilità per la rimozione aggiuntiva del carbonio in caso di morte degli alberi.
Non possiamo lasciare che la rimozione del carbonio basata su interventi naturali stabilisca il prezzo di mercato, perché per molte ragioni abbiamo visto che non sono affidabili, non permanenti e molto spesso non superiori a ciò che sarebbe successo in assenza di tali sistemi, afferma Duncan McLaren, ricercatore dell’Environment Centre della Lancaster University.
Gli obiettivi vanno separati
Quindi, come possiamo trovare il giusto equilibrio, usando la rimozione del carbonio per ridurre i crescenti pericoli del cambiamento climatico senza permettere che diventi una distrazione dalla priorità più alta della riduzione delle emissioni? Come minimo, i legislatori mondiali non dovrebbero consentire alti obiettivi aziendali di azzeramento netto e chiacchiere sulla rimozione del carbonio per alleviare la pressione per leggi e regolamenti aggressivi sul clima che impongano tagli alle emissioni o incentivino il passaggio a tecnologie più pulite.
“Ci sarà il rischio che le aziende di combustibili fossili e altri utilizzino la rimozione del carbonio come un modo per non cambiare i loro modelli di business finché non avremo un piano tradizionale per porre fine ai combustibili fossili”, afferma Holly Buck, un ricercatore del dipartimento di ambiente e sostenibilità dell’Università di Buffalo.
Alcuni sostengono che i governi dovrebbero anche creare obiettivi separati per garantire che la rimozione del carbonio (a volte chiamata “emissioni negative”) non conti per gli obiettivi di riduzione delle emissioni. “La mancata realizzazione di una tale separazione ha già ostacolato la politica climatica, esagerando il contributo futuro previsto delle emissioni negative nei modelli climatici, oscurando anche l’entità e il ritmo degli investimenti necessari per garantire emissioni negative”, hanno affermato McLaren e altri in Frontiers in Climate nel 2019.
La Svezia è un esempio di questa situazione, avendo fissato l’obiettivo di ridurre le emissioni di almeno l’85 per cento rispetto ai livelli del 1990 entro il 2045 e facendo affidamento in gran parte sulla rimozione del carbonio per portare il resto del percorso a zero. L’Unione Europea ha inserito una disposizione simile all’interno della European Climate Law, limitando il ruolo della rimozione del carbonio a 225 milioni di tonnellate, ovvero a poco più di 2 punti percentuali dell’obiettivo complessivo: una riduzione del 55 per cento delle emissioni entro il 2030.
“Ora è chiaro che la stragrande maggioranza degli sforzi di mitigazione della UE dovrà essere fatta riducendo le emissioni, con la rimozione del carbonio che offre un contributo”, hanno scritto Frances Wang e Mark Preston Aragonès, entrambi della ClimateWorks Foundation.
Fase iniziale e rischi connessi
Sally Benson, professoressa di ingegneria delle risorse energetiche a Stanford, afferma che il denaro che vede fluire oggi nelle startup per la rimozione del carbonio le sembra molto simile alla situazione della tecnologia pulita negli anni 2000, quando gli investimenti si riversarono in tecnologie che erano ad alto rischio. Molti di questi investimenti non sono stati ripagati, poiché le aziende che sviluppano biocarburanti avanzati e materiali solari alternativi hanno fallito sul mercato.
“Temo che si stia verificando anche con le tecnologie di rimozione del carbonio”, ha detto in una e-mail. “Alcuni sistemi più maturi faranno una differenza sostanziale, come BECCS [bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio], ma stanno ricevendo molta meno attenzione rispetto a tecnologie meno mature come la cattura diretta dell’aria e la mineralizzazione”.
Benson evidenzia comunque che queste potrebbero essere tecnologie cruciali in futuro e inoltre “dobbiamo pur iniziare da qualche parte”. A suo parere, dovremmo passare il prossimo decennio a fare ciò che sappiamo far funzionare: ripulire il settore elettrico, passare ai veicoli elettrici e decarbonizzare il riscaldamento, aumentando anche in modo significativo gli investimenti in ricerca e sviluppo per le tecnologie di rimozione del carbonio. “Poi vedremo quale ruolo possono svolgere”, conclude.
(rp)
foto: Selman Design