Le tecniche per affondare le alghe in pieno oceano, secondo i promotori dell’iniziativa, potrebbero permettere di riportare il carbonio ai livelli preindustriali, ma i ricercatori sono ancora alle prese con domande di base su affidabilità, scalabilità e rischi.
di James Temple
Alla fine di gennaio, Elon Musk ha twittato di voler donare 100 milioni di dollari a promettenti tecnologie di rimozione del carbonio, suscitando le speranze di ricercatori e imprenditori. Poche settimane dopo, Arin Crumley, un regista che ha iniziato a commerciare skateboard elettrici, ha annunciato che stava organizzando un team su Clubhouse, l’app audio popolare nella Silicon Valley, per competere per una quota di XPrize, l’organizzazione non profit finanziata da Musk.
Il gruppo di artisti, designer e ingegneri si è riunito sull’app e ha discusso una varietà di possibili mezzi naturali e tecnici per aspirare l’anidride carbonica dall’atmosfera. Nel corso di queste conversazioni, hanno deciso di fondare un’azienda, Pull To Refresh, che si occupasse della crescita delle Macrocystis pyrifera, una specie di alghe giganti oceaniche.
Finora, le iniziative principali dell’impresa includono la coltivazione delle alghe in un serbatoio e il test di controllo su una piccola barca da pesca su un lago della California settentrionale. Ma ci sono già aziende interessate all’acquisto delle tonnellate di CO2 sequestrata dall’ambiente, come un modo per bilanciare le loro emissioni di gas serra.
Crumley afferma che enormi flotte di navi semi-autonome che coltivano alghe potrebbero aspirare circa un trilione di tonnellate di anidride carbonica e immagazzinarla nelle profondità del mare, invertendo efficacemente il processo di cambiamento climatico. “Con a disposizione una piccola quantità di oceano aperto”, dice, “possiamo tornare ai livelli preindustriali” di anidride carbonica atmosferica.
I dati sono ancora scarsi
Numerosi studi mostrano che il mondo potrebbe aver bisogno di rimuovere miliardi di tonnellate di anidride carbonica all’anno dall’atmosfera entro la metà del secolo per prevenire livelli pericolosi di riscaldamento. Inoltre, sempre più aziende stanno setacciando il mercato alla ricerca di crediti di carbonio che consentano loro di compensare le proprie emissioni e rivendicare progressi verso l’obiettivo della neutralità del carbonio.
Questa situazione ha spronato un numero crescente di aziende, investitori e gruppi di ricerca a esplorare tecniche per la rimozione del carbonio che vanno dalla piantagione di alberi alla macinazione di minerali alla costruzione di gigantesche fabbriche per succhiare la CO2. L’alga gigante è diventata un’area di ricerca e investimento particolarmente attiva perché esiste già un’industria che la coltiva su larga scala e il potenziale teorico di rimozione del carbonio è significativo.
Un gruppo di esperti riunito dall’Energy Futures Initiative ha stimato che le alghe hanno la capacità di abbattere da 1 a 10 miliardi di tonnellate di anidride carbonica all’anno. Ma gli scienziati sono ancora alle prese con domande fondamentali su questo approccio. Quante alghe possiamo coltivare? Come si garantirà che le alghe arrivino sul fondo dell’oceano? E quanto carbonio rimarrà lì abbastanza a lungo da aiutare davvero a risolvere il problema del clima? Inoltre, nessuno sa quale sarebbe l’impatto ecologico del deposito di miliardi di tonnellate di biomassa morta sul fondo del mare.
“Non abbiamo esperienza con la perturbazione del fondo dell’oceano con quella quantità di carbonio”, afferma Steven Davis, professore associato dell’Università della California, a Irvine, che sta analizzando l’economia dei vari usi delle alghe. “Non credo che nessuno abbia un’idea precisa di cosa significherà intervenire attivamente nel sistema su quella scala”.
Le incognite scientifiche, tuttavia, non hanno impedito ad alcune iniziative di andare avanti, facendo promesse audaci e mirando a vendere crediti di carbonio. Se nella realtà non viene sequestrato tanto carbonio quanto affermato, si potrebbero rallentare o sovrastimare i progressi sul cambiamento climatico, poiché le aziende che acquistano quei crediti continuano a emettere sulla falsa promessa che gli oceani stiano bilanciando quell’inquinamento, tonnellata per tonnellata.
“Per il settore nel suo complesso, penso che una ricerca condotta dalle università in collaborazione con scienziati del governo e laboratori nazionali contribuirebbe a stabilire un livello di fiducia di base prima di commercializzare alcune di questi prodotti”, afferma Holly Buck, un assistente professore all’Università di Buffalo, che sta studiando le implicazioni sociali della rimozione del carbonio dagli oceani.
Il richiamo dell’oceano
Colonne ondeggianti di alghe giganti fiancheggiano le coste rocciose della Monterey Bay in California, fornendo habitat e terreno di caccia per scorfani, lontre marine e ricci. Le macroalghe brune attingono alla luce solare, all’anidride carbonica e ai nutrienti nelle fresche acque costiere per crescere fino a 60 cm al giorno.
Alla fine degli anni 1980, i ricercatori del Monterey Bay Aquarium diedero vita a una serie di esperimenti per determinare dove finiscono queste alghe. Attaccarono trasmettitori radio a grandi zattere galleggianti di alghe e scansionarono le profondità oceaniche con sottomarini telecomandati. Gli scienziati hanno stimato che le foreste di alghe brune rilasciano più di 130.000 tonnellate di alghe ogni anno.
La maggior parte delle zattere di alghe sono arrivate a riva all’interno della baia nel giro di pochi giorni. Ma nelle osservazioni subacquee, hanno trovato fasci di alghe che rivestono le pareti e il pavimento di un canale sottomarino adiacente noto come Carmel Submarine Canyon, centinaia di metri sotto la superficie.
Gli scienziati hanno individuato resti simili di alghe sui profondi fondali oceanici nelle sacche costiere di tutto il mondo. Ed è chiaro che parte di quel carbonio nella biomassa rimane in fondo per millenni, perché le alghe sono una fonte nota di depositi di petrolio. Un articolo del 2016 pubblicato su “Nature Geoscience” ha stimato che le alghe possono sequestrare naturalmente quasi 175 milioni di tonnellate di carbonio in tutto il mondo ogni anno mentre affondano nelle profondità del mare o si spostano nei canyon sottomarini.
Ciò si traduce in numeri ben al di sotto dei livelli di anidride carbonica che il mondo probabilmente dovrà rimuovere ogni anno entro la metà del secolo, per non parlare di quanto previsto da Crumley e dal suo team. Ecco perché Pull To Refresh e altre aziende stanno esplorando modi per aumentare radicalmente la crescita di alghe, su navi offshore o altrove.
Giù, nel fondo del mare
Ma quanto carbonio rimarrà intrappolato sotto la superficie e per quanto tempo? Alcune specie di alghe, come la Macrocystis pyrifera, hanno minuscole vesciche di gas sulle loro strutture laminarie, che consentono alle macroalghe di raccogliere la luce solare necessaria per la fotosintesi. Le vesciche possono anche mantenere a galla i resti o le “zattere” per giorni o più a seconda della specie, aiutando le correnti a trasportare le alghe su coste lontane.
Quando il carbonio nelle alghe si decompone sulla terraferma o si trasforma in anidride carbonica inorganica disciolta in acque marine poco profonde, può tornare nell’atmosfera, afferma David Koweek, direttore scientifico di Ocean Visions, un’organizzazione di ricerca che collabora con istituzioni come MIT, Stanford e il Monterey Bay Aquarium Research Institute. Il carbonio può anche essere rilasciato se le creature marine digeriscono le alghe nelle superfici degli oceani.
Ma alcune specie di alghe affondano anche nelle profondità dell’oceano. Le vesciche si degradano. Le tempeste le spingono in profondità attraverso canyon sottomarini, come quello al largo della costa di Monterey. I modelli di circolazione oceanica suggeriscono che gran parte del carbonio nella biomassa che raggiunge le grandi profondità degli oceani potrebbe rimanere lì per tempi molto lunghi, perché i modelli di ribaltamento che portano le acque profonde verso la superficie funzionano lentamente. Secondo un recente articolo su “Environmental Research Letters”, al di sotto dei 2.100 metri, per esempio, il tempo medio di sequestro supererebbe i 750 anni in gran parte del Pacifico settentrionale.
Tutto ciò suggerisce che affondare deliberatamente le alghe potrebbe permettere di immagazzinare carbonio abbastanza a lungo da alleviare in parte le pressioni del cambiamento climatico. Ma sarà molto importante dove verrà fatto e quali iniziative verranno intraprese per garantire che la maggior parte della biomateria raggiunga le profondità dell’oceano.
Piani a scopo di lucro
L’idea di Pull To Refresh è quella di sviluppare navi semi-autonome dotate di galleggianti, pannelli solari, telecamere e antenne satellitari, consentendo alle imbarcazioni di regolare la direzione e la velocità per arrivare in punti designati in mare aperto. Ognuna di queste cosiddette Canaries trainerà anche una sorta di traliccio sottomarino fatto di filo d’acciaio, noto come Tadpole, che tiene insieme vasi in cui possono crescere le alghe giganti brune. La nave alimenterà le alghe attraverso tubi di collegamento con un serbatoio di micronutrienti a bordo.
Alla fine, dice Crumley, l’alga morirà e si farà strada naturalmente verso il fondo dell’oceano. L’azienda ritiene che allontanando le navi dalla costa, si possa affrontare il rischio che le alghe morte si trascinino a riva. Pull To Refresh ha già avviato trattative con altre aziende per l’acquisto di tonnellate di alghe.
“Abbiamo bisogno di un modello di business che funzioni ora o il prima possibile”, afferma Crumley. “Quelli con cui stiamo parlando capiscono che siamo in una fase iniziale e in anticipo sui tempi. Ma continueremo a distribuire queste Canaries finché non avremo raggiunto l’obiettivo”. Crumley ha dichiarato in una e-mail che l’azienda avrà due anni per ottenere l’approvazione del suo processo di contabilità del carbonio da un accreditatore di terze parti, come parte di qualsiasi transizione. “Non venderemo mai una tonnellata che non sia stata verificata da terze parti semplicemente perché non vogliamo far parte di qualcosa che potrebbe anche solo sembrare losco”, ha scritto Crumley.
Altre iniziative stanno prendendo ulteriori misure per garantire che le alghe sprofondino e per coordinarsi con esperti scientifici del settore. Running Tide, un’azienda di acquacoltura con sede a Portland, nel Maine, sta effettuando test sul campo nell’Atlantico settentrionale per determinare dove e come i vari tipi di alghe crescono meglio in una varietà di condizioni. L’azienda si concentra principalmente su specie di macroalghe non galleggianti e ha anche sviluppato galleggianti biodegradabili.
L’azienda non sta ancora testando l’affondamento, ma il concetto di base è che dopo circa sei-nove mesi, le alghe dovrebbero arrivare sul fondo dell’oceano e rimanere lì. Marty Odlin, amministratore delegato di Running Tide, sottolinea che l’azienda sta lavorando con gli scienziati per assicurarsi che stiano valutando il potenziale di rimozione del carbonio delle alghe in modi rigorosi e appropriati.
Ocean Visions ha contribuito a creare un team di consulenza scientifica per guidare le prove sul campo dell’azienda, composto da ricercatori del Monterey Bay Aquarium Research Institute, UC Santa Barbara e altre istituzioni. L’azienda sta anche coordinandosi con il Center for Climate Repair di Cambridge per determinare con maggiore precisione la quantità di carbonio che gli oceani possono assorbire attraverso questo tipo di tecniche.
Running Tide prevede di eseguire test per almeno due anni e mezzo per sviluppare un “robusto set di dati” sugli effetti di queste pratiche. L’azienda nutre grandi speranze su ciò che potrebbe ottenere e sul suo sito web afferma: “Coltivare alghe e affondarle nelle profondità dell’oceano è una soluzione di sequestro del carbonio che può raggiungere dimensioni di scala superiori a tutte le altre iniziative”.
Running Tide ha raccolto milioni di dollari da Venrock, Lowercarbon Capital e altri investitori. Anche le aziende tecnologiche Shopify e Stripe hanno fornito fondi, acquistando la futura rimozione dell’anidride carbonica a prezzi elevati (250 dollari a tonnellata nel caso di Stripe) per aiutare a finanziare ricerca e sviluppo.
Diverse altre aziende e organizzazioni non profit stanno a loro volta esplorando modi per sequestrare l’anidride carbonica dalle alghe. Tra queste la Climate Foundation, che sta vendendo una “moneta di alghe” da 125 dollari protetta da blockchain per supportare i suoi più ampi tentativi di ricerca per aumentare la produzione di alghe per il cibo e altri scopi.
I rischi di affondare le alghe
Alcuni esperti di rimozione del carbonio temono che le forze di mercato possano spingere in avanti queste ricerche sulle alghe, al di là della loro reale efficacia. Le aziende o le organizzazioni non profit che lo fanno avranno incentivi finanziari per vendere crediti. Gli investitori vogliono far fruttare i loro soldi. La domanda aziendale di fonti di crediti di carbonio è alle stelle. E i registri di compensazione, che guadagnano fornendo un timbro di approvazione per i programmi di credito di carbonio, hanno un chiaro interesse nell’aggiungere una nuova categoria al mercato del carbonio.
Secondo Yale Environment 360, un registro di compensazione volontario, Verra, sta già sviluppando un protocollo per la rimozione del carbonio attraverso la coltivazione di alghe e sta “osservando attivamente” cosa succede nel settore. Abbiamo già visto questo tipo di pressioni giocare un ruolo con altri approcci per compensare i crediti, afferma Danny Cullenward, direttore delle politiche di CarbonPlan, un’organizzazione no-profit che valuta l’integrità scientifica delle iniziative per la rimozione del carbonio.
CarbonPlan e altri gruppi di ricerca hanno evidenziato crediti eccessivi e altri problemi con programmi progettati per incentivare, misurare e verificare le emissioni evitate o la rimozione del carbonio ottenuta attraverso pratiche di gestione delle foreste e del suolo. Eppure i mercati dei crediti di carbonio continuano a crescere mentre nazioni e aziende cercano modi per compensare le loro emissioni in corso, sulla carta se non nell’atmosfera.
L’idea di mandare le alghe sul fondo dell’oceano crea sfide particolarmente difficili nel verificare che la rimozione del carbonio stia realmente accadendo. Dopotutto, è molto più facile misurare gli alberi che tracciare il flusso di carbonio disciolto nelle profondità dell’oceano. Ciò significa che qualsiasi sistema di contabilità del carbonio per le alghe si baserà in buona parte su modelli che determinano quanto carbonio dovrebbe rimanere sotto la superficie per quanto tempo in determinate parti dell’oceano, in determinate circostanze.
Fare un’attenta analisi dei presupposti giusti sarà fondamentale per l’integrità di qualsiasi eventuale programma di compensazione e di qualsiasi calcolo del carbonio aziendale che si basa su di essi.
Alcuni ricercatori si preoccupano anche dell’impatto ecologico dell’affondamento delle alghe. Wil Burns, un professore in visita specializzato nella rimozione del carbonio della Northwestern University e membro del comitato consultivo di Running Tide, osserva che coltivare abbastanza alghe per raggiungere un miliardo di tonnellate di rimozione del carbonio potrebbe richiedere la presenza di milioni di boe negli oceani.
Le foreste galleggianti di alghe potrebbero bloccare i percorsi migratori dei mammiferi marini. Le creature potrebbero anche agganciarsi alle boe o alle navi che le trasportano, introducendo potenzialmente specie invasive in diverse aree. E le stesse foreste di alghe potrebbero creare “nuovi giganteschi sushi bar”, dice Burns, forse ribaltando le catene alimentari in modi difficili da prevedere.
L’aggiunta di così tanta biomateria e carbonio nell’oceano profondo potrebbe alterare anche la biochimica delle acque e ciò potrebbe avere effetti a cascata sulla vita marina. “Visto che stiamo parlando di un approccio che potrebbe alterare in modo massiccio gli ecosistemi oceanici, è il caso di metterlo nelle mani del settore privato?” chiede retoricamente Burns.
Odlin di Running Tide sottolinea che non ha interesse a lavorare su metodi di rimozione del carbonio che non funzionano o che danneggiano gli oceani, spiegando che il motivo per cui ha iniziato a esaminare la tecnica di affondamento delle alghe è per limitare i rischi del cambiamento climatico sugli ecosistemi marini e le popolazioni ittiche.
Un’ipotesi sopravvalutata
Aumentare la rimozione del carbonio con le alghe dalle centinaia di milioni di tonnellate stimate in modo naturale ai miliardi di tonnellate necessarie dovrà affrontare anche alcune ovvie sfide logistiche, afferma John Beardall, professore emerito alla Monash University in Australia, che ha studiato il potenziale e le sfide della coltivazione delle alghe.
Innanzitutto, solo alcune parti del mondo offrono un habitat adatto per la maggior parte delle alghe, che in genere crescono in acque relativamente basse, fresche e ricche di sostanze nutritive lungo le coste rocciose. L’espansione della coltivazione di alghe vicino alla costa sarà limitata da navigazione, pesca, aree marine protette e territori indigeni, osserva Ocean Visions in una valutazione dello “stato della tecnologia” . Spostarle al largo, con zattere o boe, creerà sfide ingegneristiche e aggiungerà costi.
Inoltre, le aziende potrebbero dover superare complicazioni legali se il loro scopo principale sarà l’affondamento delle alghe su larga scala commerciale. Esistono serie di regole complesse e in evoluzione nell’ambito di trattati come la Convenzione di Londra e il Protocollo di Londra che impediscono lo scarico negli oceani aperti e regolano le “attività di geoingegneria marina” progettate per contrastare il cambiamento climatico.
Le iniziative commerciali per andare avanti con le tecniche di affondamento delle alghe in alcune aree potrebbero essere soggetti a requisiti di autorizzazione in base a una risoluzione della Convenzione di Londra, o andare contro lo spirito della regola se procedono senza valutazioni ambientali, dice Burns.
Il cambiamento climatico sta già devastando le foreste di alghe in alcune parti del mondo, ha osservato Beardall in una e-mail. Il riscaldamento delle acque e l’esplosione demografica dei ricci di mare che si nutrono di alghe hanno decimato le foreste di alghe lungo la costa della California. Anche le foreste di alghe giganti lungo la Tasmania si sono ridotte di circa il 95 per cento negli ultimi anni.
“Questo non vuol dire che non dovremmo considerare la raccolta delle alghe e l’acquacoltura come un approccio al sequestro di CO2“, ha scritto Beardall. “Ma voglio semplicemente sottolineare che non sarà la svolta decisiva”.
Un’altra domanda è semplicemente se affondare le alghe sia il miglior uso possibile. Queste piante offrono oggi una fonte di cibo e reddito fondamentale per gli agricoltori in parti significative dell’Asia e vengono utilizzate in prodotti farmaceutici, additivi alimentari e mangimi per animali. Potrebbero, inoltre, essere impiegate in altre applicazioni che legano il carbonio, come le bioplastiche o il biochar che arricchisce i terreni.
“Le alghe coltivate in modo sostenibile sono un prodotto prezioso con una vasta gamma di usi e un basso impatto ambientale”, ha affermato in una e-mail Dorte Krause-Jensen, professore all’Università di Aarhus in Danimarca che ha studiato il sequestro del carbonio delle alghe. “Secondo me, sarebbe un terribile spreco scaricare la biomassa nelle profondità marine”.
Davis di UC, a Irvine, ha condotto un’analisi economica comparativa di vari modi di utilizzare le alghe, incluso l’affondamento, la conversione in biocarburanti potenzialmente a emissioni zero o l’utilizzo come mangime per animali. I risultati preliminari mostrano che anche se ogni costo si collocasse al limite più basso delle diverse gamme, l’affondamento delle alghe potrebbe costare circa 200 dollari a tonnellata, che è più del doppio delle stime di costo a lungo termine e di fascia bassa per le fabbriche che succhiano il carbonio.
Avanti tutta
Crumley di Pull To Refresh afferma che il suo team spera di iniziare a testare una nave nell’oceano quest’anno. Contesta l’argomento secondo cui le aziende dovrebbero evitare di vendere tonnellate ora con la promessa di un’eventuale rimozione del carbonio. A suo parere, le aziende hanno bisogno delle risorse per sviluppare e ampliare queste tecnologie e le sovvenzioni governative non sono sufficienti. “Se sbagliamo, ci assumeremo la responsabilità di eventuali errori”, dice, “ma pensiamo che questa sia la mossa giusta”.
Non è chiaro, tuttavia, come una startup del genere possa assumersi la responsabilità di errori se le attività danneggiano gli ecosistemi marini. E almeno per ora, non ci sono meccanismi chiari che riterrebbero le aziende responsabili della sovrastima della rimozione del carbonio attraverso le alghe.
In questa fase, è fondamentale eseguire test sul campo per fornire maggiori informazioni sulla scala, la durata e i rischi ambientali dell’affondamento delle alghe, afferma Koweek di Ocean Vision. Colmare queste lacune di conoscenza sarà essenziale per impostare metodi affidabili di contabilità del carbonio per qualsiasi programma di compensazione volontario o regolamentato dal governo che alla fine consentirà alle aziende di acquistare e scambiare crediti di carbonio di alghe.
Koweek crede che le aziende possano svolgere un ruolo utile in questo, lavorando con scienziati e ingegneri di tutto il mondo accademico e non profit per fornire più rapidamente le informazioni necessarie per produrre standard affidabili e determinare le migliori pratiche. “Ma”, conclude, “il livello scientifico è ancoro prematuro per iniziare a commercializzare crediti di carbonio da alghe.
(rp)
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