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    Il prossimo telescopio analizzerà i livelli di ossigeno di pianeti lontani

    Il James Webb Space Telescope della NASA potrebbe sfruttare una caratteristica non evidente per confrontare la quantità di ossigeno presente nell’atmosfera degli esopianeti con quella della Terra.

    di Neel V. Patel

    Gli scienziati sono generalmente d’accordo sul fatto che la migliore strategia per trovare forme di vita extraterrestre è cercare un mondo che presenti condizioni simili a quelle della Terra, compresa la presenza di ossigeno nell’atmosfera, possibilmente indicazione della presenza di organismi capaci di fotosintesi. Gli strumenti attualmente in uso nello studio di esopianeti potenzialmente abitabili non sono equipaggiati per rilevare tali biosignature.

    Secondo un nuovo studio, condotto dagli scienziati della NASA e pubblicato su Nature Astronomy, tutto ciò potrebbe cambiare tra poco più di un anno. “La ricerca di forme di vita oltre la Terra risponde ad una delle grandi domande dell’umanità”, afferma Edward Schwieterman, dell’Università della California, coautore dello studio. “Dato il legame tra ossigeno e vita sulla Terra, sappiamo che è importante cercarne la presenza sugli esopianeti.”

    Lo studio evidenzia una nuova possibilità di utilizzo per il James Webb Space Telescope per rilevare e misurare l’ossigeno su esopianeti. Il telescopio, che dovrebbe essere lanciato nel 2021 dopo una serie di ritardi, era già progettato per lo studio della presenza dei livelli di ossigeno sugli esopianeti, ma i nuovi risultati ne espandono le capacità in maniera inaspettata. Il nuovo metodo potrebbe aiutarci a capire meglio quanto ossigeno è presente su di un altro mondo. Se un pianeta ha livelli di ossigeno simili a quelli della Terra, aumenta la possibilità che anche questi livelli possano essere guidati dalla biologia (anche se certamente non elimina la possibilità di origini non biologiche dell’ossigeno.)

    Prima di questo studio, gli scienziati avevano identificato tre principali lunghezze d’onda sullo spettro elettromagnetico (una nello spettro visibile e due nel vicino infrarosso) che potevano essere osservate per identificare la presenza di ossigeno, ma ad alte concentrazioni, come quelle sulla Terra, le molecole di ossigeno entrano più frequentemente in collisione con gli oggetti. Queste collisioni emettono segnali che non possono essere osservati usando queste tre lunghezze d’onda, rendendole inadatte ad identificare gli alti livelli di ossigeno più probabilmente associati all’attività biologica.

    Il nuovo metodo potrebbe consentire il rilevamento di livelli di ossigeno simili alla Terra in molti sistemi stellari a meno di 16 anni luce di distanza. In sistemi più distanti, sarebbe in grado di rilevare livelli molto superiori a quelli sulla Terra.

    Poichè il metodo permette di rilevare la collisione tra l’ossigeno e altre molecole di gas, dovrebbe permetterci di studiare la chimica dell’atmosfera extraterrestre in maniera dettagliata, al punto da determinare se sia adatta alla vita o potenzialmente il risultato della presenza di forme di vita extraterrestre nel passato o presente. Ad esempio, Schwieterman fa notare come la presenza di ossigeno e metano atmosferico potrebbero indicare la presenza di processi biochimici sulla superficie simili a quelli della Terra.

    Secondo Schwieterman, i migliori esopianeti da studiare con questa tecnica sarebbero quelli in orbita attorno alle stelle nane di classe M, a partire dai pianeti nel sistema TRAPPIST-1, a quaranta anni luce di distanza da noi. TRAPPIST-1 comprende diversi esopianeti che potrebbero rivelarsi capaci di supportare la vita, inclusi tre posizionati proprio nella zona abitabile della loro stella. Come minimo, possiamo usare la banda a infrarossi medi per capire se valga la pena essere entusiasti della presenza di ossigeno su un esopianeta distante.

    (lo)

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