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    Mezz’acqua: il regno degli esseri gelatinosi

    Gli olotipi virtuali rendono possibile descrivere in modo dettagliato la presenza di una nuova specie nelle acque degli oceani senza bisogno della presenza dell’esemplare fisico. 

    di Elizabeth Ann Brown

    Nelle profondità dell’oceano, al di sotto della portata delle correnti spinte dal vento ma ben al di sopra del fondale marino, si trova un mondo intermedio: le acque stranamente immobili, dominate da forme di vita gelatinose dall’aspetto alieno. Qui i ctenofori, le cosiddette noci di mare, colonie di sifonofori si estendono per trenta metri e giganteschi larvacei secernono elaborate strutture di muco.

    Questi strani abitanti della mezz’acqua, chiamata anche la zona crepuscolare, sono notoriamente difficili da studiare. I loro corpi sono così inconsistenti che catturarli è stato paragonato al tentativo di intrappolare la nebbia in una rete e poi metterla in salamoia in un barattolo. Anche se si riesce a catturare esemplari intatti, tendono a dissolversi nei conservanti. 

    Ma due nuovi sistemi di imaging sviluppati da un team del Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI) in California promettono di dare un corpo a queste creature immateriali. I sistemi, chiamati DeepPIV e EyeRIS, creano rendering 3D di creature gelatinose degli abissi. Insieme, possono catturare ogni caratteristica di un animale su scala millimetrica: la struttura degli organi interni, persino il cibo che si muove attraverso il suo tratto digestivo. 

    Il team MBARI ritiene che le scansioni permetteranno ai ricercatori di descrivere per la prima volta queste fragili specie e forse anche a ridurre il tempo tra la prima scoperta di una creatura e la sua conoscenza scientifica, che uno studio del 2012 ha calcolato richiede una media di 21 anni. 

    In una spedizione dello Schmidt Ocean Institute al largo della costa di San Diego nell’agosto del 2021, MBARI ha immerso la coppia di sistemi, insieme a un apparato specializzato per il campionamento del DNA, a centinaia di metri di profondità per esplorare le acque di mezzo. I ricercatori hanno utilizzato le telecamere per scansionare almeno due creature senza nome, un nuovo ctenoforo e un sifonoforo.

    Le scansioni riuscite rafforzano l’idea di olotipi virtuali: campioni digitali che possono fungere da base per una definizione di specie quando raccogliere campioni fisici non è possibile. Storicamente, l’olotipo di una specie è stato un esemplare fisico catturato, conservato e catalogato: una rana pescatrice che galleggia in un barattolo di formaldeide, una felce pressata in un libro vittoriano o uno scarabeo appuntato al muro di un museo di storia naturale. I futuri ricercatori possono esaminarli e confrontarli con altri esemplari. 

    Chi è favorevole a questo modo di procedere, afferma che gli olotipi virtuali come i modelli 3D sono la nostra migliore possibilità per documentare la diversità della vita marina, considerando che diverse specie sono sul punto di perdersi per sempre e senza una loro descrizione precisa, gli scienziati non possono monitorare le popolazioni, identificare potenziali pericoli o spingere per misure di conservazione. 

    “L’oceano sta cambiando rapidamente: temperature in aumento, ossigeno in diminuzione, acidificazione”, afferma Allen Collins, un esperto di esseri gelatinosi con doppio incarico presso la National Oceanic and Atmospheric Administration e lo Smithsonian National Museum of Natural History. “Ci sono ancora centinaia di migliaia, forse anche milioni, di specie da nominare e non possiamo permetterci di aspettare”. 

    Storie da brividi

    Collins ricorda di aver provato a fotografare i ctenofori nel laboratorio umido di una nave da ricerca NOAA al largo della costa della Florida: “In pochi minuti, a causa della temperatura o della luce o della pressione, hanno iniziato a sfaldarsi“, dice. “I loro pezzi hanno iniziato a staccarsi. E ‘stata un’esperienza orribile”.

    “DeepPIV, spiega Kakani Katija, un bioingegnere di MBARI, è stato sviluppato per esaminare la fisica dei fluidi”, spiega. All’inizio degli anni 2010, Katija e il suo team stavano studiando il sistema di filtraggio delle spugne marine e volevano un modo per tracciare il movimento dell’acqua registrando le posizioni tridimensionali di minuscole particelle sospese al suo interno. Successivamente si sono resi conto che il sistema poteva essere utilizzato anche per scansionare in modo non invasivo animali gelatinosi. 

    Utilizzando un potente laser montato su un veicolo telecomandato, DeepPIV illumina volta per volta una sezione trasversale del corpo della creatura. “In questo modo si ottiene un video e ogni fotogramma diventa un’immagine del nostro stack”, afferma Joost Daniels, un ingegnere del laboratorio di Katija che sta lavorando per migliorare DeepPIV. “E una volta che hai una pila di immagini, non è molto diverso da come vengono analizzate le scansioni TC o MRI”. 

    Alla fine, DeepPIV produce un modello 3D, ma non era sufficiente in quanto i biologi marini erano ansiosi di osservare le creature in movimento. Così Katija e Paul Roberts, un altro ingegnere di MBARI, hanno creato un sistema di telecamere a campo luminoso chiamato EyeRIS che rileva non solo l’intensità, ma anche la precisa direzionalità della luce in una scena. Un array di microlenti tra l’obiettivo della fotocamera e il sensore di immagine suddivide il campo in più strati.  

    Le immagini grezze e non elaborate di EyeRIS assomigliano a ciò che accade quando ci si tolgono gli occhiali 3D durante un film: più versioni offset dello stesso oggetto. Ma con gli opportuni accorgimenti, il filmato si risolve in video tridimensionali, consentendo ai ricercatori di osservare comportamenti e movimenti su scala ridotta (le gelatine sono esperti nella propulsione a reazione).

    Quanto vale un’immagine? 

    Nel corso dei decenni, i ricercatori hanno occasionalmente tentato di descrivere nuove specie senza un olotipo tradizionale in mano: un’ape sudafricana, usando solo foto ad alta definizione, e un gufo, con foto e registrazioni. Questo modo di procedere, ha suscitato la protesta di alcuni scienziati. Nel 2016, per esempio, alcune centinaia di ricercatori hanno firmato una lettera in difesa della validità dell’olotipo tradizionale.

    Ma nel 2017, la International Commission on Zoological Nomenclature, l’organo di governo che determina il codice per la descrizione delle specie, ha emesso un chiarimento delle sue regole, affermando che nuove specie possono essere caratterizzate senza un olotipo fisico nei casi in cui la raccolta non è fattibile. 

    Nel 2020, un team di scienziati, tra cui Collins, ha presentato su video ad alta definizione il Duobrachium sparksae, un nuovo genere di ctenoforo. L’esperto del NOAA afferma che le tecniche di visualizzazione del team MBARI rafforzano la tesi degli olotipi digitali, perché si avvicinano di gran lunga agli studi anatomici dettagliati che gli scienziati conducono su campioni fisici. 

    Sta prendendo piede anche un movimento parallelo per digitalizzare gli olotipi fisici esistenti. Karen Osborn è una ricercatrice di invertebrati di mezz’acqua che sovrintende per lo Smithsonian National Museum of Natural History la raccolta di anellidi e peracaridi, animali con una maggiore consistenza e più facili da collezionare rispetto alle gelatine di mezz’acqua. 

    Osborn afferma che la pandemia ha evidenziato l’utilità degli olotipi digitali ad alta fedeltà. Innumerevoli spedizioni sul campo sono state affossate dalle restrizioni di viaggio e i ricercatori di anellidi e peracaridi “non sono stati in grado di entrare di esaminare nei laboratori alcun esemplare”, spiega. Ma lo studio è in piena espansione attraverso la raccolta digitale. Utilizzando uno scanner micro-TC, gli scienziati dello Smithsonian hanno fornito ai ricercatori di tutto il mondo l’accesso a campioni olotipici sotto forma di “ricostruzioni 3D nei minimi dettagli. 

    Quando riceve una richiesta di un campione, che in genere comporta l’invio per posta dell’olotipo dal valore inestimabile, con il rischio di danni o perdite, Osborn dice che prima si offre di inviare una versione virtuale. Sebbene la maggior parte dei ricercatori sia inizialmente scettica, “alla fine rispondono sempre di non avere bisogno del campione perché le informazioni sono sufficienti”. 

    “EyeRIS e DeepPIV ci offrono un modo per documentare le cose in situ, il che è ancora più interessante”, aggiunge Osborn. Durante le spedizioni di ricerca, ha visto il sistema in azione su larvacei giganti, piccoli invertebrati le cui intricate “case di muco”, fino all’avvento di DeepPIV, non erano mai state a fonda dagli scienziati. 

    Katija afferma che il team MBARI sta valutando i modi per ludicizzare la descrizione delle specie sulla falsariga di Foldit , un popolare progetto di scienza dei cittadini in cui i “giocatori” utilizzano una piattaforma simile a un videogioco per determinare la struttura delle proteine.  Nello stesso spirito, i cittadini scienziati potrebbero aiutare ad analizzare le immagini e le scansioni scattate dai ROV. “Pokémon Go aveva persone che vagavano per i loro quartieri in cerca di personaggi virtuali”, dice Katija. “Perché non sfruttare queste risorse per lo sviluppo della scienza?”.
    Elizabeth Anne Brown è una giornalista scientifica con sede a Copenaghen, in Danimarca.

    (rp)

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