Come possono sostenersi le relazioni sociali senza un poco di riservatezza?
di Jason Pontin
Qualche minuto prima di scrivere questo articolo, spedivo il messaggio: “A casa, a Boston, ancora una volta a scrivere su Twitter”. Robert Scoble, autore del blog tecnologico Scobleizer, ha scritto ad Half Moon Bay, in California, “La vita a Milano è decisamente una follia. Lui ci sveglia alle tre di mattina e noi ci guardiamo negli occhi dicendo: “è fantastico che lui sia così vivace””. A San Francisco, Evan Williams, uno dei fondatori di Twitter, ha scritto a proposito di Biz Stone, l’altro creatore del sito: “Discutere della necessità di Biz di migliorare i suoi commenti”. A Tokyo, qualcuno di nome Shiru ha detto: “Sto facendo progressi nel surf. Comunque, ora il dovere mi chiama”.
Sul sito Pownce, Michael Owens, un disegnatore grafico di 22 anni di Chicago, ha usato toni duri nei confronti di se stesso: “Devo assolutamente trovare il modo di non lasciarmi distrarre dai media sociali, dai blog, dai fumetti in rete e da tante altre cose”. Poco tempo dopo, lo stesso Owens dichiarava: “Da non credere! Il film sugli orsetti del cuore (Care Bears Movie è un film del 1985) è in rete. E’ uno spettacolo terrificante”. Su Facebook, Ed Vaizey, un vecchio amico dei tempi dell’università che è ora membro del parlamento inglese, ha comunicato ad altri 233 amici le sue letture preferite: “Ho appena finito di leggere la biografia di Talleyrand di Robin Harris: superba; invece la biografia di Walpole di Edward Pearce, non mi è sembrata un granchè, direi troppo maliziosa”.
Queste note concise, in parte oscure e del tutto autoreferenziali sono esempi di un nuovo fenomeno dilagante nei media sociali chiamato “microblog”: brevi comunicazioni elettroniche spedite ad amici o a una comunità più generale, che contengono qualche informazione sul mittente. Una diffusione generalizzata di messaggi che urlano: “Sono qui!” La lettura dei microblog soddisfa il desiderio diffuso tra molti di conoscere anche i dettagli delle vite delle persone alle quali si è legati. Gli esperti dei nuovi media hanno già coniato un termine che descrive il nuovo comportamento sociale che, a loro parere, i microblog incoraggiano: questi esperti parlano di “presenza”, una esplicitazione concreta dell’idea che usando simili strumenti esercitiamo una forma di onnipresenza virtuale, un “esserci sempre”.
Come Kate Greene mette in evidenza nel suo articolo su Evan Williams (What is He Doing?, pag 44 edizione americana nov/dec), da quando Twitter è stato premiato come il miglior blog ai Web Awards del festival South by Southwest, a marzo 2007, il numero di persone che fa uso dei servizi di microblog si è rapidamente espanso. A marzo, Twitter aveva 100.000 utenti, secondo Biz Stone; oggi, TwitDir.com, una directory indipendente di Twitter, dice che la cifra complessiva si attesta ormai sui 500.000. Ma il segnale più evidente dell’importanza dei microblog è il crescente numero di siti che imitano o replicano il tipo di servizi offerti da Twitter. Recentemente, un blog cinese ha calcolato circa 100 “cloni di Twitter” in almeno 12 paesi. Tutti questi siti possiedono nomi accattivanti e telegrafici: Jaiku, Kyte, Plazes, Pownce, Yappd. Persino Facebook ha deciso di cavalcare l’onda. Il sito più prestigioso delle reti sociali permette ora ai suoi utenti si spedire ai loro amici brevi comunicazioni che descrivono la loro “condizione”.
Due siti di servizi meritano attenzione: Twitter, perché è stato il primo ed è quello più conosciuto, e Pownce, per le sue caratteristiche particolari e la personalità del suo fondatore, Kevin Rose.
Gli utenti di Twitter usano il telefono cellulare, il software per i messaggi istantanei o il sito Web di Twitter per spedire e ricevere messaggi di 140 caratteri, chiamati twitters o tweets (cinguettii). I tweets – che sono prevalentemente risposte alla domanda stimolo di Twitter “Che cosa stai facendo?” – sono indirizzati a singoli amici, a gruppi di amici o a chiunque sia registrato su Twitter.
Gran parte degli utenti di Twitter (i twitterers o twits, in italiano “fesso”, come vengono talvolta inevitabilmente chiamati) comunicano con piccole reti di persone che conoscono, ma i più apprezzati hanno migliaia di persone che li “seguono” (“i seguaci”, per usare il gergo di Twitter). Paul Terry Walhus, un creatore di software di Austin, in Texas, aveva 2.421 amici almeno fino a settembre del 2007. Robert Scoble, il blogger che si occupa di tecnologia, ne aveva 5.880. John Edwards – proprio il candidato democratico – era arrivato a 3.528.
Ma come mi ha detto Evan Williams, “La celebrità tra i twitterers è in realtà un’anomalia, anche quando c’è molto interesse intorno a loro”. William crede che il servizio possa definirsi un sistema che instrada rapidamente messaggi, realizzati con una varietà di strumenti, a persone che hanno scelto di riceverli, nella forma mediatica che essi preferiscono.
L’eleganza di Twitter risiede nella sua estrema semplicità. Pownce è più complesso. Come con Twitter, si possono spedire messaggi ad amici o gruppi di amici o più in generale alla comunità degli utenti del servizio (a differenza dei messaggi di Twitter, quelli di Pownce non possono essere spediti ai telefoni cellulari). Ma si possono indirizzare agli amici anche link, inviti a eventi, foto, brani musicali o video. Inoltre, si può facilmente decidere quale gruppo o sottogruppo di amici riceverà una particolare corrispondenza. E’ questa combinazione di comunicazioni private e condivisione di file che rendono Pownce all’apparenza così funzionale. Queste caratteristiche si ritrovano sempre più di frequente in reti sociali pienamente sviluppate, come Facebook; in ogni caso, Pownce mantiene buona parte della intimità e della immediatezza di Twitter.
Alla creazione di Pownce ha collaborato Kevin Rose, cofondatore e artefice principale di Digg, un sito molto popolare che si occupa di scienza, tecnologia, Internet e informatica, e uno dei creatori di Revision3, una azienda che ospita e produce video on line e che ha lanciato Diggnation, un programma settimanale presentato da Rose e Alex Albretch. Buona parte dell’eccitazione per la prima uscita di Pownce, a giugno del 2007, era legata alla fama di Rose quale creatore di aziende impegnate nei nuovi media che diventano oggetti di culto per le loro giovani audience. Pownce sembrava particolarmente all’avanguardia perché Rose aveva deciso che solo chi possedeva l’invito poteva visitare il nuovo sito.
Molti altri servizi di microblogging si ispirano a Twitter e Pownce. Jaiku, per esempio, funziona sui telefoni cellulari, come Twitter, ma ricorda Pownce per la semplicità di inserire immagini e video. Solo pochi siti presentano qualche novità su aspetti fondamentali: Kyte pubblicizza in grande stile che permette “a chiunque di creare il suo canale di TV interattiva su sito Web, blog, rete sociale o telefonino”, una versione di microblog che fa a meno completamente del mezzo scritto.
I critici dei microblog sostengono che questo tipo di servizi non sono sostenibili economicamente, perché si limitano a galleggiare sulla bolla speculativa degli investimenti del capitale di rischio nelle aziende Web 2.0. Più perfidamente, essi sottolineano la stupefacente banalità dei messaggi sui microblog.
Bruce Sterling, giornalista e scrittore di fantascienza (il cui ultimo racconto breve è pubblicato a pagina 69 di “Technology Review”, nov/dec, edizione americana), ha articolato in modo più sofisticato questa argomentazione, scrivendomi: “Usare Twitter per comunicazioni colte equivale ad accendere la radio CB (amatoriale) e ascoltare qualche giovane che recita l’Iliade”. I mercati di private equity chiariscono meglio il primo argomento: non c’è dubbio che i siti di microblog non esisterebbero senza il capitale di rischio, ma le somme investite sono state relativamente modeste (Twitter, per esempio, si dice che abbia ricevuto circa 5 milioni di dollari da Union Square Ventures e altri investitori, una cifra misera per un’azienda la cui importanza è stata esaltata da media, blogger e suoi utenti).
Sembra comunque ugualmente azzardato scartare l’ipotesi del potenziale affaristico dei servizi di microblog. Anche se la registrazione è sempre gratuita, questi siti possono far pagare ai loro clienti e alle aziende di comunicazioni le funzioni premium. Pownce chiede un pagamento ai suoi utenti per avere la possibilità di spedire file estesi. Forse le aziende di telecomunicazioni wireless potrebbero pagare i servizi per rendere accessibili gli applicativi ai propri clienti; se gli utenti di telefonia mobile aderiscono a un piano, potrebbero, per esempio, selezionare Jaiku come opzione. Un’altra possibile fonte di ricavi potrebbero essere gli avvisi pubblicitari rivolti a un particolare utente; è probabile che gli inserzionisti e chi acquista gli spazi pubblicitari dalle agenzie di pubblicità, a seguito del loro disincanto con le pubblicazioni a stampa e i media tradizionali, opteranno volentieri per i messaggi pubblicitari efficaci e personalizzati offerti da Google AdWords e AdSense. Infine, si potrebbero usare i servizi per il marketing diretto. Alcune aziende (inclusa Twitter) stanno già utilizzando i microblog per promuovere la loro immagine; poiché gli utenti non ricevono messaggi promozionali a meno che non abbiano scelto di accettarli, le comunicazioni pubblicitarie sono probabilmente ben accette.
I miei tentativi di spedire con una certa regolarità i miei messaggi su Twitter e Pownce mi hanno provocato emozioni miste. Ho subito compreso che la semplice critica della banalità dei microblog non permetteva di coglierne il senso più profondo. Come sostiene Evan Williams: “E’ del tutto comprensibile dare un’occhiata alle chiacchiere di qualcuno che non si conosce e domandarsi perché dovrebbero interessarci”. Ma le sole persone che avrebbero potuto interessarsi ai miei microblog – a parte i 15 fedeli seguaci di Pontin su Twitter – erano esattamente quelli che li avrebbero accettati nella loro semplicità: la mia famiglia e i miei amici più intimi. Da parte mia, ho scoperto che la facilità con cui riuscivo a comunicare con le persone che amo incoraggiava una torrenziale loquacità che ha particolarmente allarmato i miei anziani genitori. Loro non mi avevano sentito con tanta frequenza nel corso di tanti anni.
D’altra parte ho provato una seria avversione per la facilità con cui le persone si mettono in mostra su Twitter. Non sono affatto sicuro che sia positivo per chi mi circonda venire a conoscenza dei miei pensieri e dei miei spostamenti più insignificanti o che fosse salutare per me raccontare loro queste cose. Una piccola dose di riservatezza è un lubrificante necessario per le nostre relazioni sociali.