Il mondo sta veramente cambiando. E, con veramente, vogliamo alludere a qualcosa che cambia in modo anche più profondo di quanto appaia in superficie, potremmo dire in copertina.
di Gian Piero Jacobelli
Sull’ultimo fascicolo della edizione americana di “Technology Review” campeggia il volto sorridente di Barack Obama, il candidato democratico alla Presidenza degli USA. Quando queste parole saranno stampate, già sapremo se il mondo è cambiato anche dal punto di vista politico, con tutte le conseguenze del caso; già sapremo se quel sorriso era rivolto al passato o al futuro.
Non possiamo sottovalutare l’importanza di ciò che sta succedendo oltre Atlantico e che la stessa crisi economica mondiale carica di una portata decisiva. Ma c’è un altro aspetto che vogliamo sottolineare, più pertinente al nostro ruolo di vedetta della innovazione, che è politica, ma non soltanto politica, perché è anche tecnologica e antropologica in senso lato.
A guardarlo bene, quel volto in copertina appariva, certo non a caso, striato dalle tipiche righe dello schermo televisivo: anche questo, nella società dello spettacolo, un segno ambiguo, un poco rivolto al passato, quello della televisione e un poco rivolto al futuro, quello del computer. Come dire che, in ogni caso, il mondo sta veramente cambiando: si legge nei servizi interni che, se nella campagna elettorale di Bill Clinton era l’economia a farla da padrone, nella campagna di Obama questo ruolo è passato nelle mani del network.
Mai come in questo caso, il network ha espresso le sue ancora poco conosciute potenzialità: per inviare messaggi o per raccogliere fondi; in una parola, per coagulare quel consenso che solo qualche anno fa sembrava riservato ai rapporti “faccia a faccia”. Tutte le modalità di comunicazione dei new media, infatti, sono state poste in atto per consentire al candidato alla Presidenza statunitense di scalare rapidamente il gap che lo separava da una pubblica opinione apparentemente disattenta e torpida.
Cogliendo al volo la crescita delle reti sociali, Obama ha posto al centro della sua campagna le tecnologie informatiche. Anche gli altri candidati le hanno ovviamente utilizzate, ma nel caso di Obama si è trattato di una vera e propria web strategy: non semplicemente un incremento delle dotazioni informatiche, ma una consapevole attivazione di tutte le “interfacce”, cioè delle relazioni operative e promozionali che è possibile istituire tra mondo reale – il “porta a porta” dei tanti giovani sostenitori che hanno organizzato campagne postali ed eventi – e mondo virtuale, con i suoi siti, i suoi blog, le sue e-mail e via dicendo.
In definitiva, se la campagna di Obama appare innovativa, non è tanto perché ha utilizzato mezzi diversi da quelli tradizionali, quanto perché per la prima volta ha espresso un impegno eminentemente “olistico”: che non contrappone passato e futuro, ma si radica nel presente come l’espressione di un complessivo e complesso impegno di comunicazione, che comporta al tempo stesso una chiara e decisa assunzione di responsabilità nei confronti del cambiamento.
Il mondo sta veramente cambiando, perché si comincia a percepire che questo cambiamento non va inteso come un lasciarsi dietro le spalle qualcosa per conseguire qualcosa d’altro, ma come un responsabile esercizio di sintesi creativa. Lo ribadiva proprio un secolo fa uno dei più geniali sociologi europei, Georg Simmel, distinguendo tra il ponte, che “come linea tracciata tra due punti, prescrive una direzione incondizionata”, e la porta, da cui “l’illimitatezza delle direzioni, il numero infinito delle possibili strade si effondono, gettandosi fuori dalla vita e dalla sua limitatezza”.