Le scienze della vita sono uno dei settori più avanzati, innovativi e coraggiosi della ricerca e dello sviluppo. Toccano temi affascinanti e delicati: la fecondazione assistita; la clonazione; la conoscenza e l’utilizzo delle cellule staminali embrionali, dalle straordinarie potenzialità terapeutiche.
di Alessandro Ovi
Proprio perché toccano questi temi però, le scienze della vita sono diventate un’area di dibattito non solo scientifico, ma morale e politico e, viste in questa ottica allargata, rischiano di essere più argomento di divisioni e conflitti, che di avanzamento della conoscenza.
Il dibattito politico genera contrapposizioni rigide, ciascuna delle quali chiama rappresentanti importanti del mondo scientifico a sostegno di diverse ideologie. Ogni fronte ha i suoi saggi, i suoi Nobel; e nella gente aumenta la confusione. Nascono definizioni di dettaglio delle singole posizioni, difficili da spiegare e che non hanno quasi mai un sostegno scientifico completamente condiviso.
Definizioni che rendono molto difficile un confronto che non finisca per essere solo un conflitto ideologico.
Queste poche righe non pretendono ovviamente di affrontare in profondità nessuno dei temi assai critici che le scienze della vita aprono a una discussione che va al di là di quella scientifica in senso classico.
Tuttavia, usando una testimonianza famosa, vogliamo proporre una linea di riflessione che dia modo alla scienza di fare scienza, alla religione di fare religione e alla politica di fare politica, nel rispetto dei propri ruoli.
Si tratta della testimonianza di un grande governatore dello Stato di New York, il cattolico Mario Cuomo, che quasi vent’anni fa dovette confrontarsi, nella sua funzione di governo, col tema del credo religioso e della moralità pubblica, e che espresse il suo pensiero in uno storico discorso nella Università di Notre Dame, nell’Indiana, forse la più cattolica degli Stati Uniti.
Ne riportiamo qui alcune parti che servono a dare il senso di quale dovrebbe essere, a nostro parere, l’atteggiamento corretto da tenere anche oggi.
«Quale è la relazione tra il mio cattolicesimo e la mia politica? Dove comincia l’uno e finisce l’altra? Esiste separazione tra i due? E se non sono separati, dovrebbero esserlo? (…)
All’inizio dell’estate si è creata l’impressione che la Chiesa cattolica intendesse chiedere ai cattolici di votare per o contro specifici candidati sulla base della loro posizione in materie di fede quali l’aborto, la fecondazione assistita o la ricerca sugli embrioni.
Grazie al dialogo avviatosi nell’estate abbiamo capito che non era così. La Conferenza Nazionale dei Vescovi Cattolici dice che non saranno prese posizioni pro o contro candidati politici e che il suo pensiero su argomenti specifici non deve essere percepita come espressione di preferenza politica.(…)».
(Non ci è chiaro se la stessa posizione sia valida anche oggi) Continua Cuomo:
«Io non parlo da teologo, non ne ho la competenza, nè parlo da filosofo, io parlo da politico. E parlo da cattolico, educato nella Chiesa preconciliare, molto attaccato alla Chiesa, prima per nascita, poi per scelta, infine per amore, una religione di cuore e di testa assieme. (…)
La nostra società è una società di consumi, piena di distrazioni, dove la fede più che combattuta è dimenticata; dove le etnie e i legami di fedeltà che ci legano alla nostra religione si vanno indebolendo. Il cattolico che copre un incarico pubblico in una democrazia pluralistica e che viene eletto per servire anche protestanti, ebrei, mussulmani e buddisti, atei, ha una responsabilità speciale. Dove creare le condizioni per cui tutti possano vivere col massimo della dignità e con un ragionevole grado di libertà; dove sono permesse fedi diverse da quella cattolica e dove la legge protegge anche il diritto di divorziare, usare contraccettivi e perfino di abortire. Il pubblico ufficiale cattolico deve giurare di difendere la Costituzione che garantisce queste libertà. E lo fa serenamente, non perché ha piacere di vedere ciò che gli altri fanno della loro libertà, ma perché si rende conto che garantendo la libertà di tutti garantisce anche la libertà nostra di essere cattolici. Noi sappiamo che il prezzo di cercare di forzare il nostro credo sugli altri sarebbe che un giorno gli altri potrebbero forzare il loro su di noi. La libertà è la forza fondamentale del nostro governo. (…)
Io certamente potrei domandare una legge contro l’aborto o contro forme libere di fecondazione assistita o di ricerca sugli embrioni, non perché il mio vescovo mi dice che ciò è giusto, ma perché penso che l’intera comunità, indipendentemente dalla sua religione, dovrebbe essere d’accordo sulla necessità di proteggere la vita fin dal suo concepimento.
Ma é utile farlo? E essenziale a promuovere l’armonia e la comprensione reciproca? O piuttosto ci divide in modo così grave da mettere a rischio la nostra possibilità di funzionare come società pluralistica? (…).
La moralità pubblica dipende da una visione consensuale su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato; i valori che derivano da un credo religioso non verranno accettati come parte della moralità pubblica a meno che non vengano condivisi con un grande consenso dalla società pluralistica.
Il problema nasce quando i valori religiosi vengono usati a sostegno di posizioni che imporrebbero ad altre persone restrizioni che esse trovano inaccettabili. (…)
Oggi vi sono tanti temi che coinvolgono la vita e la morte, e sono problemi comuni a molte religioni: diritto di morire senza sofferenza, fecondazione assistita, ricerca sulle cellule embrionali, aborto, controllo delle nascite, pena di morte, guerra, e perfino rispetto della natura e utilizzo equo delle risorse nel mondo.
Come cattolico ho accettato come giuste certe risposte; come governatore sono tuttavia coinvolto nella definizione di politiche che determinano il diritto degli altri su questi temi di vita e di morte e credo che tutto ciò debba essere materia di prudente giudizio politico.
Come cattolico io penso che la vita debba essere protetta fin dal suo inizio, ma so bene che i difensori della legalizzazione dell’aborto o delle ricerche sugli embrioni sono gli stessi che spesso hanno lottato e lottano fianco a fianco coi cattolici per realizzare altri obiettivi di giustizia sociale fissati nelle encicliche papali.
Certamente noi non vogliamo modellare la morale cattolica per adattarla al disaccordo dei non cattolici, per quanto il loro disaccordo possa essere sincero.
Ma se l’ampiezza, l’intensità e la sincerità dell’opposizione all’insegnamento della Chiesa non devono poter influenzare la moralità cattolica, non possiamo evitare che incidano profondamente sulla nostra abilità realistica e politica di trasferire la moralità cattolica in legge dello stato; una legge non per i credenti cui dovrebbe non servire, ma per i non credenti che la rigettano. (…)
Stiamo forse chiedendo ai nostri legislatori di definire criminale ciò che noi crediamo sia un peccato, visto che noi stessi non riusciamo a smettere di commetterlo?
Il fallimento qui non è di Cesare, è il nostro fallimento.
A meno che noi cattolici non educhiamo meglio noi stessi ai valori che vogliamo difendere, a meno che non sappiamo dare un esempio chiaro e vincolante, non saremo mai in grado di convincere la società. (…)
Si tratta di un dialogo lungo e complesso, un dialogo che sarebbe tragico diventasse un prolungato argomento di divisione, che pregiudicasse in qualche modo la nostra capacità di cercare punti di incontro.(…)
Noi possiamo essere totalmente cattolici, orgogliosamente cattolici; persuadendo, non obbligando, cercando la verità con amore. E tutto ciò rispettando e beneficiando di una meravigliosa democrazia pluralistica. E possiamo farlo persino da politici».
Il bello e la attualità di questa posizione è che se la penultima frase fosse: «Noi possiamo essere totalmente laici, orgogliosamente laici (come la scienza deve essere); persuadendo, non obbligando, cercando la verità con amore»…, la sua bellezza non cambierebbe affatto.
E questa è la prova migliore della sua validità come punto condiviso di un dibattito tanto importante.