Seguici
Iscriviti alla nostra newsletter

    L’onda su onda dell’innovazione

    Effettivamente, sta succedendo qualcosa: da qualche tempo rileviamo progressivi mutamenti di rotta dalla finestra privilegiata che Technology Review ci spalanca sulla innovazione. In varie occasioni abbiamo cercato di sintetizzare questi mutamenti di rotta nella impressione che – per procedere con la metafora marinara – tendessero al porto, dove per porto vogliamo intendere la concretezza, emozionale e razionale al tempo stesso, del territorio, della casa, del corpo. 

    di Gian Piero Jacobelli

    In altre parole, l’innovazione, con i suoi correlati impegni, scientifici, tecnologici, produttivi, promozionali, sembra, per come si presenta alla pubblica opinione, essere scesa da cielo in terra a miracol mostrare. Si tratta, infatti, di miracoli molto concreti, connessi alla speranza di vivere più a lungo, di vivere meglio e, soprattutto, che molti, se non tutti, possano vivere di più e vivere meglio. 

    Fino a ieri la innovazione (i suoi protagonisti, i suoi contesti di riferimento) si è mostrata più preoccupata dei massimi sistemi che dei problemi individuali, mentre ora la grande macchina della scienza e della tecnologia si sta, per quanto possibile, personalizzando e cerca di intercettare e di soddisfare le esigenze di ciascuno di noi, che siamo diversi, che abbiamo aspettative diverse, che anzi la diversità intendiamo come un valore.

    Da questo punto di vista, anche questo fascicolo non fa eccezione. Si parla di informatica, ma con l’intento di farne usufruire anche chi ancora ne è escluso per ragioni sociali, economiche o culturali, e questo intento concerne sia le macchine, l’hard, con il computer da cento dollari di Nicholas Negroponte, sia i programmi, il soft, con la preannunciata rivoluzione di Charles Simonyi, che non si sa se sia più geniale nel programmare o nel guadagnarci. Si parla addirittura di gastronomia, a conferma che l’innovazione non deve più volare alto, sulle nostre teste, ma vuole sbarcare sulle nostre tavole, anche se si tratta di tavole che, per la verità, almeno in questo caso, non sono alla portata di tutte le borse. 

    A nostro avviso, due ordini di considerazioni possono caratterizzare questo orientamento, per così dire, buonista. In primo luogo, c’è da chiedersi se sia tutto oro ciò che riluce nel nuovo corso, se così possiamo già chiamarlo, dell’innovazione o se, invece, tutta questa attenzione per la customer satisfaction non celi qualche difficoltà o qualche secondo fine. 

    In primo luogo, sulla scorta della celebre metafora della moda di Georg Simmel – una goccia che cade, provocando sulla superficie una serie di onde centrifughe, alle quali si sovrapporrà la prossima goccia -, potremmo pensare a una pulsazione periodica della innovazione stessa, che continuamente si esaurisce al centro per saturarsi in periferia e viceversa.

    In secondo luogo, non necessariamente in alternativa, potremmo pensare che le onde periferiche servano a distrarre l’attenzione dalla goccia che sta cadendo e che, stando ai rumors di questi tempi apprensivi, avrebbe più a che fare con la guerra che con la pace, più con l’interesse che con la conoscenza, più con le impari che con le pari opportunità. 

    Le preoccupazioni che sono implicite in questi interrogativi sui destini della innovazione non possono farcene trascurare il carattere indiziario, perché, se è vero che la maschera nasconde, è anche vero che, nascondendo, rivela le reali intenzioni di chi la indossa. Ora, come abbiamo già osservato, questa maschera ha le fattezze di un corpo umano, concepito non tanto come un ritorno alle origini, quanto come un incremento di facoltà e di capacità rispetto a quelle piuttosto lesinate e irreggimentate che sino a oggi costituivano il modello formativo di riferimento. 

    Quando non si prende in considerazione soltanto il gusto, ma tutti i cinque sensi e magari anche il sesto, trasformando la gastronomia in una vera e propria esperienza sinestetica; quando, riflettendo sulle dinamiche della Rete, ci si pone il problema non tanto di come essere insieme, con gli altri, ma di come essere soli, tra sé e sé; quando, come nel sorridente racconto di Pier Luigi Celli, persino il miracolo finisce per coincidere con il gioco degli umani interessi, possiamo ipotizzare che, sia pure in una prospettiva di copertura, l’innovazione tenda ad andare verso l’uomo. Certo, l’uomo si può fare, rifare, ma anche disfare. Tuttavia, noi continuiamo a pensare, sulla scorta sia della sapienza popolare sia di una personale attenzione per la buona cucina, che chi non risica non rosica.

    Related Posts
    Total
    0
    Share