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    Il bisogno di conoscere

    L’anno del quarantesimo anniversario del primo sbarco di un uomo sulla Luna non è solo un anno di celebrazioni. è anche l’anno in cui la riflessione del nuovo governo americano sul futuro della NASA porta a ripensare in modo complessivo quanto e come investire in generale in ricerca scientifica.

    di Alessandro Ovi

    Partiamo dalla NASA: tra poche settimane sarà pronto il primo studio che delineerà le diverse opzioni per procedere nella esplorazione dello spazio. C’è molta attesa e anche molta incertezza. è da tempo terminata la fase delle missioni Apollo verso la Luna. Sono alla fine i voli degli Shuttle (ne restano solo un paio, uno dei quali con il trasporto sulla stazione spaziale di AMS, un importante esperimento Italiano sulla Materia Oscura). è oramai consolidato il ruolo della Stazione Spaziale Internazionale, la cui orbita non permette però un utilizzo come stazione intermedia per missioni verso altri pianeti del sistema solare. Non si parla quasi più del ricambio degli equipaggi e degli esperimenti scientifici, pure di grandissimo valore, che lì, e solo lì si possono fare.

    Il dibattito sul cosa fare dopo riguarda due punti fondamentali: se proseguire con missioni con esseri umani a bordo, e puntare a un grande viaggio come quello su Marte, con il solo obiettivo di esplorare un mondo nuovo, oppure se concentrarsi su missioni affidate a robot, meno costose, ma anche meno esaltanti. Il fatto è che già da alcuni anni, ma soprattutto ora con la grande crisi che ha colpito tutto il mondo, si è portati a richiedere alla scienza ritorni economici, sul fronte industriale, in tempi brevi.

    Perfino l’idea di una nuova serie di missioni verso la Luna, assai meno onerosa del viaggio umano su Marte, si scontra con l’impossibilità di dimostrarne in modo credibile una qualche utilità pratica. Non c’è nessuna convenienza economica a mandare uomini su basi lunari permanenti per estrarre materie prime, rare sulla Terra, né meno che meno acqua o energia solare, come si è sentito dire recentemente. Non dimentichiamo che all’origine delle straordinarie missioni Apollo il vero motivo era quello di dimostrare una supremazia americana sulla Unione Sovietica nella corsa allo spazio.

    La ricerca scientifica da sola non sarebbe bastata a rendere accettabile uno sforzo tanto grande e straordinario.

    Oggi la minaccia da parte di paesi emergenti, Cina e India, viene affrontata sostanzialmente solo in termini di risposta a potenziali guerre spaziali, e non di grandi balzi verso nuove mete lontane. Il fatto è che la grande ricerca oggi non la fa più un paese da solo, ma possono permettersela solo strutture basate su collaborazioni internazionali il più larghe possibili.

    Ma le collaborazioni internazionali sono sempre più complesse da gestire. Unico esempio positivo è quello dell’acceleratore LHC del CERN a Ginevra, che pure ha avuto, proprio all’avvio della macchina, uno stop grave, forse imputabile proprio alla difficoltà di gestire sistemi estremamente complessi con linee di comando e controllo indebolite da una «gestione collaborativa» molto delicata.

    Anche ITER, il progetto che dovrebbe dimostrare la fattibilità della fusione nucleare, fatica a partire per i continui ripensamenti, in materia di finanziamento e di ripartizione delle ricadute industriali, di alcuni dei suoi grandi protagonisti, non ultimi gli Stati Uniti.

    La «ricerca per la ricerca», la ricerca fatta solo per conoscere con apparenti «grandi sprechi», incontra dovunque sempre più difficoltà a trovare risorse necessarie a procedere. Questo può essere un grave problema per il secolo in cui siamo appena entrati.

    Si parla tanto di un sistema di governo globale della finanza e si perde di vista che, se la nostra civiltà ha fatto gli enormi passi in avanti che ha fatto nel secolo scorso (passi che tutti diamo quasi per scontati, dalla radio a Internet, dal DNA alla bioingegneria dei tessuti, dall’energia elettrica alle nanotecnologie per il solare…), il motore non è stata la finanza. è stata la scienza spinta soprattutto dal bisogno di conoscere e non da quello di guadagnare. La tecnologia e l’industria hanno colto le occasioni che il desiderio di conoscere aveva creato.

    Ma se oggi (e temo anche domani) non si creano più le occasioni, il futuro che ci aspetta non è certo esaltante.

    La strada che verrà seguita sarà ancora una volta indicata soprattutto dagli Stati Uniti e il nuovo programma della NASA, che conosceremo tra poco, può essere un segnale molto importante per tutti.

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