di Alessandro Ovi
Il New York Times ha pubblicato questa splendida foto di un Memorial in Giappone nell’anniversario del terremoto e dello Tsunami del 2011. La mascherina bianca sul volto di una donna vestita di nero tra un mare di lampade funerarie segna in modo inequivocabile il fatto che passerà alla storia di questo tremendo evento: la catastrofe nucleare di Fukushima che, nell’anniversario di questa tragedia da 20000 morti, attira l’attenzione di tutti i media del mondo, pur non avendone provocato ufficialmente quasi nessuno.
Gli argomenti che vengono più comunemente trattati sono tre:
1. Il futuro del Nucleare in Giappone:
– “Dopo Fukushima. Quale sarà la politica energetica per il Giappone?”
http://www.technologyreview.it/index.php?p=article&a=2331
– “L’Industria nucleare Giapponese prossima alla chiusura” (NYT)
2. I dubbi sollevati da Fukushima sulla sicurezza del nucleare e come risolverli.
– “Fukushima avrebbe potuto essere prevenuta” (New York Times).
– “Quanto abbiamo appreso da Fukushima sulla sicurezza nucleare”
http://www.technologyreview.it/index.php?p=article&a=2344
3. La fine del nucleare nel mondo delle Democrazie?
– “Nuclear Energy. The Dream that failed.” The Economist (March 10)
http://www.economist.com/node/21549098
Dalla nascita del Nucleare come sistema di produzione di energia si sono verificati tre storici incidenti, ciascuno dei quali ha acceso un profondo dibattito: Three Miles Islands negli Stati Uniti (1979), Chernobyl in Ucraina, allora Unione Sovietica, (1986), e ora Fukushima (2011). Mentre per Three Miles Island e Chernobyl il dibattito, si è fermato ai primi due punti sopra indicati, solo dopo Fukushima sta emergendo in maniera evidente il terzo punto.
In modo molto semplificato, i motivi per questa differenza nel giudizio sta in alcuni punti essenziali.
– Three Miles Island, pur avendo come conseguenza una parziale fusione del nocciolo del reattore, non ha provocato fughe di radioattività perché il sistema di contenimento ha funzionato. Il dibattito si è pertanto concentrato sulla valutazione delle procedure e delle caratteristiche del sistema di sicurezza per assicurare il non ripetersi dell’incidente.
– Chernobyl è stato considerato gravissimo sia per il modo in cui è avvenuto, sia per l’intrinseca non sicurezza di quel modello di centrale.
Il modo, perché avviato da una serie di procedure non concepibili in un sistema di gestione “Occidentale”, e la intrinseca non sicurezza, perché il suo reattore era intrinsecamente instabile, e quindi andava rapidamente verso un esplosione nucleare, in caso di perdita dell’acqua di raffreddamento. Entrambe queste cause erano però in qualche modo circoscrivibili a parametri di gestione e di progetto per i quali il Sistema Sovietico godeva di una “inaffidabilità” ben nota. (Ricordo che da studente di Ingegneria Nucleare i reattori tipo Chernobyl “moderati” a Grafite e raffreddati ad acqua venivano presentati come esempi da non seguire per centrali di potenza e giustificabili solo per una produzione abbastanza semplice ed abbondante di Plutonio per usi militari).
Quello che di Chernobyl colpì fu la dimensione delle conseguenze che toccarono luoghi anche molto lontani da quello dell’incidente. Per la prima volta un intero continente sentì la paura, la tremenda paura evocata dalle immagini di Hiroshima, e temette l’arrivo di un mostro invisibile, la radioattività, che nessun confine geografico poteva fermare.
Anche se solo in pochissimi casi, come quello Italiano, questo portò alla chiusura di programmi di produzione di energia nucleare anche esistente. Da allora comunque il numero di centrali installate nel mondo restò praticamente invariato.
Ma il nucleare, anche se per tanti anni da allora era stato congelato, aveva recentemente visto rinascere una primavera perché ci si era convinti che la anomalia di Chernobyl era stata superata dalla tecnologia e dalle regole Occidentali.
Fukushima ha caratteristiche del tutto particolari, che hanno sconvolto tutte le sicurezze delle quali le popolazioni erano state nutrite negli ultimi dieci anni.
Il Giappone non è l’Unione Sovietica. Le sue Centrali sono sempre state indicate come esempi di sicurezza anche in ambienti di grave il pericolo sismico.
Proprio per questi motivi di “fiducia tradita” dall’incidente oggi si parla apertamente della “Fine del Sogno dell’Energia Nucleare”.
In brevissima sintesi, i motivi emergono chiaramente dagli articoli citati all’inizio.
– Non pare possibile prevedere eventi tanto gravi (a difesa dei quali progettare la sicurezza) da essere certi che non ne possano accadere di peggiori, anche se con probabilità bassissima. Quando le conseguenze hanno la natura catastrofica del Nucleare in termini di danno economico e sociale non è facile convincere la gente ad accettare probabilità diverse da zero. I “Black Swan” purtroppo continueranno sempre a esistere.
– I sistemi di governo che possono affrontare questo tipo di problema sono solo quelli autoritari, come quello Cinese, in grado di imporre qualunque tipo di decisione, almeno fino a quando le autorità per il controllo della sicurezza e degli impatti ambientali saranno alle dipendenze di quella per lo Sviluppo (cosa per altro vera almeno fino ad ora anche in Giappone, che solo così aveva potuto “non tener conto” degli avvertimenti di scienziati indipendenti sulla insufficienza delle difese a mare delle centrali).
– La paura, la paura dell’ignoto, è un sentimento che nessuno potrà mai permettersi di considerare irrazionale e da combattere. Bisogna tenerne conto, e il costo nel farlo sta mettendo fuori mercato l’industria Nucleare perché continua a crescere a fronte di quelli di altre fonti, dalle rinnovabili al gas Naturale, che sono in costante e stabile diminuzione.
La conclusione di tutto questo è una sola: Il sogno nucleare è morto? Come fonte di energia marginale forse no. Ma come protagonista della soluzione dei problemi energetici del mondo, molto probabilmente sì. E’ un treno oramai passato, e destinato a un binario morto. Cerchiamo di fare attenzione a prendere il prossimo che correrà su tutte le vie del mondo.