La recente scomparsa di Danilo Mainardi riporta alla mente l’importanza che l’autorevole etologo ed ecologo, assai noto anche al grande pubblico, attribuiva, accanto ai suoi molteplici impegni di ricerca e di insegnamento, alla divulgazione scientifica, che perseguiva non soltanto con la sua eloquenza, ma anche grazie a una personalissima abilità nel disegno.
di Gian Piero Jacobelli
Danilo Mainardi è stato l’antesignano della scuola etologica ed ecologica italiana, assommando meriti rilevanti sia sul piano scientifico, sia su quello divulgativo, grazie ai suoi frequenti interventi sui maggiori quotidiani nazionali e sui canali radiotelevisivi.
Molti ne ricorderanno lo stile affabile e accattivante con cui si rivolgeva ai suoi lettori e ai suoi ascoltatori e spettatori, accompagnandoli attraverso le affascinanti curiosità del comportamento animale. Noi vorremmo qui ricordarne il “segno” peculiare. Perché Mainardi era anche un efficacissimo disegnatore, tanto incisivo quanto sofisticato, capace di conferire a un tratto sempre imprevedibile e personale una specifica pregnanza interpretativa.
Tutto ciò non era il frutto di una casuale abilità, ma di una intenzionale e approfondita riflessione sulle opportunità conoscitive dell’immagine tanto in campo letterario, quanto in campo scientifico. Ne sono un poco nostalgica testimonianza le tante pagine che, a più riprese, Mainardi ha preparato per la nostra rivista e che siamo andati a rileggere in questa triste circostanza.
In particolare, nel fascicolo di maggio 1990, “Technology Review” – allora la testata non includeva ancora l’esplicito richiamo al MIT, il Massachusetts Institute of Technology – pubblicava alcuni dei creativi disegni di Mainardi, con le sue riflessioni che di quei disegni evidenziavano caratteristiche formali e intendimenti conoscitivi. Ne ripubblichiamo, in corsivo, i passaggi più significativi, nel sorridente ricordo di un Maestro la cui maieutica simpatia continuerà ad agevolare i nostri sempre più complessi rapporti con la Natura. Con la N maiuscola.
Tratti distintivi
Come vengono, vengono, ma alcuni non vengono male, secondo me. E questi alcuni sono quelli che salvo, quelli che poi la gente vede.
Il fatto è che io i disegni li faccio in un attimo. Ho dentro come un automatismo, un po’ di automatismi, e la mano va, indipendente. Delle volte, avendo dei pennarelli nuovi da provare, senza neanche sapere bene cosa uscirà, appoggio la mano sul foglio e così, come facessi la mia firma, salta fuori un cane, un cavallo, un uccello che vola, un pesce.
Io guardo il disegno e decido, seleziono. Ne butto un mucchio e in questa operazione non ho mai incertezze, perché vedo subito se “ci ho preso”. E prenderci significa aver saputo cogliere lo specifico. Insomma: con una riga, con poche righe, tralasciando una quantità di particolari, allontanandomi magari molto dalla realtà, riuscire ancora a raccontare un topo, un gatto e così via.
Questo mi piace, questo credo (talora) di saper fare. E mi illudo di credere che questa mia supposta capacità abbia una sua ragione d’essere, che c’entri con la mia passione antica per gli animali, con la mia attuale professionalità di zoologo e d’etologo. Forse anche con un dono di natura, che però è collegato con la passione e la professionalità.
Tra noi zoologi parliamo (o parlavamo) di “fiuto sistematico”, intendendo con ciò la capacità innata (ma sarà poi proprio innata?), che alcuni di noi hanno, di sapere scegliere quel tratto distintivo, quella caratteristica propria di quella specie e solo di quella. Basta segnalare quel tratto per dire l’animale. Il resto può essere comune, il raccontarlo può addirittura essere confondente.
Vorrei che prendeste in mano il Systema naturae, che ammiraste il fiuto eccezionale di Carlo Linneo. Una o pochissime frasi belle come una poesia, e l’animale c’è.