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    Il corpo ritrovato

    L’estate consente letture occasionali e quindi inconsuete, sia perché di diversa estrazione disciplinare, sia perché non necessariamente connesse all’attualità, anche se talvolta, come nel caso di un vecchio, ma lungimirante saggio dell’autorevole filosofo Pietro Prini, sembrano riferirsi più al tempo presente che a quello passato.

    di Gian Piero Jacobelli 

    Alle soglie delle vacanze, avviene spesso a chi dei libri fa il proprio alimento quotidiano, di sentirsi chiedere un consiglio su cosa leggere nei giorni liberi dalle consuete incombenze lavorative. Non proprio libri da spiaggia: quelli si trovano facilmente in libreria o persino nelle edicole. Ma libri di lettura non complessa e però meditativa. Libri in primo luogo scritti bene e, in secondo luogo, capaci di aprire spiragli non banali di ulteriore conoscenza.

    Con queste premesse, consiglierei di leggere un libro di filosofia tanto anacronistico da apparire inaspettatamente all’avanguardia. Mi riferisco al saggio di Pietro Prini (1915-2008) Il paradosso di Icaro. L’educazione del desiderio e del bisogno, curato opportunamente da Gianpiero Gamaleri per l’editore Armando.

    Anacronistico, perché si tratta di un libro la cui prima edizione risale al 1976, quando il suo autore era Ordinario di Storia della Filosofia alla romana Sapienza. Anacronistico anche perché allora, nel vortice di una sistematica “decostruzione della presenza” che prendeva le mosse dalle suggestioni demistificanti della fenomenologia, dello strutturalismo, dalla psicoanalisi, Prini ne ribadiva il ruolo anche filosoficamente fondamentale. 

    Di una presenza, tuttavia, non più fondata sulle presunzioni conoscitive e morali, o moralistiche, di un umanesimo retorico e spesso ipocrita, ma sulla concretezza sensoriale più che sensitiva di un corpo che resta fungibile, nonostante tutti gli sforzi per sublimarlo e, se possibile, rimuoverlo: «Nel contesto di una civiltà coercitiva, quasi come una compensazione di ciò che in essa era stato per molto tempo mortificato e certamente anche per rafforzare il sistema di potere su cui essa continua a reggersi, è avvenuta quella “conversione” verso la conoscenza partecipativa, sensoriale, emotiva, in cui si è elaborata la cultura iconico-orale delle odierne comunicazione di massa».

    Vari anni prima che gli studi mediologici si fossero epistemologicamente strutturati, la modernità irrompe nel discorso di Prini con tutta la sua ambivalenza, come contestazione, ma anche come continuazione di una eredità culturale che aveva il suo presupposto nella separazione delle cosiddette “due culture”. 

    La terza via – propugnata da Prini e testimoniata dalle tante iniziative di cui si fece promotore, in primis i perugini incontri del Mondo di Domani, dove di poteva discutere senza preclusioni accademiche – consisteva essenzialmente nella interdisciplinarità e in una concezione della tecnologia che, proprio perché portata alle sue estremizzazioni algoritmiche e immateriali, finisce per liberare il corpo da ogni condizionamento strumentale.

    Se infatti la tecnologia, moltiplicando le sue facoltà protesiche, si sostituisce al corpo prima concepito come mero strumento del fare, il corpo stesso può tornare a volgersi dalla logica del “bisogno” a quella del “desiderio”: «Il fatto che il nostro corpo, quando non sia costretto, non possa essere strumento d’altri che di se stesso, porta un radicale cambiamento di senso alla storia dei suoi stili di posizioni e di movimenti, delle “tecniche del corpo” e delle loro estensioni».

    In questo passaggio dal “corpo-oggetto” al “corpo-soggetto” si possono riaprire le complesse, ma creative declinazioni del piacere, che Prini sintetizzava in un suggestivo capitolo conclusivo dedicato ai “significati transculturali del sapore dolce”: «il sapore», concludeva con pertinente riferimento alle opportunità offerte da vacanze non “vacanti”, almeno sotto il profilo della intelligenza, «dei giorni di festa, dei giorni del desiderio che interrompono il tempo del bisogno, del lavoro, della serietà del reale».

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