Per fare correttamente informazione scientifica e tecnologica è necessario procedere a ripetute verifiche di cosa distingua questa informazione dalla divulgazione, che spesso persegue obiettivi spettacolari. MIT Technology Review, nella precedente edizione cartacea e nell’attuale edizione on line, s’impegna responsabilmente a cogliere nella scienza e nella tecnologia l’interesse comune.
di Gian Piero Jacobelli
Contrariamente alla impressione di una incessante accelerazione indotta dai fattori della mobilità e della comunicazione connessi ai processi di globalizzazione, in realtà il mainstream della modernità procede con ritmi più generazionali che quotidiani.
In effetti, riordinando alcune carte d’archivio relative alle vecchie annate della nostra rivista sono riemerse alcune riflessioni di una ventina di anni fa, poi confluite in un convegno dell’Information Day, annualmente organizzato dal Centro Culturale Saint-Vincent e dedicato ai rapporti tra scienza e informazione.
Quelle riflessioni, rilette a distanza di quattro lustri, suonano ancora assai attuali e proprio questa attualità rende evidente quanto il discorso scientifico – che già allora appariva assediato da almeno due derive espistemologiche: quella che si potrebbe definire come “misticismo scientifico” e quella della cosiddette pseudoscienze – resti insidiato dalla enfasi della spettacolarizzazione, il cui empito mediatico finisce paradossalmente per sottrarre la scienza alla umana discrezione, proiettandola in una sorta di insidiosa trascendenza.
In quel lontano 1997, la esperienza già decennale della nostra rivista ci suggeriva, al contrario, di rivolgerci alla scienza e alle sue implementazioni tecnologiche in una prospettiva comunicativa ispirata alla nozione di interesse, per conferire una concretezza negoziale agli orientamenti scientifici e tecnologici. Restituendoli alla consapevolezza di chi, prima o poi, ne farà le spese, nel duplice senso di coglierne o di subirne i frutti.
In questa prospettiva comparativa tra la informazione scientifica di ieri e quella di oggi, pensiamo utile riproporre all’attenzione dei nostri attuali lettori on line alcune di quelle considerazioni che possono ancora fornire utili spunti di riflessione.
«Una rivista come Technology Review si pone programmaticamente come un tramite deputato tra l’interesse della conoscenza e la conoscenza dell’interesse per comunicare, quindi, non, o almeno non prioritariamente, ciò che la scienza e la tecnologia fanno, ma in quali condizioni e a quali condizioni lo fanno, dal momento in cui, entrando il relazione con le altre realtà della vita quotidiana, sono chiamate a una verifica non di competenza (il vero o il falso) ma di pertinenza (il buono o il cattivo).
É intorno al tema della responsabilità, vale a dire del rapporto tra conoscenza e interesse, che si deve giocare in senso dialettico e problematico la partita della informazione scientifica e tecnologica.
Spesso, quando si parla di scienza, o si minimizza, occultandone le reali difficoltà, o si esagera per le spinte spettacolari che si addensano ormai su tutti i fenomeni della comunicazione pubblica (si pensi al successo televisivo della meteorologia, che sempre più, e sotto vari profili, si propone come un occhio demiurgico) e quindi non si fa scienza.
Al contrario, quando si fa informazione scientifica, si dovrebbe parlare di storia della scienza, di politica della scienza, di organizzazione della scienza e via dicendo. Non a caso, solo restando opportunamente fuori della scienza è possibile tematizzare i rapporti che la scienza intrattiene con la cultura, con la società, con il mondo della produzione, con il tempo libero.
Quanto più la informazione scientifica prenderà atto che il suo obiettivo prioritario è quello di accrescere la possibilità di conoscenza individuale e collettiva delle conseguenze di secondo e terzo ordine della scienza, tanto più potrà tornare a essere, da prevalente strumento di evasione, uno strumento di controllo sociale, che costituisce l’autentico motivo per cui è giusto parlare di scienza e tecnologia anche fuori dei laboratori, dei convegni e delle riviste specializzate».