I risultati della edizione 2018 del Premio Giovani Innovatori confermano alcuni orientamenti operativi della ricerca, che sempre più tende a confrontarsi con il mercato; ma è necessario che questi orientamenti vengano opportunamente sostenuti e orientati politicamente.
di Gian Piero Jacobelli
Nella nostra Home Page continuano a scorre i nomi e le qualifiche dei dodici vincitori dell’annuale selezione per i Giovani Innovatori 2018. Non ripeteremo quei nomi, quindi, rinviando a una più estesa lettura dei loro profili, apparsi online nell’ultimo mese. Una lettura che può corredarsi di alcune considerazioni di merito e di metodo, rese ancora più significative dalla comparazione, questa affidata principalmente alla memoria di chi scrive, con le sette edizioni precedenti.
Ricordo che il primo anno, nella bellissima Aula Magna della Università di Padova intitolata a Galileo Galilei, la impressione generale, dei relatori e di molti degli stessi giovani protagonisti, fu quella di una inventività, talvolta geniale, ma anche afflitta da una sostanziale immaturità imprenditoriale. Quei giovani ricercatori, e quelli che si sono succeduti nei primi anni successivi, apparivano scientificamente e tecnologicamente molto preparati, spesso anche interessati alle opportunità applicative delle loro ricerche, ma non avevano in genere una chiara consapevolezza degli impegni operativi e procedurali – analisi di mercato, valutazione dei costi produttivi, brevettabilità e via dicendo – che quelle applicazioni comportavano.
Al contrario, negli ultimi anni il quadro è radicalmente cambiato. I giovani ricercatori che si candidano e che vengono selezionati dalla Commissione di Valutazione di MIT Technology Review Italia, dimostrano una determinante intenzionalità implementativa. Come se le loro idee, sempre brillanti, nascessero non più soltanto nell’ambito chiuso e talvolta autoreferenziale dei laboratori di ricerca, ma nella dialettica globalizzante della domanda e dell’offerta. Insomma nelle istanze di un mercato che non può fare a meno di una innovazione diffusa e concorrenziale.
Questa indispensabile opzione di mercato, tuttavia, presenta anche qualche inconveniente, almeno sul medio periodo: quello di una compressione delle aree di ricerca, che tendono, ovviamente, a contrarsi in ragione delle linee prevalenti della R&S nazionale: nel caso italiano, energia, elettronica, biotecnologia, informatica, per citarne solo alcune.
Ma, come si è detto, nel campo della ricerca le situazioni cambiano molto velocemente e, se mai, il problema è proprio quello di mettere a frutto esperienze come la nostra per tradurle in indicatori di tendenze che possono e talvolta devono venire corrette, integrate, comunque sostenute da tempestive scelte economiche e politiche.
Sulla necessità di queste scelte si sono soffermati, in ragione dei loro diversi punti di vista, i relatori della tavola rotonda che ha preceduto la premiazione presso l’Alma Bologna Business School e che è stata coordinata da Alessandro Ovi, presidente di MIT Technology Review Italia.
L’argomento in discussione era quello dei rapporti tra Scienza e Ingegneria: come dire, in termini più filosofici, tra pensiero e azione, dal momento che la innovazione comporta un confronto con il presente (un pensiero) e una ipotesi per il futuro (un’azione).
D’altra parte, come ha sottolineato David Rotman, in rappresentanza di MIT Technology Review USA, il termine “innovazione” contiene specificamente la nozione di “nuovo”: nuovi materiali, nuove energie, nuove piattaforme operative, in un processo di incessante cambiamento, che risulta inevitabilmente costoso e che, quindi, richiede anche sempre nuove risorse finanziarie e organizzative.
Romano Prodi, presidente del Comitato scientifico di MIT Technology Review Italia, ha desunto dal duplice valore del nuovo – il nuovo che conta, ma anche costa – un problematico “paradosso della produttività”.
La produttività sembra sempre in ritardo rispetto ai traguardi sia pure ragionevolmente prefissati: perché la ricerca è condizione necessaria, ma non sufficiente della crescita; perché un rilevante investimento in R&S non sempre si traduce in una altrettanto rilevante produttività.
Con l’attuale, insidiosa frammentazione del mercato e con la crisi delle grandi imprese, anche la R&S si disperde in mille rivoli che stentano a fare “massa critica”, pure risultando talvolta più congeniali alla struttura storica della economia italiana.
Fortunatamente oggi si conoscono meglio le dinamiche del sistema produttivo e, per quanto lento, l’andamento della produttività resta suscettibile di accelerazioni sistemiche e programmatiche.
Tempi lunghi tra Scienza e Ingegneria, per riprendere la opposizione di fondo della tavola rotonda. Gianfelice Rocca, presidente di Techint e dell’Istituto Clinico Humanitas, ne ha fornito ulteriori riscontri a proposito della industria della salute, che vorrebbe oggi prolungare la vita oltre le sue stesse possibilità, oltre il suo tempo, ma che deve fare i contri con i tempi lunghi, e i costi elevati, del passaggio dal laboratorio alla pratica medica.
Forse, ha aggiunto Rocca, la ricerca resta ancora troppo accademica, troppo di base, anche perché deve necessariamente passare da situazioni individuali a situazioni collettive, per poi personalizzare nuovamente il concetto di cura. Un problema conoscitivo, ma anche e soprattutto un problema etico, che impone di mettere insieme tanti fattori operativi e tante esigenze valoriali.
In proposito, Adriana Maggi professore ordinario di Biotecnologie Farmacologiche a UniMilano, ha esemplificato questa dimensione etica, tematizzando il ruolo dei diversi soggetti implicati nella ricerca e nella sua proiezione operativa, con particolare riferimento alle scienze della vita, che dovrebbero puntare non tanto a un artificioso prolungamento della vita stessa, ma a combattere gli aspetti deteriori dell’invecchiamento, investendo non tanto sui problemi dei singoli, quanto su quelli della intera popolazione.
Per altro, il passaggio tra ricerca di base e ricerca medica viene ostacolato proprio dalla perdurante insufficienza degli investimenti nella stessa ricerca di base, senza cui non si possono alimentare i successivi processi di brevettazione e di produzione, quanto meno nel campo delle biotecnologie.
Confronto, responsabilità, etica e infine, politica: la magica parola che definisce l’impegno necessario a ricomporre le opposizioni personali e sociali, ma anche quella tra Scienza e Ingegneria, è stata conclusivamente pronunciata da Michele Perrino, amministratore delegato di Medtronic Italia. Il quale ha ricondotto il problema della produttività della ricerca a quello della sostenibilità sistemica di qualsiasi programma di promozione e di qualificazione della ricerca.
Non a caso, nonostante crescano i finanziamenti alla brevettazione, ne decresce la produttività. Sarebbe importante investire non esclusivamente in brevetti di prodotto, ma anche di procedure e di soluzioni.
Come dire che soltanto una innovazione di sistema, concepita come un movimento complesso e coordinato, può venire finalizzata ai bisogni reali della gente. E sistema vuole dire molteplicità di attori, di interessi, di logiche, di valori, di strumenti, di imprese.
Vuole dire, appunto, più “politica”, intesa come un consapevole e intenzionale rapporto tra risorse e progetti. Ma soprattutto, in questo contesto, come il “metalinguaggio” delle indispensabili sinergie settoriali e professionali.