di Gian Piero Jacobelli
Nulla di veramente nuovo, anche per il taglio sostanzialmente cronachistico, ma in questo caso è proprio il frequentissimo riemergere carsico, motivato da prevalenti interessi economici, a risultare significativo. Si tratta ancora una volta di un “cervello artificiale” che la collega londinese descrive come un cervello «che combina le competenze di Curie, Turing e Bach» e che sarebbe in grado di affrontare i problemi più complessi della società contemporanea: «cambiamenti climatici, assistenza sanitaria accessibile e di alta qualità, istruzione personalizzata».
Ciò, nientepopodimeno, è quanto sembrerebbero promettere i ricercatori dell’OpenAI, un gruppo informatico con sede a San Francisco, in California, grazie al finanziamento di 1 miliardo di dollari da parte di Microsoft, che evidentemente investe in maniera così cospicua su un progetto non immediatamente riferibile alle sue attività aziendali perché anche alcuni dei suoi maggiori concorrenti intendono perseguire questo fantascientifico obiettivo di «una intelligenza umana su scala sovrumana».
Ovviamente non si sono fatte attendere le perplessità di carattere sia tecnologico sia filosofico, ma forse il problema sta proprio nell’avere a suo tempo arbitrariamente parlato di un “cervello umano”: anzi di un “cervello umano, troppo poco umano”, per parafrasare Friedrich Nietzsche. Una cosa è cercare di risolvere complessi problemi di calcolo relativi alla vita individuale e collettiva; un’altra cosa è pretendere che le eventuali soluzioni possano costituire delle scelte valide per tutti.
Come giustamente afferma, nella stessa nota, Kristian Hammond, professore di informatica alla Northwestern University. «qualsiasi gruppo che abbia una unica visione di come funzionano i processi cognitivi è destinato a fallire».
Casualmente, questa considerazione trova uno specifico e preoccupante riscontro in un’altra notizia che segue a quella di Madhumita Murgia, intitolata “A chi appartengono i valori?”. Secondo John Thornhill, editorialista di Financial Times, «nel corso degli ultimi due secoli, l’Occidente ha goduto di un quasi esclusivo monopolio nella promozione globale dei valori», continuando a incorporarli negli algoritmi del futuro.
Forse chi progetta «una intelligenza umana su scala sovrumana», si propone proprio di mantenere il controllo ideologico della dimensione valoriale, sottraendola alla dialettica interpersonale e trasformandola nell’etica di macchine “pensanti”, che in realtà non pensano, se pensare significa soprattutto pensare se stessi: qualcosa che, in ragione del celebre teorema di Gödel, a una macchina, materiale o immateriale, non sarebbe comunque possibile. Perciò Thornhill conclude criticamente che la situazione «potrebbe essere in procinto di cambiare».
(gv)