Oggi, 15 agosto 2019, cade il 250 anniversario della nascita di Napoleone: a parte ogni altra considerazione storica, si tratta di una data importante per tutta l’Europa moderna, non soltanto dal punto di vista politico e militare, ma anche da quello della scienza e della tecnologia.
di Gian Piero Jacobelli
Un coup de théâtre, direbbero i francesi. Un colpo di teatro, diremmo noi e forse con maggiore pertinenza dal momento che i Bonaparte – o Buonaparte, come si chiamavano prima che Napoleone francesizzasse il cognome – erano di origini toscane. Tutta la vita di Napoleone può venire riassunta in un colpo di teatro, inteso come la rottura deliberata e manifesta di una tradizionale continuità, come un impegno per mostrare che le cose cambiano se qualcuno dimostra che possono cambiare.
Forse un primo, piccolo colpo di teatro è stato proprio quello di nascere in piena estate, il 15 agosto, giornata di passeggiate fuori porta più che di nascite più o meno improvvise, come sembra sia stata quella di Napoleone, quando la madre, Maria Ramorino, rientrando in casa dalla liturgia dell’Assunzione, partorì improvvisamente il suo secondo figlio. Correva l’anno 1769 in una Aiaccio ormai entrata dall’anno precedente nell’area di influenza della Francia, che invase l’isola annettendola al patrimonio personale del re Luigi XV.
Premessa un poco lunga per dire, semplicemente, che oggi, proprio oggi, 15 agosto 2019, cade il 250° anniversario della nascita di Napoleone: una data che merita certamente di venire ricordata, nelle sue diverse prospettive storiche, talvolta encomiastiche, talvolta radicalmente critiche. Per altro, non abbiamo ancora rilevato, nel contesto italiano, tracce significative di questo anniversario, comunque, a nostro avviso, certamente più rilevante delle commemorazioni che si stanno da tempo preparando per il manzoniano 5 maggio 2021, duecento anni dopo la morte di Napoleone a Sant’Elena.
Chi sa perché si preferisce commemorare le morti rispetto alle nascite? Forse perché, commemorando le morti, ci si vuole liberare del peso eccessivo di memorie non ancora sufficientemente metabolizzate. Insomma, Napoleone è morto; viva Napoleone.
Almeno per quanto ci è stato possibile riscontrare, la iniziativa più stimolante, al momento, resta la mostra “Napoleone 1769-2019: un Grande di Francia in Toscana nel 250° anniversario della nascita”, che resterà aperta fino al 31 ottobre nell’Isola d’Elba. A Portoferraio, la storica Palazzina dei Mulini, trasformata da Napoleone in una piccola reggia durante il suo esilio elbano (dal 4 maggio 1814 al 26 febbraio 1815), ospita una bella selezione di soldatini di piombo napoleonici, provenienti dalla collezione fiorentina di Alberto Predieri. Si tratta di piccoli capolavori realizzati in scala 1/32, che riproducono fedelmente soggetti militari dal XVIII secolo al Risorgimento italiano: reparti schierati, divise perfettamente riprodotte, armamenti e carriaggi, insieme a incisioni della prima metà del XIX secolo, che raccontano la carriera di Napoleone, dai primi successi del giovane generale a Tolone nel 1793 all’esilio in Sant’Elena.
Parlando di soldatini di piombo si rischia, tuttavia, di ridurre le caratteristiche salienti di Napoleone alle sue capacità militari, che rivoluzionarono l’arte della guerra, sostituendo alla concezione di una contrapposizione statica di eserciti quella di azioni manovrate, in grado di scompaginare il campo di battaglia e gli eserciti avversari, come rilevò Carl von Clausewitz, definendo la guerra come «la prosecuzione della politica con altri mezzi».
Perciò, per non prescindere dai nostri consueti interessi scientifici e tecnologici, abbiamo pensato di ricordare la nascita di Napoleone prendendo in considerazione un altro aspetto della sua complessa personalità: quello appunto del suo interesse per la scienza e la tecnologia.
Non a caso, iniziando precocemente la carriera militare, preferì entrare come sottotenente in un reggimento di artiglieria, dove poteva mettere a frutto la giovanile formazione matematica e geometrica. Non sorprende quindi, una trentina d’anni dopo, quando Napoleone era ormai Primo Console del nuovo regime francese, vederlo raffigurato, a volte in piedi e a volte seduto, con Alessandro Volta, il quale nel 1799 aveva inventato la celeberrima pila e nel 1801 ebbe la opportunità di presentarla proprio a Napoleone, a Parigi.
Ma non si tratta di una mera notazione di cronaca, se si pensa che, nel breve volgere di tre decenni, tra il XVIII e il XIX secolo, la scienza e la tecnologia fanno registrare una rivoluzione non meno rilevante di quella politica. Dal punto di vista istituzionale, le vecchie Accademie, sedi di dibattiti sempre più anacronistici ed elitari, subirono riforme radicali, trasformandosi in luoghi dove poteva nascere una ricerca orientata verso i nuovi saperi fisici, chimici, biologici. In pochi anni si concentrano in Francia molti scienziati che hanno lasciato una grande impronta nella storia della scienza occidentale: Jean-Baptiste Lamarck, Antoine-Laurent Lavoisier, Georges Cuvier, Pierre Simon Laplace, Joseph-Louis Lagrange, Nicolas Léonard Sadi Carnot, per citarne solo alcuni.
Questa rivoluzione scientifica e tecnologica, anche grazie a Napoleone e alla sua capacità, senza dubbio molto teatrale, di vedere a distanza, si implementò in numerosi progetti in grado di trasformare la vita individuale e quella collettiva. Due di questi progetti appaiono particolarmente emblematici perché concernenti i due fattori fondamentali della moderna rivoluzione industriale: quello della comunicazione e quello della mobilità, intesi dallo stesso Napoleone come le strutture portanti della incipiente globalizzazione del mondo, su cui avrebbe voluto imporsi.
Verso la fine del XVIII secolo Claude Chappe aveva sviluppato un sistema telegrafico basato su una catena di segnalatori semaforici, che prevedeva una torre su cui era installato un braccio rotante e due bracci minori in grado di assumere diverse configurazioni. Da una postazione successiva, distante diversi chilometri, un addetto dotato di cannocchiale riceveva il messaggio e lo ripeteva a sua volta ad altre stazioni. La prima linea commerciale fu aperta nel 1794 tra Parigi e Lille e rapidamente si sviluppò in una rete che seguì la espansione dell’impero napoleonico e che Napoleone, consapevole dell’importanza delle comunicazioni in campo militare, installò anche nei campi di battaglia.
L’altro esempio, molto aggressivo, ma altrettanto profetico, fu quello del canale sotto la Manica, che rispondeva al tradizionale antagonismo tra Francesi e Inglesi e che Napoleone, stratega visionario, immaginava come lo strumento decisivo di una invasione degna della fantasia di Jules Verne, associandolo alla discesa dal cielo di migliaia di palloni aerostatici adibiti al trasporto dei reggimenti di fanteria. L’idea gli venne guardando un vecchio progetto di uno dei suoi ingegneri, Albert Mathieu-Favier, il quale credeva possibile collegare Francia e Gran Bretagna con un tunnel sottomarino illuminato e ventilato, abbastanza largo da farvi transitare delle carrozze e, quindi, anche la cavalleria.
Ancora una volta, nell’età che aveva scommesso sulla “magia” dei fluidi, da quello calorico a quello elettrico, da quello magnetico a quello mesmerico, Napoleone si dimostrò quanto meno mentalmente più “fluido” dei suoi avversari, almeno sinché non fu tradito – come hanno insinuato scherzosamente i due storici della chimica Penny Le Couter e Jay Burreson in I bottoni di Napoleone (Longanesi, 2006) – dai bottoni di stagno delle uniformi, che durante la campagna di Russia del 1812 non ressero al gelo, costringendo le truppe francesi a recedere.
Tra le comunicazioni a distanza e i palloni aerostatici che i fratelli Joseph-Michel e Jacques-Étienne Montgolfier avevano da poco trasformato in grandi eventi spettacolari, Napoleone immaginò il suo palcoscenico mondiale, che gli avrebbe consentito di “farsi vedere” anche da fuori, oltre la sua Corte imperiale, quasi che la sua gloria non appartenesse a questo mondo.
Riemerge così la “teatralità” da cui Napoleone non prescindeva mai, tanto che nei suoi numerosi viaggi si faceva accompagnare da una intera compagnia di attori e addetti teatrali, come nel 1808 al Congresso di Erfurt con lo Zar Alessandro I di Russia, sotto la “regia” ambigua del solito, immarcescibile Charles-Maurice Talleyrand.
Una “teatralità” altrettanto evidente, per esempio, nelle sue raffigurazioni istituzionali, soprattutto quelle affidate alla maestria del grande pittore di corte Jacques-Louis David, il quale divenne così il testimone privilegiato, e talvolta ironico, sia della ascesa, sia della caduta di Napoleone.
(gv)