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    Eni trivella anche su Rosetta

    (ma stavolta non cerca petrolio)

    di Luca Longo

    Il 12 novembre 2014 – per la prima volta nella storia – il lander Philae, trasportato dall’orbiter Rosetta, ha raggiunto la superficie di una Cometa.

    Rosetta porta con sé un pezzo d’Italia grazie al contributo di tutti gli scienziati dell’ European Space Agency (ESA), ma anche grazie al ruolo avuto dall’Eni nello sviluppo di alcune tecnologie a bordo del robot spaziale.

    La tecnologia sviluppata dalla società Tecnomare (controllata al 100% da Eni) è stata utilizzata per costruire il sistema Sampling Drilling and Distribution (SD2), che sta raccogliendo campioni del suolo della Cometa distribuendoli ai diversi dispositivi che eseguono le analisi a bordo di Philae.

    Sulla base dei requisiti richiesti dagli scienziati ESA – in prima fila la professoressa Amalia Ercoli-Finzi del Politecnico di Milano, Principal Investigator di SD2 – Eni ha progettato il dispositivo di acquisizione dei campioni dal suolo della Cometa (“driller/sampler” e “volume checker”), curandone anche l’ingegnerizzazione, la costruzione, i test e la preparazione per l’integrazione con il Lander Philae destinato all’atterraggio sulla Cometa.

    Questi dispositivi, progettati e testati per resistere alle accelerazioni del lancio e per lavorare nel vuoto a temperature operative variabili fra 20 C e -160 C, sono stati realizzati in cooperazione con Selex ES, con finanziamento dell’ Agenzia Spaziale Italiana.

    Il driller/sampler è un dispositivo miniaturizzato, lungo 675 mm ma del diametro di soli 12 mm, che perfora il terreno fino alla profondità di 230 millimetri per ricavare un campione dal fondo. Costruito in acciaio AISI 316 e Titanio per ridurre il più possibile la massa e portarla a soli 200 g complessivi, è in grado di prelevare un campione del diametro di 2.5 mm dal fondo del foro che ha praticato, trattenerlo e poi rilasciarlo in uno dei fornetti per l’analisi spettroscopica presenti su Philae grazie a un meccanismo coassiale interno e ad un sistema di distribuzione rotante.

    Il sistema di perforazione è stato progettato per tenere in considerazione l’ampia variabilità delle reali condizioni di resistenza del materiale che costituisce la superficie della Cometa, che può arrivare alla durezza del ghiaccio omogeneo. Un altro requisito vitale consiste nel limitare entro un massimo di soli 10 N la forza di perforazione assiale per evitare un tragico distacco di Philae dalla Cometa.

    Il campione estratto viene quindi depositato in un sistema elettromeccanico (volume checker) che ne misura la quantità, lo comprime con la forza di 1 N, per poi distribuirlo all’interno dei vari strumenti (cromatografi e spettrometri di massa) per le analisi. Anche qui i vincoli richiesti richiedono il massimo dell’ingegno e dell’esperienza Eni: il volume di questo strumento è compreso in 210x34x27 mm3 e la massa totale è stata portata a soli 154 g grazie all’uso della lega 7075 T6 a base di Alluminio e contenente Zinco, Magnesio e Rame. Inoltre la precisione richiesta deve essere compresa in una risoluzione di 0,0625 mm: circa un terzo del diametro di un capello. Con buona pace di chi crede che gli scienziati italiani, quando serve, non sono in grado di spaccare un capello in quattro…

    (MO)

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