I tentativi di Twitter e Facebook di affrontare la crescente diffusione di teorie del complotto di estrema destra secondo la quale esisterebbe un’ipotetica trama segreta organizzata da un presunto “stato parallelo” contro il presidente Trump, non possono funzionare senza la collaborazione di tutte le piattaforme online.
di Abby Ohlheiser
Twitter è un perfetto megafono per l’estrema destra: le tematiche affrontate sono gli argomenti del giorno, i mass media seguono costantemente il sito e, se si è fortunati, il Presidente degli Stati Uniti potrebbe ritwittare. QAnon, il gruppo più grande e forse più pericoloso a sostegno della teoria del complotto degli ultimi anni, si è affermato con le sue tattiche “militari” e ha utilizzato la piattaforma per manipolare l’informazione.
Qualche giorno fa, Twitter ha deciso di intervenire per limitare il successo di QAnon: ha rimosso circa 7.000 account che promuovono la cospirazione, designando QAnon come “attività coordinata per disinformare”, impedendo che contenuti simili vengano visualizzati nei risultati di tendenza e di ricerca.
“Sospenderemo definitivamente gli account che violano le nostre linee guida o stanno tentando di aggirare le nostre misure”, ha annunciato Twitter. L’azienda ha aggiunto di aver registrato un aumento di tali attività nelle ultime settimane. Il “New York Times” ha riferito che Facebook sta pianificando a breve di “prendere misure simili per limitare la portata dei contenuti di QAnon sulla sua piattaforma”, citando due dipendenti dell’azienda che parlavano in modo anonimo. L’altro ieri, TikTok ha eliminato diversi hastag relativi a QAnon dai risultati di ricerca.
Questa recente spinta a limitare la diffusione di QAnon segue due campagne di alto profilo guidate dai complottisti. La modella Chrissy Teigen, che ha oltre 13 milioni di follower su Twitter, è stata oggetto di un’intensa campagna di molestie. Più recentemente QAnon ha contribuito a diffondere una falsa teoria sul traffico di esseri umani da parte di Wayfair, la catena di negozi di mobili online. Le affermazioni si sono diffuse da Twitter agli account di Instagram e TikTok che promuovono la teoria della cospirazione per i loro seguaci.
“Questo tipo di disinformazione di massa ha un impatto significativo sulla vita delle persone”, ha affermato Renee DiResta, responsabile della ricerca presso lo Stanford Internet Observatory ed esperto di fake online. Ma la diffusione su Twitter è solo una piccola parte del motivo per cui QAnon esercita influenza, e solo un esempio di come le piattaforme amplificano credenze marginali e attività dannose. Per fermare effettivamente QAnon, dicono gli esperti, ci vorrebbero interventi più radicali e all’insegna del coordinamento, sempre che sia possibile ancora farlo.
Una cospirazione globale
QAnon è nata alla fine del 2017 dopo una battuta del presidente Donald Trump in una conferenza stampa sulla “calma prima della tempesta” che ha generato una serie di post misteriosi su 4chan attribuiti a “Q”, in cui veniva previsto l’imminente arresto di Hillary Clinton. Anche se ciò non è accaduto, “Q” ha continuato a pubblicare post, sostenendo di sapere tutto su un piano segreto guidato da Trump per arrestare i suoi nemici.
“QAnon ha origine da un confronto tra più piattaforme che è iniziato sui social media, in un ambiente caratterizzato dall’utilizzo di pseudonimi, senza un obiettivo preciso”, afferma Brian Friedberg, ricercatore del Technology and Social Change Project dell’Harvard Shorenstein Center. I post si spostano da un sito all’altro a seconda dei divieti e ora si trovano su una bacheca chiamata 8kun.
I post hanno attirato l’attenzione dei follower che trascorrono il loro tempo a interpretare questi messaggi, trarre conclusioni e condurre campagne per rendere i messaggi più visibili. Alcuni aderenti a QAnon hanno condotto campagne di molestie coordinate contro giornalisti, comunità online rivali, celebrità e politici liberali. Altri si sono presentati ai raduni di Trump indossando merchandise con pubblicità favorevoli a “Q”.
Il presidente ha ritwittato decine di volte account Twitter relativi alle teorie complottiste, anche se rimane aperta la questione di quanto sia consapevole di ciò che “Q” è realmente, al di là di apparire come un movimento che supporta la sua presidenza su Internet. Inoltre, ci sono stati diversi episodi di violenza nella vita reale legati ai sostenitori di QAnon.
In genere, si è ritenuto che le idee di QAnon fossero diffuse da un numero relativamente piccolo di aderenti, estremamente bravi a manipolare i social media per ottenere la massima visibilità. Ma la pandemia ha reso la situazione più complicata, dal momento che QAnon ha iniziato a fondersi con siti di disinformazione sulla salute e ad aumentare rapidamente la sua presenza su Facebook.
A questo punto, QAnon è diventato una teoria onnicomprensiva, afferma DiResta: non si tratta più solo di alcuni post di bacheche di messaggi, ma piuttosto di un ampio movimento che promuove molte idee diverse e collegate tra loro. I ricercatori sanno che l’accettazione di una teoria della cospirazione può portare alla condivisione anche delle altre e che potenti algoritmi di raccomandazione sui social media hanno essenzialmente accelerato esponenzialmente questo processo. Per esempio, dice DiResta, la ricerca ha dimostrato che i membri dei gruppi Facebook anti-vaccino accedono ai gruppi che hanno promosso la teoria della cospirazione del Pizzagate nel 2016.
“L’algoritmo di raccomandazione sembra aver riconosciuto una correlazione tra utenti che condividevano la convinzione che il governo nascondesse una verità segreta. Il tipo di verità segreta cambiava di volta in volta”, egli afferma. I ricercatori sanno da anni che piattaforme diverse svolgono ruoli diversi in campagne coordinate. Le persone si coordineranno in un’app di chat, in una bacheca di messaggi o in un gruppo privato di Facebook, indirizzeranno i loro messaggi su Twitter e ospiteranno video sul contenuto prescelto su YouTube.
In questo ecosistema informativo Twitter funziona più come una campagna di marketing per QAnon, in cui i contenuti sono creati per essere visti e interagiti con gli estranei, mentre Facebook è il motore del coordinamento, specialmente in gruppi chiusi. Reddit era l’hub principale dell’attività di QAnon, fino a quando il sito non ha iniziato a limitarlo nel 2018 a causa dell’incitamento alla violenza e alle ripetute violazioni dei suoi termini di servizio. Ma invece di diminuire il suo potere, QAnon si è semplicemente spostato su altre piattaforme di social media tradizionali dove aveva meno probabilità di essere bandito.
Tutto ciò significa che quando una piattaforma agisce da sola per bloccare o ridurre l’impatto di QAnon, interviene solo su un aspetto del problema. A parere di Friedberg, le piattaforme dei social media stavano “aspettando qualche episodio di violenza di massa” per eliminare i complottisti puri. Ma il potenziale danno di QAnon è già evidente se si smette di considerarlo un sostegno a Trump e lo si vede per quello che è, vale a dire un sistema generalizzato di diffusione della disinformazione”, spiega Friedberg.
“Le persone possono essere deprogrammate”
Steven Hassan, un consulente psichiatrico ed un ex sostenitore di culti legati alla Chiesa dell’Unificazione di Sun Myung Moon, i cosiddetti Moonies, afferma che discutere di gruppi come QAnon come un problema di disinformazione o di tipo algoritmico è limitante. “Vedo QAnon alla stregua di un cult”, dice Hassan. “Quando si viene indottrinati in un nuovo sistema di credenze … molto è motivato dalla paura”.
“Le persone possono essere deprogrammate”, dice Hassan. “Ma coloro che avranno maggiore possibilità di tirarli fuori da questa dipendenza sono i familiari e gli amici. Se le piattaforme volessero affrontare seriamente i problemi sollevati dall’adesione a gruppi ideologici come QAnon, dovrebbero impegnarsi in modo sostanziale”, egli spiega.
Innanzitutto, Facebook dovrebbe educare gli utenti non solo a riconoscere la disinformazione, ma anche a capire quando si trovano di fronte campagne coordinate di manipolazione. Le spinte coordinate sui social media sono un fattore importante nella crescita di QAnon sulle piattaforme tradizionali, come recentemente documentato dal “Guardian”. Il gruppo ha esplicitamente abbracciato la “guerra dell’informazione” come tattica per guadagnare influenza. A maggio, Facebook ha rimosso una piccola raccolta di account affiliati a QAnon per comportamenti scorretti.
In secondo luogo, Hassan raccomanda alle piattaforme di impedire alle persone di addentrarsi nella tela di siti legati a QAnon, ma di favorire l’accesso ai resoconti di chi, come lui, si è liberato dal tunnel disinformativo di QAnon. Friedberg, che ha studiato a fondo il movimento, afferma di ritenere che le piattaforme tradizionali siano fuori tempo massimo per intervenire e fermare QAnon, anche se si potrebbe, per esempio, limitare la capacità dei suoi aderenti di fare propaganda su Twitter.
“Hanno avuto a disposizione tre anni di accesso quasi illimitato al di fuori di determinate piattaforme per svilupparsi ed espandersi”, afferma Friedberg. Inoltre, i sostenitori di QAnon hanno una relazione attiva con la fonte della teoria della cospirazione, che pubblica costantemente nuovi contenuti. Limitare l’influenza di QAnon richiederebbe la rottura della fiducia tra “Q”, il nome multiplo sotto il quale agisce programmaticamente un nucleo di destabilizzatori del senso comune, e i suoi sostenitori. Considerando “la lunga storia di previsioni imprecise di ‘Q’”, l’operazione sembra difficile.
Le migliori idee per limitare QAnon richiederebbero un drastico cambiamento e una maggiore convinzione da parte delle persone che gestiscono le aziende sulle cui piattaforme QAnon ha prosperato. Ma anche gli annunci di questa settimana non sono così risolutivi come avrebbe potuto sembrare all’inizio: Twitter ha chiarito che non applicherà automaticamente le sue nuove politiche contro i politici che promuovono i contenuti di QAnon, compresi diversi candidati alle elezioni presidenziali.
Inoltre, spiega Friedberg, Twitter ha vietato la condivisione di alcuni URL associati alle teorie complottiste, ma le persone hanno già indirizzi alternativi a cui rivolgersi. “Nel complesso”, conclude DiResta, “modificare la situazione richiederebbe ripensare l’intero ecosistema informativo”.
(rp)