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    Trivelle e fotovoltaico: Cuba ha tutta l’energia che le serve

    L’elezione di Trump, la crisi venezuelana e la morte di Castro hanno suscitato paura fra gli investitori che scommettono su Cuba. Ma sul fronte dell’energia i timori sono esagerati: la realtà è che l’isola caraibica ha avviato investimenti per arrivare all’autosufficienza.

    di Luca Longo

    Dopo la morte del Lider Maximo, non è chiaro quale sarà il futuro politico ed economico di Cuba, né se il fratello Raúl continuerà a guidare l’isola verso un’economia più aperta. Se cioè continuerà a promuovere gli investimenti e il commercio con l’estero pur rimanendo fedele agli ideali della rivoluzione cubana.

    L’anagrafe avverte che lo stesso Raúl – a 85 anni compiuti – non potrà guidare la nazione per il tempo e con il vigore necessari in questa nuova fase della sua storia. Potrà, al più, dettare l’indirizzo e influire sulla scelta del suo stesso successore.

    La situazione è stata ulteriormente complicata dalla sorprendente elezione di Trump alla Casa Bianca. Quest’ultimo ha più volte ripetuto in campagna elettorale che avrebbe smantellato le operazioni diplomatiche di riavvicinamento intraprese da Obama durante il suo ultimo mandato. L’imprevedibile miliardario ha cambiato completamente tono immediatamente dopo l’elezione, ma non è detto che si rimangi questa promessa.

    Sembra quindi giustificato il diffuso nervosismo fra le compagnie che investono nell’economia cubana – ed in particolare fra quelle legate al settore energetico.

    La perdurante crisi in Venezuela ha ridotto le forniture di petrolio a Cuba. Nell’ottobre 2000, Chávez e Fidel avevano stretto l’accordo Convenio Integral de Cooperación in base al quale il Venezuela avrebbe spedito 53mila barili al giorno verso l’isola in cambio di supporto nei settori dell’educazione e della salute – per le quali Cuba non ha eguali in tutto il Nuovo Continente – oltre che nella ricerca scientifica e tecnologica. Nel febbraio 2005 le spedizioni sono state portate a 90mila barili al giorno. Cuba consuma circa 120mila barili al giorno ma ne produce altri 80mila sul proprio territorio. Quindi il bilancio energetico dell’isola era tale da permettere all’isola di riesportare almeno 50mila barili al giorno.

    Nel 2007 le due nazioni hanno avviato un grosso investimento (oltre un miliardo di dollari solo nella prima fase) per il riavvio della raffineria di Cienfuegos sulla costa meridionale cubana. Il 51% della raffineria resta di proprietà della Cuba Petróleo Union (Cupet), la compagnia di Stato cubana, mentre il 49% è posseduto dalla Petróleos de Venezuela S.A (Pdvsa), l’omologa controparte venezuelana.

    L’inasprimento della crisi di Caracas ha investito anche il settore energetico e, attualmente, la nazione sudamericana non è in grado di esportare verso l’isola più del 60% del petrolio promesso. Questo ha prodotto ripercussioni nell’equilibrio energetico cubano e già la sua crescita economica è diminuita dell’1% nel corso di quest’ultimo anno.

    La raffineria di Cienfuegos ora sta lavorando solo a metà del proprio potenziale massimo e sono stati fermati i progetti congiunti con Caracas per la costruzione di un impianto petrolchimico adiacente alla raffineria.

    Il governo cubano, sta ora cercando nuove fonti di approvvigionamento per garantire al Paese l’energia necessaria per la propria stessa sopravvivenza, visto che l’Isola al momento è in grado di produrre autonomamente solo il 45% del proprio fabbisogno energetico.

    In questa ottica Raúl Castro ha incontrato Vladimir Putin durante la recente visita del diplomatico iraniano Javad Zarif.

    Ma – dopo 54 anni di forzata autarchia provocata dall’embargo americano – i cubani non si limitano ad aspettare aiuti esterni.

    Già a cavallo fra il 2016 ed il 2017 la Cupet prevede di iniziare una nuova campagna di esplorazioni in profondità nel Golfo del Messico insieme alla Sonangol angolana e alla stessa Pdvsa. Intanto Cupet e l’australiana Melbana Energy hanno avviato i lavori sul Block 9, parte di un campo onshore a est di Varadero esteso per 2.380 chilometri quadrti, con riserve provate pari a 8183 milioni di barili e un ulteriore potenziale per 395 milioni di barili. L’obiettivo è iniziare la produzione nel 2018. 

    Ma l’inventiva cubana non dimentica le rinnovabili. Infatti il governo ha pianificato la costruzione di 73 campi di pannelli solari al silicio in cinque provincie entro il 2030. I lavori sono cominciati lo scorso settembre con l’impianto fotovoltaico di 2,2 MW realizzato a Cienfuegos. Solo in questa provincia la produzione elettrica dal Sole dovrà raggiungere i 50 MW entro il 2030.

    Cuba lavora sulle rinnovabili accanto a investitori da tutto il mondo, la sola Hive Energy inglese ha pianificato un campo fotovoltaico da 50 MW a Mariel, distante 40 km dalla capitale. Dovrà essere attivo entro il 2018.

    Infatti, grazie ad un piano varato nel 2014, gli investitori stranieri sono attratti da una minima pressione fiscale – fra il 15% ed il 22,5% – e da un azzeramento fiscale pari ai primi otto anni di vita di ogni nuova impresa.

    Nel complesso, nonostante le speculazioni che si leggono in questi giorni, Cuba è stata meno dipendente dal Venezuela di quanto non lo sia stata dall’Urss nei lunghi anni della Guerra Fredda. Per questo, si può prevedere che – se Caracas non riuscirà a stabilizzarsi – L’Avana riuscirà ad affrancarsene con maggiore facilità. Inoltre, Cuba riceve grandi quantità di valuta pregiata dal turismo – e nonostante le recenti trumpate – si prevede che l’esplosione dell’industria delle vacanze sull’isola sarà inarrestabile anche senza il gradito contributo dei facoltosi turisti americani.

    L’articolo è gia apparso su linkiesta.it

    (SA)

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