Uno studio di Nature colloca in Cina la produzione di sostanze messe al bando da anni per cercare di permettere allo strato di ozono di riformarsi.
di James Temple
Uno studio pubblicato il mese scorso ha rivelato che le concentrazioni di clorofluorocarburi nell’atmosfera sono ancora inaspettatamente elevate, alimentando un mistero scientifico sul possibile responsabile. I clorofluorocarburi danneggiano l’ozono e, pertanto, la loro produzione è proibita ormai da diversi anni.
Il colpevole? Il New York Times sostiene che uno dei principali artefici di queste concentrazioni si trovi in Cina, dove alcune fabbriche starebbero continuando a utilizzare il CFC-11 per produrre schiuma isolante; il giornale cita “interviste, documenti e pubblicità” raccolte dai suoi giornalisti oltre che da investigatori indipendenti, fra cui alcuni membri dell’Environmental Investigation Agency. Diverse fonti presentate all’interno dell’articolo evidenziano la possibilità che la produzione illegale di queste sostanze avvenga anche altrove.
Perché conta? Con il Protocollo di Montreal, siglato nel 1987, fu interrotta la produzione di CFC-11 e sostanze chimiche associate nel tentativo di riparare lo strato di ozono, protezione naturale del pianeta dalle radiazioni ultraviolette. L’uso di CFC-11 è ufficialmente proibito dal 2010. L’accordo è considerato una vittoria storica per la diplomazia ambientale internazionale, oltre che un riferimento per le azioni coordinate su un problema di scala mondiale. I CFC sono anche una fonte di gas serra che contribuiscono al riscaldamento globale. Questo episodio è indicativo delle sfide presentate dagli accordi internazionali.
Lo studio di Nature sottolinea come queste emissioni potrebbero ritardare di un decennio il recupero dello strato di ozono. Erik Solheim, capo dello United Nations Environment Program, ha detto al Times che la produzione di CFC-11 è da considerarsi “un crimine ambientale cui bisognerà rispondere in maniera decisa”.