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    Affrontare la CO2

    Per ridurre o stabilizzare la concentrazione di CO2 nell’ambiente si può cessare di aggiungerne altra, utilizzare tecniche di Carbon Capture and Storage, o imparare a farne uso con il CCU, Carbon Capture and Utilization.

    di Fonte Eni

    Per ridurre o anche soltanto stabilizzare la concentrazione di una sostanza nell’ambiente si possono seguire tre strade.

    La prima strada consiste nel non aggiungerne altra, come nel caso della CO2. Non sempre è facile, a volte è quasi impossibile. Certo, stiamo tutti lavorando per ridurre le emissioni e qualcuno in parte ci riesce, ma c’è chi, almeno per il momento, non ha ancora invertito le proprie tendenze.
    La seconda strada è il CCS, acronimo di Carbon Capture and Storage. Si tratta di realizzare congegni capaci di catturare l’anidride carbonica generata dai processi di combustione. Tutte queste tecniche sono in corso di sperimentazione, con risultati alterni. Sono anzitutto piuttosto costose e non possono trovare applicazione che in grandi impianti industriali (centrali elettriche, siderurgia, chimica) che rappresentano certamente una fonte importante di anidride carbonica.

    La terza opzione vede seguire alla fase di cattura della CO2 quella del suo utilizzo per ottenere prodotti a più alto valore aggiunto Si tratta della CCU, Carbon Capture and Utilization. C’è già qualcuno che in natura ruba l’anidride carbonica direttamente dall’atmosfera e la trasforma in utili sostanze organiche: le piante. La luce solare serve da fonte di energia per convertire l’anidride carbonica presente nell’atmosfera in materiale organico, in particolare in zuccheri. Ma, poichè la catena delle reazioni chimiche in gioco è assai complessa, il rendimento della conversione dell’energia solare in materiale organico è piuttosto basso, in certi casi addirittura inferiore all’1%. Si potrà fare di meglio con un dispositivo artificiale, una macchina creata dall’uomo?

    È quello che hanno cominciato a fare nei laboratori del Collège de France di Parigi. L’idea è questa: utilizzare un sistema fotovoltaico per convertire l’irraggiamento solare in energia elettrica, con la quale alimentare una cella elettrochimica che ossida l’acqua su di un elettrodo e riduce l’anidride carbonica sull’altro, in modo da trasformare la CO2 in altre molecole: monossido di carbonio, metano, metanolo, o altro a seconda di come si regola la reazione.

    Ma la reale via primaria per combattere l’accumulo della CO2 resta quella di portane a zero le emissioni utilizzando al massimo le forme di energia alternative, quali eolica e solare, in attesa che il nucleare arrivi ad essere accettato a livello sociale la fusione possa davvero divenire tecnologicamente fattibile.
    Anche le energie rinnovabili hanno un limite ancora irrisolto, ovvero quello della loro intermittenza che le rende attualmente inutilizzabili su larga scala in assenza di credibili sistemi di accumulo.

    Due delle prime forme di accumulo di energia, o ‘Energy Storage’, in corso di sperimentazione vedono attivi scienziati del MIT e una collaborazione tra giapponesi ed americani nella realizzazione di sistemi in grado di immagazzinare energia rinnovabile e ridistribuirla su una rete elettrica a richiesta.

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