La sperimentazione nel campo del solare a concentrazione spazia dallo studio di diverse miscele di sali e olii diatermici, alle geometrie che vedono campi di specchi concentrare la luce verso una torre o disposti in file lineari.
di Luca Longo
Narra la leggenda che Archimede, oltre 2200 anni fa, abbia difeso la città di Siracusa dalla flotta del generale romano Marco Claudio Marcello impiegando raggi ad energia solare. Centinaia di soldati, dotati di scudi riflettenti in bronzo levigato e disposti lungo la costa, avrebbero orientato e concentrato i raggi del Sole sulle navi romane che assediavano la città finché queste non prendevano fuoco.
Non sappiamo se sia vero o no. Quello che è certo è che Archimede inventò numerose armi che l’esercito siracusano impiegò per resistere ben due anni all’assedio dei romani e studenti del MIT hanno dimostrato che è veramente possibile dare fuoco ad una ricostruzione di una nave romana concentrandovi la luce riflessa da 300 scudi di bronzo lucidato. Visto che gli scienziati non buttano mai via una idea soltanto perché è stramba, qualcuno un paio di millenni dopo ha pensato bene di usare lo stesso trucco per produrre energia termica.
Per farla breve, fra tutti i progetti sviluppati, citiamo solo la Centrale Solare Termodinamica che porta proprio il nome di Archimede. Realizzata dal Nobel italiano Carlo Rubbia nel 2010 a Priolo Gargallo, è composta da trentamila metri quadrati di specchi parabolici che concentrano i raggi solari nel loro fuoco geometrico. Proprio in quel punto passano oltre cinque chilometri di tubazioni: i tubi ricevitori. All’interno dei quali scorre un liquido (il fluido termovettore) che viene portato ad alta temperatura dai raggi concentrati.
Il fluido arriva a 550 °C e per questo motivo non è possibile usare l’acqua che diventerebbe subito vapore. Si utilizzano, invece, speciali miscele di sali fusi che ad alta temperatura diventano liquidi. Questi ultimi, vengono utilizzati per scaldare impianti o abitazioni oppure vengono pompati dentro uno scambiatore di calore dove fanno bollire l’acqua. Il vapore prodotto fa girare delle turbine che producono energia elettrica.
In tutto il mondo sono state sviluppate diverse tecnologie simili. Molti ricercatori hanno sperimentato varie miscele di sali o olii diatermici. E pure la fantasia degli ingegneri si è scatenata producendo diverse geometrie, dalle semplici parabole a campi costituiti da tanti specchi che concentrano la luce sulla cima di una torre; ma anche file e file di specchi parabolici lineari.
Purtroppo, bisogna fare i conti con tre gravi limiti che rendono questa tecnologia poco efficiente per la produzione di energia termica o elettrica. Il primo è puramente ingegneristico: si usano specchi di vetro resi riflettenti dalla deposizione di metalli. Tra parentesi: anche questa è una invenzione Made in Italy.
I primi specchi in vetro sono stati realizzati a Venezia nel XIV Secolo. Questi hanno il difetto di essere pesanti, ma visto che un impianto a concentrazione solare deve inseguire il sole dall’alba al tramonto, in tutti i casi è necessario che gli specchi vengano mantenuti in movimento per l’intera giornata.
Il secondo problema è costituito dal fluido termovettore. Occorre qualcosa che abbia una elevata capacità termica e che non si decomponga alle temperature di lavoro che oscillano fra i 300 e i 550°C. Le miscele di sali che si usano ora funzionano bene, ma il loro problema è il raffreddamento notturno o che avviene quando è nuvoloso. Al di sotto dei 270 °C, i sali diventano sempre più viscosi ed è difficile pomparli lungo i tubi.
Ma se la temperatura scende sotto il loro punto di fusione, i sali si solidificano trasformandosi in blocchi di ceramica e l’impianto… è da buttare. Per questo, di notte o quando è nuvoloso, gli impianti a concentrazione solare non solo non producono energia, ma addirittura la consumano perché bisogna mantenere ad altissima temperatura i fluidi termovettori.
L’impianto Archimede, ad esempio, è accoppiato con un impianto termoelettrico a metano che deve entrare in funzione quando non brilla il sole. Pensate che, quando è stato inaugurato, per fare sciogliere i 500 metri cubi di sali che sarebbero stati impiegati è stato necessario scaldarli per circa un mese.
Il terzo problema è il tubo ricevitore, che deve possedere due caratteristiche opposte: deve essere un ottimo assorbitore di calore (per assorbire tutti i raggi solari riflessi dagli specchi) e un pessimo emettitore, cioè non deve dissipare il calore una volta che questo è entrato nel tubo. Sappiamo che è facile costruire materiali che assorbano bene il calore (come le pentole) oppure che isolino bene dal calore (come i mattoni) ma non è così semplice inventare materiali che posseggano contemporaneamente tutte e due le caratteristiche.
Anche stavolta l’ingegno Made in Italy ha affrontato e risolto tutti e tre questi problemi. Al Centro Ricerche Eni per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente di Novara hanno realizzato un prototipo di impianto a concentrazione solare molto più efficiente. Prima di tutto – anche grazie a una collaborazione con Il Politecnico di Milano e il MIT – i pesanti specchi in vetro metallizzato curvati a caldo sono stati sostituiti da sottili e leggere pellicole di materiale polimerico riflettente. Questo ha permesso di ridurre i pesi e i costi di investimento perché è stato possibile semplificare il disegno di tutto il sistema degli specchi e dei meccanismi che li orientano.
Anche la costruzione risulta semplificata, richiede componenti meccaniche standard facilmente reperibili e può essere affidata a mano d’opera non specializzata. Questo è un grande incentivo alla promozione di imprenditorialità locale anche in aree industrialmente poco sviluppate. Così il prezzo dell’intero impianto si dimezza e il costo degli specchi si riduce anche a un quarto.
Sempre al centro ricerche di Novara sono stati realizzati innovativi fluidi termovettori costituiti da miscele ternarie e quaternarie di sali che restano fluidi anche quando si raffreddano fino a 90-140 °C. Di notte non è più necessario mantenere l’impianto a 300-350 °C ma è sufficiente scaldarlo molto di meno, con evidente risparmio e minor consumo di energia fossile.
Infine, sempre all’Eni di Novara, è stato inventato un nuovo tipo di rivestimento del tubo ricevitore: una combinazione di quattro innovativi strati metalloceramici permette di ottenere tubi che si comportano da ottimi assorbitori (assorbanza pari al 95%) ma contemporaneamente da pessimi dissipatori (emissività a 400 °C pari al 7%).
In pratica, il calore che entra nel tubo non scappa più. La combinazione di queste tre innovazioni ha permesso ai ricercatori del Centro Ricerche Eni per le Energie Rinnovabili e l’Ambiente di risolvere i tre più gravi problemi che rendevano la tecnologia della concentrazione solare poco efficiente e poco interessante dal punto di vista economico.
Ora speriamo di vedere presto in funzione i primi impianti basati su queste tecnologie che sono in costruzione a Gela in Sicilia e ad Assemini in Sardegna.
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Immagine: Riflesso sul futuro. Tamara Passera, vincitrice del contest fotografico MyEni
(lo)