La pandemia ha preso il sopravvento non soltanto nella comunicazione pubblica e privata, ma anche nella percezione dei fenomeni che la riguardano, come dimostra la revisione concettuale della globalizzazione, prima auspicata o deprecata, oggi considerata come un fenomeno irreversibile, con cui bisogna fare comunque i conti.
di Gian Piero Jacobelli
Se non altro perché i suo effetti appaiono sempre più evidenti e non reversibili proprio in quanto confondono le relazioni tra macrocosmo e microcosmo, la inattesa, ma presumibilmente non congiunturale rivoluzione concettuale e comportamentale innescata dalla pandemia viene evidenziata dalla consapevolezza “cibernetica” che torna, dopo qualche decennio di latenza anche terminologica, a suscitare l’interesse della pubblica opinione. Vale a dire di quanti comprendono e temono le pericolose insidie connesse alla capacità degli agenti patogeni di trasformarsi in ragione delle resistenze incontrate nella propria diffusione.
In altre parole, sta tornando di moda una nozione che, negli anni Ottanta era stata resa popolare dal matematico e filosofo Douglas R. Hofstadter in un libro, Gödel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante, pubblicato dalla Adelphi e diventato rapidamente di culto, nonostante la mole e le obiettive difficoltà di lettura.
In quel libro, “mastodontico” sia per il numero di pagine sia per la complessità, Hofstadter metteva a fuoco un suggestivo concetto, quello degli “Anelli Strani”, cioè «il fatto di ritrovarsi inaspettatamente, salendo e scendendo lungo i gradini di qualche sistema gerarchico, al punto di partenza».
Questo andare avanti per tornare inevitabilmente indietro – pensiamo al cosiddetto Nastro di Möbius che, dopo essere stato tagliato, invertito alle estremità e ricongiunto, non ha più due facce, ma una sola e può venire percorso indefinitamente – ritrova tutta la sua attualità nelle attuali circostanze storiche, in cui emergono tanto chiaramente quanto problematicamente due prospettive non facili da affrontare.
La prima prospettiva concerne la ormai persino abusata “fine della storia”, intesa come la fine di quei soggetti separati che sino a qualche decennio fa scrivevano ognuno la propria storia. Le storie che stanno finendo sono quelle in cui ci si poteva isolare dagli eventi che concernevano gli altri, tenendone fuori sia le cause sia gli effetti. La storia che sta cominciando è quella in cui tutto si tiene, ogni percorso incrocia tutti gli altri percorsi in forza dei moderni mezzi della mobilità e della comunicazione. Quei mezzi che prima ci consentivano di proiettarci lontano verso incontri imprevedibili e sollecitanti, mentre oggi ci riportano sempre sui nostri passi. Per cui quell’uomo che vediamo profilarsi davanti a noi in realtà siamo noi stessi.
In questo baluginare vicendevole delle ombre di sé e dell’altro, come non pensare alla surreale e meravigliosa invenzione compositiva di René Magritte: al giovane Edward James, un giovane poeta inglese, il quale si specchia nelle proprie spalle, come se fosse ineluttabilmente rimasto indietro, perdendosi nella propria desolata incertezza di vita. Non a caso, in quel quadro, sulla mensola sotto lo specchio compaiono le Avventure di Arthur Gordon Pym, in cui verso la metà dell’Ottocento, quando i giochi della modernità erano quasi fatti, Edgar Allan Poe raccontava un “naufragio dello spettatore” nei lontani mari del Sud, ai confini tra realtà e immaginazione. Capovolgendo con tragica ironia il lucreziano “naufragio con spettatore”, in cui Hans Bumenberg coglieva la dialettica tra estraneità e coinvolgimento tipica della civiltà occidentale.
La seconda prospettiva, sempre in tema di confini che sembravano irremovibili e che invece oggi stanno venendo meno, concerne le relazioni sempre più complesse tra i diversi mondi della vita: diversi per caratteristiche, per dimensioni, per comportamenti. Ormai praticamente tutti parlano del Covid come una volta si parlava delle invasioni barbariche, di un nemico alle porte della cittadella assediata: la cittadella della civiltà, non più occidentale od orientale, ma civiltà tout court.
Tutti parlano di strategie virali, di mosse e contromosse, di attacchi e di difese, senza rendersi conto che la vita a livello microscopico non vive secondo le “intenzioni”, ma secondo le “condizioni”; non vive, per dirla altrimenti, secondo la “cultura”, ma secondo la “natura”. Ciò significa che, in questo caso, non si possono mandare i plenipotenziari con bandiera bianca nel campo avverso, ma si può soltanto attrezzarsi per non restare preda degli eventi. Che sono provocati da tanti fattori, ma che essenzialmente diventano “eventi” proprio per la nostra incapacità di coglierne responsabilmente l’intrinseco rapporto tra le loro cause e i loro effetti.
Responsabilmente significa che dobbiamo conoscere per agire, ma significa anche che, per conoscere, dobbiamo rinunciare alle nostre consolidate e refrattarie pregiudiziali. Una su tutte, per riprendere l’argomento del paragrafo precedente, quella di non pretendere di umanizzare il mondo, per attribuirli delle responsabilità che invece afferiscono soltanto a noi stessi, alla nostra possibilità – vera o falsa che sia – di scegliere quanto sembra meglio o sembra peggio per la nostra vita e soprattutto per la nostra sopravvivenza.
Abbiamo iniziato ricordando un famoso libro di Hofstadter. Vogliamo concludere citando un suo secondo libro, Anelli nell’io, pubblicato in italiano circa venti anni dopo, dagli Oscar Mondadori.
Tornando sugli “Anelli Strani” e sulla loro articolazione cibernetica, per farsi capire meglio, Hofstadter si affida a un esempio che, proprio perché “terra terra”, risulta particolarmente eloquente: «Potremmo descrivere in termini antropomorfici uno sciacquone come un sistema che “cerca” di fare in modo che l’acqua raggiunga e mantenga un determinato livello. Naturalmente è molto facile evitare un simile linguaggio antropomorfico, dal momento che possiamo vedere subito come il meccanismo funziona, ed è piuttosto chiaro che un sistema come questo non ha desideri; anche così, armeggiando intorno a uno sciacquone il cui serbatoio ha cominciato a perdere, si potrebbe essere tentati di dire che lo sciacquone sta “cercando” di far andare l’acqua a livello, ma “non ci riesce”».
Insomma, con gli “Anelli Strani”, con meccanismi cibernetici sempre più complessi, non si può scherzare, ma non si deve nemmeno abbandonare il campo. Che sia quello della battaglia o quello della argomentazione resta, volta a volta, da vedere, per comportarsi di conseguenza.
(gv)