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    Una breve storia dei delfini della Marina americana

    L’ecolocalizzazione con i delfini permette di trovare le mine sottomarine in modo più efficace rispetto al miglior sonar.

    di Haley Cohen Gilliland

    Un’infarinatura di edifici bianchi a blocchi si staglia nel punto d’incontro tra la baia di San Diego e l’Oceano Pacifico: la Naval Base Point Loma. Il complesso ospita non solo grandi navi da guerra, ma anche decine di delfini, leoni marini e altre creature marine.

    Gli animali fanno parte del programma US Navy Marine Marine Mammal, istituito nel 1959, dopo che gli scienziati hanno scoperto che i delfini erano abili nel trasmettere messaggi e identificare le minacce sott’acqua. Durante la guerra del Vietnam, i delfini della Marina di nome Garth, John, Slan, Tinker e Toad erano di stanza a Cam Ranh Bay, una baia di acque profonde nel sud-est del paese, per scoraggiare i nuotatori nemici dall’attaccare un importante deposito di munizioni.

    Per evitare i predatori e localizzare il cibo, i delfini hanno sviluppato straordinarie capacità di ecolocalizzazione. Mentre valutano i loro ambienti subacquei, emettono forti impulsi ad ampio spettro che suonano, agli umani, come clic. Ascoltando gli echi di quei clic, i delfini sono in grado di rilevare una palla di otto centimetri da una distanza di 180 metri e distinguere tra pallini per fucili ad aria compressa e chicchi di mais da 15 metri. Possono discernere differenze così sottili anche nei porti cacofonici, dove il sonar creato dall’uomo ha difficoltà a distinguere tra echi di ritorno e suoni ambientali delle barche, onde che lambiscono la riva e altri rumori.

    Questi talenti, che gli scienziati hanno difficoltà a comprendere appieno, hanno aiutato la Marina anche nelle guerre più recenti. Nel 2003, la Marina ha utilizzato nove dei suoi delfini per identificare le mine a Umm Qasr, un porto iracheno nel Golfo Persico, rendendoli i primi animali marini a compiere una operazione simile.

    Prima che i delfini entrassero nelle acque torbide, la Marina ha inviato droni sonar senza pilota per mappare il fondale marino. Le macchine da 36 chilogrammi identificarono 200 presenze anomale, secondo un articolo del 2003 apparso sulla rivista “Smithsonian”, ma non erano in grado di distinguere tra oggetti minacciosi e innocui rifiuti.

    Per determinare quale dei 200 oggetti fosse motivo di preoccupazione, la Marina si affidò ai delfini della Special Clearance Team One, che sfrecciarono nell’acqua a caccia di mine collocate in quella zona dalle forze di Saddam Hussein. Quando ne trovavano una, avvisavano i loro addestratori tornando verso la barca e toccando un disco di gomma con il naso. Poi tornavano sull’oggetto sospetto e ne contrassegnavano la presenza con un cavo o un transponder acustico per un subacqueo. In una settimana, i delfini hanno aiutato la Marina a identificare e disabilitare più di 100 mine anti-nave.

    Sedici anni dopo – con disappunto di alcuni gruppi per i diritti degli animali come il PETA, che sostengono che i delfini non capiscono il pericolo associato al loro lavoro militare – sembra che non saranno sostituiti da macchine in tempi brevi.

    Anche quando le mine sottomarine non sono ostruite dal fango, spiega Mark Xitco, direttore del Naval Marine Mammal Program, un sistema sonar deve inviare molte centinaia di ping, segnali ad alta energia acustica, che devono quindi essere analizzati per creare un’immagine precisa dell’oggetto. Un delfino svolge la stessa attività in una frazione di secondo con poche decine di clic di ecolocalizzazione.

    Se le mine sono state sepolte, la Marina si affida solo ai delfini. Per Xitco, questo non è del tutto sorprendente. “La tecnologia migliora ogni anno. Stiamo facendo passi da gigante”, egli spiega, “ma i delfini hanno milioni di anni di evoluzione come vantaggio”.

    Immagine: Un delfino distingue pallini per fucili ad aria compressa e chicchi di mais a una distanza di 15 metri. Per gentile concessione dell’autore

    (rp)

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