Il declino delle prestazioni cognitive può mappare la progressione precoce dell’Alzheimer.
di Lisa Ovi
Il morbo di Alzheimer (AD) è una malattia neurodegenerativa progressiva di lenta manifestazione. In un nuovo studio, pubblicato da Biological Psychiatry, ricercatori della University of California descrivono come discrete alterazioni iniziali nelle prestazioni cognitive, come una restrizione lessicale, sono un segno dell’accumulo nel cervello di proteine dannose, anche quando i test sulle proteine stesse ancora non rilevano condizioni di pericolo.
Il morbo di Alzheimer si caratterizza principalmente con l’accumulo graduale nel cervello di placche senili, e l’interruzione delle funzioni cellulari dei neuroni colpiti. All’interno dei neuroni si accumula anche un secondo tipo di proteina dannoso per le loro funzioni cellulari, chiamato Tau. Il corso dell’Alzheimer è però notoriamente lungo, possono passare anni o decenni prima che i sintomi del declino cognitivo si facciano riconoscibili.
La ricerca diretta da Jeremy A. Elman, PhD, e da William S. Kremen, professore di psichiatria della UC San Diego, è partita dal presupposto che esistano segnali più discreti dello sviluppo iniziale di un declino cognitivo rispetto a quelli più evidenti e comunemente noti. Quando il paziente risulta beta positivo, infatti, la patologia di base è già ad uno stato progredito. Per migliorare l’efficacia dei trattamenti e rallentare la progressione della demenza da Alzheimer, sarebbe utile identificare le persone a rischio prima che sviluppino un carico amiloide importante.
Nell’ambito dell’Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative, uno studio condotto allo scopo di valutare se sia possibile combinare l’utilizzo di imaging medico, marcatori biologici e valutazioni cliniche per misurare precocemente la progressione del declino cognitivo nei pazienti affetti da Alzheimer, 292 partecipanti sono stati sottoposti ad un paio di test cognitivi non invasivi. Tutti i partecipanti risultavano negativi alla presenza di placche beta-amiloidi e non presentavano segni di demenza; 40 partecipanti sono divenuti positivi nel corso dello studio e nel periodo successivo.
Secondo i ricercatori, i partecipanti dai risultati cognitivi ridotti sono risultati potenzialmente più a rischio di sviluppare, successivamente livelli dannosi di placca amiloide. Un punteggio basso nei test cognitivi, quindi, si è dimostrato un possibile segnale di aumento delle placche senili prima che i test esistenti ne possano rilevare livelli problematici.
I risultati della ricerca suggeriscono che economici test cognitivi non invasivi possano essere utilizzati per identificare individui a rischio di Alzheimer, candidati ideali per interventi terapeutici e studi clinici.
(lo)