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    Troppo presto per iniziare a distribuire “passaporti di immunità”

    I test sugli anticorpi del coronavirus devono migliorare molto, così come la nostra comprensione del funzionamento dell’immunità, prima che le persone possano iniziare a circolare liberamente.  

    di Neel V. Patel

    Si immagini, tra qualche settimana o pochi mesi, di ricevere un kit di prova del covid-19. È piccolo e portatile, ma abbastanza facile da capire. Ci si punge il dito come in un test sulla glicemia per i diabetici, si aspettano più o meno 15 minuti e si sa se si è immuni al coronavirus. In questo caso, si può richiedere la documentazione rilasciata dal governo che rilascia il cosiddetto “passaporto di immunità”. E’ possibile così tornare al lavoro e riprendere la vita normale.

    Abbastanza allettante, vero? Alcuni paesi stanno prendendo sul serio l’idea. Alcuni ricercatori tedeschi vogliono inviare centinaia di migliaia di test ai cittadini nelle prossime settimane per vedere chi è immune da covid-19 e chi non lo è, e certificare che le persone sono in grado di uscire da casa. Il Regno Unito, che ha accumulato oltre 17,5 milioni di kit per i test sugli anticorpi a domicilio, ha avanzato l’idea di fare qualcosa di simile, sebbene gruppi di scienziati abbiano sollevato dubbi sul fatto che il test potrebbe non essere sufficientemente accurato per essere utile. 

    Con l’aumento della richiesta di tornare alla normalità da parte di chi è chiuso a casa da settimane, molti paesi stanno cercando una via d’uscita da rigide misure di distanziamento sociale che non richiedano i tempi di attesa di un vaccino, stimati tra i 12 e i 18 mesi. 

    Ma come funzionano i test di immunità? Poco dopo l’inizio della diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2, i test di reazione a catena della polimerasi (PCR) sono stati utilizzati per cercare prove del virus nel tratto respiratorio. Questi test funzionano amplificando notevolmente il materiale genetico virale in modo da poter verificare da quale virus proviene. L’idea, ora, è che settimane o mesi dopo che il sistema immunitario ha combattuto il virus, sia meglio testare gli anticorpi.

    Circa 6-10 giorni dopo l’esposizione virale, il corpo inizia a sviluppare anticorpi che si legano e reagiscono in modo specifico alle proteine presenti sul SARS-CoV-2. Il primo anticorpo prodotto è chiamato immunoglobulina m (IgM), che ha vita breve e rimane nel flusso sanguigno solo per alcune settimane. Il sistema immunitario perfeziona gli anticorpi e pochi giorni dopo inizierà a produrre immunoglobuline G (IgG) e A (IgA), che sono molto più specifiche. Le IgG rimangono nel sangue e possono conferire immunità per mesi, anni o una vita, a seconda della malattia da cui proteggono. 

    In chi ha superato l’infezione da covid-19, il sangue dovrebbe presumibilmente possedere questi anticorpi, che proteggeranno quindi dalle successive infezioni dal virus SARS-CoV-2. Sapere se qualcuno è immune (e idoneo per la potenziale certificazione futura) dipende dai test sierologici, che prevedono il prelievo del sangue per cercare segni di questi anticorpi. Se risulta positiva, la persona, in teoria, è sicura di poter tornare al lavoro.

    Ma le cose non stanno esattamente così. Esistono alcuni problemi seri nel tentativo di utilizzare i test per determinare lo stato di immunità. Per esempio, sappiamo ancora molto poco su come funziona l’immunità umana alla malattia, quanto dura, se è possibile reinfettarsi  e se si è ancora contagiosi anche dopo che i sintomi sono scomparsi e si sono sviluppati anticorpi IgG. Le risposte immunitarie variano notevolmente tra i pazienti e non si sa ancora il perchè.

    La genetica potrebbe svolgere un ruolo

    “Conosciamo questo virus da quattro mesi”, afferma Donald Thea, professore di salute globale alla Boston University. “C’è una vera scarsità di dati nel mondo”. SARS-CoV-1, il virus che causa la SARS e il cui genoma è per il 76 per cento simile a quello della SARS-CoV-2, sembra indurre un’immunità che dura fino a tre anni. Altri coronavirus che causano il comune raffreddore ne provocano una molto più breve, anche se, come dice Thea, i dati sono limitati perché c’è stata un’urgenza molto minore di studiarli in modo così dettagliato. È troppo presto per dire in che intervallo temporale si collocherà il SARS-CoV-2. 

    Anche senza queste informazioni, decine di studiosi negli Stati Uniti e in tutto il mondo stanno sviluppando test covid-19 per gli anticorpi. Molti di questi sono test rapidi possono essere eseguiti in ambulatorio o a casa e forniscono risultati in pochi minuti. Un’azienda americana, Scanwell Health, ha ottenuto la licenza un test sugli anticorpi covid-19 dall’azienda cinese Innovita per cercare gli anticorpi IgM e IgG del SARS-CoV-2 attraverso un semplice prelievo di sangue, con risultati in 13 minuti. 

    Esistono due criteri chiave che cerchiamo quando valutiamo l’accuratezza di un test anticorpale. Uno è la sensibilità, la capacità di rilevare ciò che sta cercando (in questo caso anticorpi). L’altro è la specificità, la capacità di rilevare i particolari anticorpi che sta cercando. Il direttore medico di Scanwell, Jack Jeng, afferma che studi clinici in Cina hanno dimostrato che il test Innovita ha raggiunto l’87,3 per cento di sensibilità e il 100 per cento di specificità (questi risultati non sono stati pubblicati). 

    Ciò significa che non prenderà di mira il tipo sbagliato di anticorpi e non produrrà falsi positivi (persone erroneamente ritenute immuni), ma non sarà in grado di etichettare alcun anticorpo nel 12,7 per cento di tutti i campioni che analizza: quei campioni verrebbero valuatati come falsi negativi (persone erroneamente considerate non immuni).

    In confronto, Cellex, che è stata la prima azienda a ottenere un rapido test sugli anticorpi del covid-19 approvato dalla FDA, ha una sensibilità del 93,8 per cento e una specificità del 95,6 per cento. Altri evidenziano le statistiche dei propri test: Jacky Zhang, presidente e CEO del gruppo Beroni, afferma che il test anticorpale della sua azienda ha una sensibilità dell’88,57 per cento; Allan Barbieri della Biomerica sostiene che i test della sua azienda sono sensibili al 90 per cento; la Mayo Clinic sta mettendo a disposizione il proprio test sierologico del covid-19 per cercare gli anticorpi IgG, che, secondo Elitza Theel, direttore della microbiologia clinica, possiede una specificità del 95 per cento.

    I tassi di specificità e sensibilità funzionano un po’ come quadranti contrapposti. Una maggiore sensibilità può ridurre in parte la specificità, perché il test è in grado di reagire meglio con  qualsiasi  anticorpo presente nel campione, anche quelli che non si sta cercando. L’aumento della specificità può ridurre la sensibilità, poiché le minime differenze nella struttura molecolare degli anticorpi (che è normale) potrebbero impedire al test di centrare tali obiettivi. 

    “Dipende dallo scopo che ci si prefigge”, afferma Robert Garry, un virologo della Tulane University. I tassi di sensibilità e specificità del 95 per cento o più, dice, sono considerati un punto di riferimento elevato, ma sono numeri difficili da raggiungere. Il 90 per cento è considerato clinicamente utile e l’80-85 per cento è utile a livello epidemiologico. È veramente complesso ottenere tassi più elevati per i kit di test domestici. 

    Ma la verità è che un test accurato al 95 per cento non serve a granchè. Anche i più piccoli errori possono portare a conseguenze pericolose su una vasta popolazione. Si ipotizzi che il coronavirus abbia infettato il 5 per cento della popolazione. Se si sottopone a test un milione di persone a caso, si dovrebbero riscontrare 50.000 positivi e 950.000 negativi. Ma se il test è sensibile al 95 per cento e specifico, identificherà correttamente solo 47.500 positivi e 902.500 negativi. 

    In questo modo, 50.000 persone vengono valutate erroneamente. Almeno 2.500 persone che sono effettivamente positive – vale a dire immuni – non ottengono un passaporto di immunità e devono restare a casa.  Ma ancora peggio è il numero di 47.500 persone in realtà negative – vale a dire non immuni – che potrebbero erroneamente avere esito positivo al test e tornare a lavorare pur non avendo ancora contratto il virus.

    Poiché non sappiamo quale sia il tasso di infezione reale, non sappiamo come prevedere con esattezza quali percentuali di passaporti immunitari sarebbero inattendibili. Più basso è il tasso di infezione, più devastanti sono gli effetti delle imprecisioni dei test anticorpali. Più alto è il tasso di infezione, più si può essere sicuri che un risultato positivo sia reale.

    E i falsi positivi correrebbero il rischio di essere contagiati e diffondere il virus, indipendentemente dal fatto che abbiano sviluppato sintomi o meno. Un sistema di certificazione dovrebbe testare ripetutamente le persone per diverse settimane prima che possa essere rilasciato un lasciapassare per tornare al lavoro, e anche in questo caso, si ridurrebbe solo il rischio, senza eliminarlo del tutto.

    Come accennato, la reattività crociata con altri anticorpi, in particolare quelli che colpiscono altri coronavirus, è un’altra preoccupazione. “Esistono sei diversi coronavirus conosciuti che infettano l’uomo”, afferma Thea, “e non è da escludere che pur avendo avuto un’infezione da coronavirus e non essere contagiato dal covid-19, si potrebbe comunque essere positivo per gli anticorpi SARS-CoV-2”.

    Lee Gehrke, un virologo e ricercatore di biotecnologia di Harvard e MIT, la cui azienda E25Bio sta anche sviluppando test sierologici per il covid-19, solleva un altro problema. “Non è ancora chiaro”, egli dice, “se gli anticorpi rilevati da questi test siano neutralizzanti”. In altre parole, gli anticorpi rilevati nel test potrebbero non necessariamente agire contro il virus per fermarlo e proteggere l’organismo, ma semplicemente reagire ad esso. 

    Gehrke afferma di preferire uno studio approfondito su scala ridotta di campioni di siero di pazienti sicuramente contagiati per definire con sicurezza quali sono gli anticorpi neutralizzanti. Si tratta di un lavoro molto complesso, “ma ritengo che andrebbe condotto negli Stati Uniti prima di introdurre i test sierologici su vasta scala”, egli afferma.

    Alan Wells, direttore medico dei laboratori clinici presso il Medical Center dell’Università di Pittsburgh, solleva un argomento simile. A suo parere, alcuni pazienti che hanno avuto l’infezione e sono immuni possono semplicemente non generare gli anticorpi che si stanno cercando o possederli a livelli così bassi che in realtà non conferiscono immunità, come affermato da alcuni ricercatori cinesi

    “Rabbrividisco all’idea di usare i test IgM e IgG per capire chi è immune e chi non lo è”, afferma Wells. “Questi test non sono pronti per questo”. Anche se la tecnologia fosse più accurata, potrebbe essere semplicemente troppo presto per iniziare a certificare l’immunità solo per far ripartire l’economia. 

    Chris Murray dell’Istituto per le metriche e la valutazione dell’Università di Washington ha dichiarato a NPR  che i modelli del suo gruppo prevedono che a giugno, “almeno il 95 per cento degli Stati Uniti sarà ancora esposto al virus”, lasciando buona parte delle popolazione vulnerabile alle infezioni quando in inverno arriverà una possibile seconda ondata. Concedere passaporti immunitari a meno del 5 per cento della forza lavoro potrebbe non rivelarsi utile.

    Theel afferma che invece di essere utilizzati per rilasciare passaporti di immunità individuali, i test sierologici potrebbero essere implementati in massa, per un lungo periodo di tempo, per vedere se si è raggiunta l’immunità di gregge, allentando le restrizioni dopo che il 60-70 per cento della popolazione è positiva ai test per l’immunità.

    Alcune situazioni si muovono in questa direzione, anche se limitate. La contea di San Miguel in Colorado ha collaborato con l’azienda biotecnologica United Biomedical nel tentativo di testare sierologicamente tutti i cittadini della contea. La comunità è piccola e isolata e quindi più facile da testare in modo completo. L’Islanda ha fatto la stessa cosa in tutto il paese. 

    Iniziative simili richiederebbero un’organizzazione di alto livello per decollare in aree altamente popolate e non è chiaro se il sistema sanitario decentralizzato americano sia in grado di farlo. Ma probabilmente vale la pena pensarci, se speriamo di far ripartire intere economie e non solo dare ad alcune persone un permesso, lasciando gli altri in prigione. 

    Non tutti sono così scettici sull’uso dei test sierologici caso per caso. Thea ritiene che i dati suggeriscano che il SARS-CoV-2 dovrebbe comportarsi come il suo cugino SARS-CoV-1, trasferendo un’immunità che dura forse un paio d’anni. “Se è così, non appare irragionevole identificare le persone che sono immuni dalla possibile reinfezione”, afferma. “Possiamo iniziare a ripopolare la forza lavoro, soprattutto gli operatori sanitari”.

    Per esempio, in città duramente colpite come New York che soffrono di carenza di operatori sanitari, un test sierologico potrebbe aiutare gli infermieri e i medici a capire chi potrebbe essere immune e quindi meglio attrezzato per lavorare in terapia intensiva o condurre procedure che li mettono ad alto rischio di esposizione al virus, fino a quando non arriverà un vaccino. 

    In ogni caso, i test sierologici sono potenzialmente utili perché molti casi di covid-19 presentano, al massimo, solo sintomi lievi che non richiedono alcun tipo di intervento medico. Circa il 18 per cento dei passeggeri contagiati sulla   nave da crociera Diamond Princess non aveva alcun sintomo, il che indica che potrebbe esserci un numero enorme di casi asintomatici. 

    Queste persone quasi certamente non vengono sottoposte a test – le linee guida del CDC escludono specificamente chi non ha sintomi – ma il loro organismo sta ancora producendo anticorpi che dovrebbero essere rilevabili a lungo dopo che l’infezione è scomparsa. Se sviluppano l’immunità per il covid-19, è dimostrabile, quindi in teoria potrebbero tranquillamente uscire di casa. 

    Per ora, tuttavia, ci sono troppi problemi e incognite per usare i test anticorpali per decidere a chi dare un passaporto immunitario e a chi no. I paesi stanno ora valutando quanti rischi accettare se non vogliono continuare con politiche di distanziamento sociale e isolamento.

    (rp)

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