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    Aspettare l’immunità di gregge non è un’opzione valida

    L’idea che la politica ufficiale britannica fosse quella di permettere la diffusione del coronavirus per raggiungere l’immunità di gregge è falsa: il governo ha solo peccato di ottimismo sulla facilità di appiattimento della curva.

    di Gideon Lichfield

    Alcuni ambienti, alimentati dalla speculazione che potremmo già essere molti vicini a raggiungere l’immunità, hanno sostenuto questa teoria, ma i dati dimostrano che non è una politica praticabile. In primo luogo, anche supponendo che le persone che si ammalano diventino immuni, non abbiamo idea di quanto tempo lo rimarranno (con alcuni coronavirus, oltre che con l’influenza ordinaria, l’immunità dura meno di un anno). In secondo luogo, supponendo che rimangano immuni, non abbiamo idea di quanto tempo sarebbe necessario per raggiungere l’immunità di gregge.

    Quest’ultima incertezza deriva da alcune grandi incognite, tra loro correlate. Innanzitutto, quanto è contagioso il virus? Più è contagioso – misurato come R0, il numero medio di persone a cui un contagiato trasmette il virus – più persone devono essere immuni affinché il tasso di infezione inizi a diminuire. Ma le stime di R0 variano e indicano che la diffusione deve essere compresa tra circa la metà e i tre quarti della popolazione.

    Inoltre, quante persone sono state effettivamente contagiate finora? Queste stime sono ancora più fluttuanti. Uno studio del team dell’Imperial College ha valutato che il 28 marzo, quando l’Italia aveva poco meno di 100.000 casi noti, intorno allo 0,2 per cento della popolazione, il virus aveva effettivamente infettato circa il 10 per cento degli italiani, molti dei quali non avevano sintomi o non si sentiva male al punto di richiedere un test. Questa differenza di 50 volte è molto più grande di quanto ipotizzino altre stime.

    Infine, quale percentuale di persone infette non ha mai avuto sintomi? La linea ufficiale dei Centri statunitensi per il controllo delle malattie parla del 25 per cento, ma piccoli studi su alcuni focolai localizzati hanno suggerito che potrebbe essere più vicina al 50 per cento,  confermando la teoria secondo cui il virus è già molto più diffuso.

    Ma queste cifre sono contestate perché non si stanno sottoponendo a test abbastanza persone per sapere quanto sia allargato il contagio. E anche nel caso i casi siano molti di più di quanto si pensi, non è ancora chiaro se si raggiungerà l’immunità di gregge prima di sviluppare un vaccino o una cura. In entrambe le ipotesi, nel frattempo dobbiamo mantenere basso il tasso del contagio a un livello che non faccia crollare il sistema ospedaliero e permetta agli operatori sanitari di riprendere fiato.

    (rp)

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