I ricercatori stanno cercando di calcolare come alternare distanziamento sociale e libera circolazione delle persone, ma non ci sono ancora dati sufficienti.
di James Temple
A San Francisco, gli spostamenti verso luoghi di lavoro, parchi, stazioni di transito e negozi sono collettivamente scesi a circa il 40 per cento dei normali livelli della fine di febbraio, una conseguenza delle severe misure di distanziamento sociale attuate dalla città e dallo stato per fermare la diffusione del coronavirus.
A New York, nella Columbia Britannica e a Los Angeles questa percentuale oscilla tra il 30 e il 55 per cento rispetto a prima dell’epidemia, secondo un’analisi dei Rapporti sulla mobilità della community di Google, che aggrega i dati degli utenti che ospitano dispositivi di localizzazione sui loro dispositivi.
Una coppia di ricercatori dell’Università della California, a Berkeley, e del MIT ha usato questi dati come punto di partenza per rispondere a una domanda cruciale: quanto ci si può muovere liberamente senza innescare una ripresa sostenuta dell’epidemia? Approssimando il tasso di crescita dei casi prima dei blocchi e adottando quello che considerano un ragionevole calcolo dell’impatto della riduzione dei movimenti sulla diffusione della malattia, i ricercatori stimano che San Francisco potrebbe essere in grado di tornare fino al 70 per cento della normale mobilità.
La Columbia Britannica, che ha utilizzato test da subito per appiattire la curva della malattia, potrebbe arrivare fino al 78 per cento. L’analisi ha rilevato che anche aree come Los Angeles, che ha subito una quota altissima di casi e decessi nello stato della California, potrebbe potenzialmente aumentare i livelli di mobilità dopo l’ondata iniziale.
Ma uno dei ricercatori, Jacob Steinhardt, un professore associato di statistica alla UC Berkeley, sostiene che queste conclusioni sono poco affidabili e le stime probabilmente troppo alte. Inoltre, aggiunge che le regioni non dovrebbero sostanzialmente allentare le restrizioni senza prima istituire sistemi efficaci di tracciamento della malattia per individuare rapidamente eventuali rimbalzi nei tassi di contagio.
Nella fascia bassa, quelle stesse regioni potrebbero dover mantenere la mobilità rispettivamente al 41, 35e 37 per cento dei livelli di base. I limiti estremi di questi range, ovviamente, si traducono in politiche pubbliche molto diverse. Le incertezze indicano quanto sia difficile stimare gli effetti della revoca delle restrizioni sociali. Mentre gran parte della modellazione covid-19 finora ha esplorato quanto vari gradi di distanziamento sociale possano limitare la diffusione della malattia, sempre più ricercatori stanno tentando di prevedere l’impatto dell’allentamento di tali restrizioni.
Il Mordecai Lab di Stanford ha anche sviluppato un modello per analizzare più approcci alla gestione delle fasi successive dell’epidemia nella Contea di Santa Clara e in altre parti della California del Nord, valutando i compromessi tra l’estensione delle misure di chiusura in casa per mesi, alternando continuamente restrizioni di distanziamento sociale e aumento dei test sulla popolazione con isolamento dei pazienti infetti.
Quanto più efficaci saranno le regioni a portare avanti l’alternanza, tanto più i casi diminuiranno, anche senza tornare a regole di distanza più rigide, ha scoperto il team.
Ma la modellazione è complicata e i dati necessari scarsamente utili. Queste analisi forniranno solo stime approssimative, con ampi margini di errore, fino a quando i ricercatori non avranno una migliore comprensione di alcune delle basi di covid-19, tra cui quanto sia già ampiamente diffusa, quanto contagiosa sia in scenari differenti e quanto velocemente progredisca o cali in un determinato luogo.
Un’ulteriore limitazione del lavoro svolto dai ricercatori del MIT e di Berkeley è che i dati sulla mobilità sono correlati alle interazioni umane, ma questo rapporto è un indicatore imperfetto. Nella misura in cui la società nel suo insieme non ha grande mobilità, appare evidente che ci sono meno incontri diretti durante i quali contagiarci a vicenda. Ma muoversi all’interno di una festa affollata è molto più a rischio che guidare 10 km in un parco non frequentato, in termini di possibilità di diffusione della malattia.
Un punto cruciale del lavoro – che Steinhardt e Andrew Ilyas del MIT hanno evidenziato in una bozza di documento che non è stato ancora pubblicato e rivisto dai colleghi – è che le comunità devono migliorare molto nel monitoraggio delle infezioni. “Con i dati che abbiamo attualmente, in realtà non sappiamo quale sia il livello di mobilità sicura”, afferma Steinhardt. “Abbiamo bisogno di meccanismi più avanzati per tenere traccia della prevalenza al fine di fare tutto questo in modo sicuro”.
L’analisi si basa anche su altre misurazioni tutt’altro che ottimali, utilizzando i ricoveri e i decessi per ricovero per stimare la prevalenza della malattia prima delle chiusure e fare ipotesi plausibili su quanto l’isolamento abbia modificato la diffusione della malattia. Gran parte di questa incertezza è dovuta alla mancata sistematicità dei test effettuati fino ad oggi. Se il numero dei casi aumenta, ma si fanno più test, è difficile decifrare se le infezioni sono effettivamente in aumento o se viene valutata una percentuale maggiore di persone infette.
Ciò produce alcuni risultati confusi e difficilmente utilizzabili da parte dei responsabili politici per stabilire una direzione chiara. In particolare, a Los Angeles, il tasso di crescita stimato della malattia dall’entrata in vigore delle misure restrittive varia da negativo a positivo. Ciò suggerisce che la città potrebbe iniziare ad allentare le restrizioni o che deve rafforzarle ulteriormente.
La conclusione dei ricercatori è che le comunità devono sviluppare misure di sorveglianza delle malattie per ridurre questa incertezza e trovare un giusto equilibrio tra la riapertura delle attività economiche e la riduzione al minimo dei rischi per la salute pubblica.
Loro avanzano diversi modi per farlo: lo svolgimento di test virologici su un campione casuale di circa 20.000 persone al giorno in una determinata area; la creazione di sondaggi online su larga scala per chiedere alle persone di segnalare potenziali sintomi, in modo simile a quello che i ricercatori della Carnegie Mellon stanno facendo con la collaborazione di Facebook e Google; infine l’effettuazione di test per la prevalenza di materiale virale nelle acque reflue, una tecnica che ha messo in allarme sugli scoppi di polio in passato.
Un team di ricercatori affiliati al MIT, ad Harvard e alla startup Biobot Analytics ha recentemente analizzato campioni d’acqua di una struttura di trattamento delle acque reflue nel Massachusetts e ha rilevato livelli del coronavirus che erano “significativamente più alti del previsto” sulla base di casi confermati nello stato, secondo un documento non rivisto dai pari, pubblicato all’inizio di questo mese.
Immagine: La Lombard Street, a San Francisco, deserta durante il lockdown. Getty Images
(rp)