Lars Schaade, vicepresidente dell’istituto Robert Koch di Berlino, spiega la strategia del suo governo.
di Krithika Varagur
Il Robert Koch Institute per la ricerca sulla salute pubblica di Berlino, gestito dal governo, è stato in prima linea nella decisa risposta alla pandemia, guidando la ricerca di un vaccino e promuovendo i test. Un epidemiologo professionale dell’istituto spiega le sfide della riapertura e come si sono affrontati i problemi della comunicazione del rischio e del tracciamento dei contatti nel contesto tedesco.
Questa storia fa parte di una serie di interviste con persone in prima linea nella risposta al coronavirus nei paesi di tutto il mondo.
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Morti di Covid al 23 agosto 2020. Fonte: Wikipedia
Il primo caso confermato in Germania non è coinciso esattamente con il primo caso sospetto. Abbiamo avuto diversi allarmi in precedenza, ma tutti sono risultati negativi, anche se non siamo rimasti così sorpresi che un giorno, il 27 gennaio a Monaco, uno di questi casi si sia rivelato positivo. A quel punto, avevamo già messo in atto diverse iniziative importanti: la definizione del caso, i criteri di test, le raccomandazioni per l’igiene e la prevenzione e il controllo delle infezioni e le indicazioni sulla ricerca dei contatti.
Il nostro valore di “R”, o il numero di riproduzione del virus, a cui il Cancelliere Angela Merkel ha fatto frequentemente riferimento nelle dichiarazioni pubbliche, è ancora qualcosa che calcoliamo e segnaliamo su base giornaliera. Ovviamente ora abbiamo molti meno casi rispetto a marzo, quindi qualsiasi nuovo positivo a questo punto ha un impatto diretto sul numero di riproduzione. Ora l’R si attesta intorno all’uno (il che significa che ogni paziente infetta in media un’altra persona). Nel momento in cui parlo (il 18 giugno) abbiamo un numero medio di casi compreso tra 300 e 350 casi al giorno: un valore basso.
Ovviamente è possibile una seconda ondata. E il nostro obiettivo principale è quindi quello di mantenere l’incidenza di nuovi casi la più bassa possibile. Stiamo già cercando di eseguire test sensibili su chiunque abbia una qualsiasi malattia respiratoria e su qualsiasi paziente sintomatico che appartiene a un cluster o che vive in determinati ambienti a rischio come le case di cura. E c’è l’impegno politico che, se necessario, se una contea ha casi al di sopra di una certa soglia, dovrà reintrodurre misure di blocco locali.
Stiamo anche lavorando a un vaccino. A giugno, il ministero della Salute ha stretto un’alleanza con Francia, Italia e Paesi Bassi e ha firmato un contratto per il preordine di 300 milioni di dosi di un vaccino contro il coronavirus attualmente in fase di sviluppo. Uno dei pilastri principali nel nostro tentativo di mantenere bassi i numeri è stato il continuo tracciamento dei contatti. A partire da giugno, abbiamo una nuova app mobile.
Ma prima, abbiamo portato avanti il tracciamento nel modo tradizionale. Da quando è iniziata la pandemia a gennaio fino al picco, quando abbiamo avuto sei o settemila casi ogni giorno. Abbiamo cercato di convincere le autorità sanitarie locali che devono fare questo lavoro di ricerca dei contatti, anche se i numeri sono alti, perché è importante interrompere qualsiasi focolaio di infezione. Quasi da subito, abbiamo discusso la possibilità di un’app di tracciamento dei contatti ed eravamo favorevoli a un sistema GPS.
Gli addetti alla protezione dei dati, tuttavia, ci hanno detto che non si poteva fare e quindi, nel tentativo di trovare un’alternativa, ci siamo rivolti allaa tecnologia Bluetooth (Le app di tracciamento dei contatti basate su GPS tracciano la posizione di un telefono in ogni momento, mentre quelle basate su Bluetooth si limitano a monitorare la vicinanza ad altri telefoni senza necessariamente rivelare i movimenti di una persona). All’inizio optavamo per il sistema centralizzato perché ci avrebbe dato l’opportunità di avere una panoramica completa di quanto stava succedendo.
In considerazione, però, delle preoccupazioni sulla protezione dei dati, abbiamo virato sul sistema decentralizzato, che ha comunque un limite importante: non sappiamo cosa è successo in un caso specifico. Dobbiamo quindi integrarlo con sorveglianza e indagini aggiuntive, ma gli addetti alla protezione dei dati sono soddisfatti della soluzione.
La crisi del coronavirus è già in corso da sei mesi, un tempo molto lungo per la gestione della crisi, anche se in passato abbiamo affrontato pandemie in Germania. Al nostro istituto iniziamo ad accusare la stanchezza.
Immagine: Berlino. Yevhenii Baraniuk / Unsplash
(rp)