Anders Tegnell, epidemiologo di stato della Svezia, noto per il suo ruolo svolto nel contrasto della pandemia di influenza suina del 2009, difende la controversa ricerca dell’immunità di gregge da parte del suo paese.
di Krithika Varagur
Il discusso e meno rigoroso blocco della Svezia ha messo in luce l’operato del medico svedese specializzato in infettivologia. Tegnell ci ha detto perché crede ancora nella strategia nazionale e perché ritiene improbabile una seconda ondata classica. In proporzione, la Svezia ha subito molte più morti rispetto ai suoi vicini. La Norvegia ha avuto 48 morti per coronavirus per milione di persone, la Finlandia 60, la Danimarca 107 e la Svezia 573.
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Morti di covid al 31 agosto 2020. Fonte Wikipedia
Questa storia fa parte di una serie di interviste con protagonisti in prima linea nella risposta al coronavirus nei paesi di tutto il mondo.
Il mondo osserva con attenzione la strategia svedese per affrontare il coronavirus. Abbiamo considerato tutto all’inizio dell’anno, incluso un blocco più severo. Una serie di considerazioni ci hanno portato ad attenerci al nostro piano originale. Non c’erano davvero prove che dimostrassero che il blocco totale fosse una strategia migliore.
In realtà, siamo riusciti a mantenere sempre piuttosto basso l’aumento dei casi e non abbiamo avuto i drammatici afflussi alle terapie intensive che hanno fronteggiato in particolare il Regno Unito, ma anche i Paesi Bassi e alcuni altri paesi. Siamo probabilmente riusciti a mantenere il numero di casi a un livello in cui il sistema è in grado di gestire la situazione.
All’inizio avevamo quella che chiamiamo “sindrome IKEA”, il che significa che il nostro sistema sanitario dipendeva molto dalle catene di approvvigionamento just-in-time. Molti ospedali ricevevano anche rifornimenti più volte al giorno e non esistevano scorte sufficienti da nessuna parte. Tutto era sempre “in arrivo” dal produttore all’utente. Questa situazione ha causato molti problemi inutili agli operatori sanitari.
I rifornimenti arrivavano, ma di solito molto, molto tardi, e non si era mai sicuri che il giorno dopo ce ne sarebbero stati altri. C’era sempre l’equipaggiamento protettivo, ma questa lotta costante per impadronirsi di altri dispositivi, penso, tormentava davvero le persone. Non è ancora completamente sotto controllo, ma ora va molto meglio: pochissimi ospedali, ormai, segnalano la mancanza di rifornimenti.
Durante il nostro lockdown “adattato”, la Svezia ha aumentato la sua capacità di terapia intensiva [le unità di terapia intensiva] al livello in cui ci sono sempre almeno il 20 per cento dei letti liberi in un dato momento. E poi si è cercato in tutti i modi di non ospedalizzare.
È vero che l’immunità di gregge è stata più lenta del previsto, per diversi motivi. Le popolazioni che abbiamo testato probabilmente non sono granchè rappresentative dei pazienti nel loro complesso perchè abbiamo raggiunto solo persone che contattano i centri di assistenza di base.
Quando effettuiamo test in aziende o a chi lavora negli ospedali, vediamo livelli di immunità molto più elevati. Quindi ora stiamo cercando di mettere insieme questo puzzle da diverse fonti di dati. Il problema con questa malattia è che la diffusione sembra essere molto irregolare. Alcuni luoghi di lavoro in Svezia hanno un’immunità dello 0,5 per cento; altri luoghi di lavoro presentano un’immunità del 20 per cento. Quindi è necessario testare molte persone.
Questa irregolarità nel virus è davvero un problema, perché rende difficile controllarlo, misurarlo e comprenderlo. Di recente, c’è stata un’epidemia nelle miniere nel nord [a Gällivare, nel giugno 2020] perché molte persone si sono raccolte in un unico luogo. Quindi ritengo che dobbiamo essere preparati a fronteggiare questi focolai locali, essere all’erta e risolvere le situazioni di crisi locale rapidamente.
In una certa misura, migranti e rifugiati sono stati i più colpiti dalla pandemia. L’affollamento è una delle ragioni in quanto tendono a lavorare in attività a stretto contatto. Quindi non è un problema di etnia in quanto tale. Facciamo sicuramente in modo che le informazioni siano disponibili in tutte le lingue delle persone che vengono a vivere in Svezia in questi giorni e abbiamo stretti legami con le diverse comunità attraverso chi vi appartiene.
Ancora non vediamo, in questa fase, la necessità per tutti di indossare una mascherina sulla base delle conoscenze diffuse finora. Voglio dire, stiamo esaminando tutti i dati in arrivo. Potrebbe essere utile l’obbligo delle mascherine facciali in alcune situazioni, ma è molto difficile stabilire l’effetto di una misura simile per tutta la popolazione.
È difficile sapere cosa riserva il lungo periodo, perché quando lasci le persone del tutto libere, non hai garanzie assolute sul risultato che ottieni. Per questa ragione, il nostro modello non chiede cambiamenti drastici nelle abitudini di vita. Per molti dei paesi che si stanno aprendo tutte le attività ora, capire come fermarsi al giusto livello sarà la grande sfida. Non sono sicuro che assisteremo a una seconda ondata classica, come nel 1918. Penso che vedremo più focolai locali come quello di Gällivare.
Immagine: Stoccolma. Anna Hunko / Unsplash
(rp)