I matematici si trovano di fronte a due alternative di pari peso durante la creazione di modelli per la distribuzione dei vaccini: prevenire i decessi o rallentare la trasmissione del virus?
di Jill Neimark
Se il libro della natura è scritto nel linguaggio della matematica, come disse Galileo, la pandemia di covid-19 ha attualizzato questa verità per i matematici del mondo, che sono stati chiamati in causa dalla rapida diffusione del coronavirus. Finora il loro ruolo è stato centrale per rispondere a una serie di domande: quanto è contagioso il nuovo coronavirus, qual è la distanza tra una persona e l’altra, per quanto tempo una persona infetta è contagiosa, come un singolo ceppo si è diffuso dall’Europa a New York ed è poi esploso in tutta l’America e infine che tipo di interventi per “appiattire la curva” e salvare centinaia di migliaia di vite. La modellazione ha anche aiutato a persuadere i Center for Disease Control and Prevention che il virus può essere trasportato dall’aria e trasmesso da aerosol che rimangono sospesi per ore.
Al momento molti sono alle prese con un’area di ricerca particolarmente urgente e spinosa: modellare il lancio ottimale di un vaccino. Poiché la fornitura di vaccini sarà inizialmente limitata, le decisioni su chi riceve le prime dosi potrebbero salvare decine di migliaia di vite. Questo è fondamentale ora che i primi risultati promettenti stanno arrivando dai candidati vaccini, uno di Pfizer e BioNTech e l’altro di Moderna, per i quali le aziende stanno richiedendo l’autorizzazione di emergenza dalla Food and Drug Administration.
Ma capire come allocare i vaccini – ce ne sono quasi 50 in fase di studi clinici sugli esseri umani – ai gruppi giusti al momento giusto è “un problema molto complesso”, afferma Eva Lee, direttrice del Center for Operations Research in Medicine and Health Care del Georgia Institute of Technology. Lee ha modellato strategie di dispensazione per vaccini e forniture mediche per Zika, Ebola e l’influenza e ora sta lavorando al covid-19. Il coronavirus è “altamente contagioso e molto più mortale dell’influenza”, ella dice. “Non siamo mai stati sfidati in questo modo da un virus”.
Howard Forman, un professore di sanità pubblica dell’Università di Yale, dice che l’ultima volta che abbiamo fatto “vaccinazioni di massa con vaccini completamente nuovi” è stato con il vaiolo e la poliomielite. “Stiamo entrando in un’area a noi sconosciuta. Tutti gli altri vaccini degli ultimi decenni sono stati testati per anni o sono stati introdotti molto lentamente”, egli spiega.
Poiché il covid-19 è particolarmente letale per gli over 65 e per coloro che hanno altri problemi di salute come obesità, diabete o asma, e tuttavia si diffonde rapidamente e ampiamente tra i giovani adulti sani che hanno maggiori probabilità di riprendersi, i matematici devono affrontare due conflitti priorità nella modellazione per i vaccini: prevenire i decessi o rallentare la trasmissione?
Il consenso tra la maggior parte dei creatori di modelli è che se l’obiettivo principale è ridurre i tassi di mortalità, i funzionari devono dare la priorità alla vaccinazione di coloro che sono più anziani e, se vogliono rallentare la trasmissione, devono prendere di mira i giovani adulti. “In realtà, qualsiasi cosa si fa, la risposta è identica”, sostiene l’epidemiologo di Harvard Marc Lipsitch. Uno studio recente ha modellato la probabile diffusione del covid-19 in sei paesi (Stati Uniti, India, Spagna, Zimbabwe, Brasile e Belgio) e ha concluso che se l’obiettivo principale è ridurre i tassi di mortalità, gli adulti oltre i 60 anni dovrebbero avere la priorità per la vaccinazione.
Lo studio, che vede tra i suoi cui autori lo stesso Lipsitch, Daniel Larremore e Kate Bubar dell’Università del Colorado, a Boulder, è stato pubblicato come prestampa, il che significa che non è stato ancora sottoposto a peer review. Ovviamente, quando si considera l’enorme impatto del covid-19 sulle minoranze – specialmente le comunità nere e latine – entrano in gioco ulteriori considerazioni per la definizione delle priorità.
La maggior parte dei modellisti concorda sul fatto che “con il coronavirus tutto sta cambiando alla velocità della luce”, come ha scritto in una e-mail l’esperta di matematica applicata Laura Matrait, ricercatrice associata al Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle. Ciò include la nostra comprensione di come il virus si diffonde, di come attacca l’organismo, di come avere un’altra malattia contemporaneamente potrebbe aumentare il rischio e di cosa porta a eventi di superdiffusione.
Finora, la ricerca ha prodotto alcuni risultati sorprendenti. Mentre i bambini sono generalmente i primi a ricevere il vaccino antinfluenzale, per esempio, gli esperti dicono che i giovanissimi dovrebbero avere una priorità inferiore per i vaccini per il covid-19 negli Stati Uniti, perché finora i giovani adulti sono stati i principali motori della trasmissione (questo non è necessariamente vero in tutto il mondo; in India, per esempio, dove più generazioni spesso vivono insieme in spazi più piccoli, una nuova ricerca mostra che i bambini e i giovani adulti stanno diffondendo gran parte del virus nei due stati studiati).
Diversi modelli suggeriscono, inoltre, che è possibile compiere progressi significativi contro la pandemia anche con una minore diffusione di un vaccino solo parzialmente efficace. E molti altri sottolineano l’importanza dell’infezione a livello locale e dei tassi di trasmissione. Secondo Lee, le cui prime valutazioni sull’origine, la virulenza e la probabile traiettoria globale della pandemia si sono dimostrate particolarmente accurate, New York potrebbe potenzialmente contenere il virus se circa il 40 per cento della popolazione fosse vaccinato, perché la trasmissione locale del virus è piuttosto bassa (un tasso di positività di poco inferiore al 3 per cento al 16 novembre) e circa il 20 per cento degli abitanti è già stato infettato.
“Maggiore è la percentuale di persone nella popolazione che hanno già anticorpi, maggiori sono le possibilità di intervento”, dice Larremore, perché si può dare la priorità alla somministrazione di vaccini a coloro che non hanno anticorpi. Questi studi sono importanti perché “non ci saranno mai abbastanza vaccini per l’intera popolazione”, spiega Lee, e non tutti gli americani lo riceveranno. In effetti, l’Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente previsto che i giovani adulti sani potrebbero non essere nemmeno in grado di ottenere un vaccino fino al 2022, dopo che gli anziani, gli operatori sanitari e altri gruppi ad alto rischio saranno stati vaccinati.
Come si crea un modello
Per costruire modelli sulla distribuzione dei vaccini, i matematici devono definire formule che riflettano le complesse interazioni tra persone, utilizzando dati come abitazione e stato socioeconomico, abitudini quotidiane, età e rischi per la salute. Ma prima stabiliscono quanto sia contagioso il virus: il suo tasso di riproduzione o “R-zero”. Questo rappresenta il numero di persone a cui ci si può aspettare che una persona infetta trasmetta l’infezione.
Quando una determinata percentuale (a seconda dell’R-zero) di persone è immune (con la guarigione da un’infezione naturale, se ciò garantisce l’immunità, o attraverso la vaccinazione), l’immunità di gregge è stata raggiunta. Ciò significa che, sebbene possano ancora verificarsi piccoli focolai, la pandemia non decollerà di nuovo a livello globale. Dato l’R-zero della SARS-CoV-2, il virus che causa il covid-19, l’Organizzazione mondiale della sanità ha stimato che il 65-70 per cento della popolazione deve essere immune prima di poter raggiungere questo obiettivo. (Si veda grafico 1)
Il lancio di modelli di vaccini richiede calcoli complessi e, mentre i modelli per appiattire la curva della scorsa primavera hanno richiesto settimane per essere realizzati, i modelli di distribuzione del vaccino richiedono molti mesi. Ci sono innumerevoli sfide pratiche che i modellisti devono affrontare. Per prima cosa, molti dei vaccini attualmente in cantiere, compresi i due candidati di Pfizer e BioNTech e Moderna, richiedono due vaccinazioni, a diverse settimane di distanza, che coinvolgono registri e follow-up per garantire che le persone ricevano il richiamo, d’importanza vitale. E come ha osservato il “New York Times” alla fine di settembre, “le aziende potrebbero dover trasportare minuscole fiale di vetro per migliaia di chilometri mantenendole fredde come il Polo Sud nel cuore dell’inverno”.
C’è anche la questione dell’efficacia del vaccino. Un dato vaccino fornirà un’immunità duratura e in tutti i gruppi? O ridurrà principalmente la durata dell’infezione e i sintomi, il che sarebbe comunque di grande valore per diminuire la mortalità e la velocità di trasmissione? E se un vaccino fosse meno efficace tra gli anziani, come spesso accade? Al momento, i vaccini che utilizzano l’RNA messaggero (compresi quelli prodotti da Moderna e Pfizer e BioNTech) “sembrano ottenere buoni risultati con gli anziani”, secondo Kathleen Neuzil, direttrice del Center for Vaccine Development and Global Health presso la University of Maryland School of Medicine. Le analisi preliminari di entrambi i candidati vaccini mostrano che possono essere efficaci per oltre il 90 per cento.
Infine, c’è anche l’insidiosa questione di quanto tempo potrebbe durare l’immunità dopo l’infezione. Per alcuni virus, come il virus varicella-zoster che causa la varicella, l’immunità può durare per decenni. Per altri, come la famiglia dei coronavirus che include SARS-CoV-2 e il comune raffreddore, il virus ha un tasso di mutazione relativamente alto che può proteggere nuovi ceppi dall’azione dei nostri anticorpi. Questa incertezza è difficile da far rientrare con precisione nei modelli, quindi si assume, almeno per il momento, che chi ha avuto il covid sia immune.
Gli anziani devono avere la priorità
Matrajt, del Fred Hutchinson Cancer Center di Seattle, ricorda vividamente quanto sia stato difficile iniziare a costruire un modello di vaccinazione dal nulla quando, lo scorso aprile, ha iniziato a lavorarci con i colleghi. Insieme, i ricercatori hanno sviluppato algoritmi basati su circa 440 combinazioni di parametri, dalla trasmissione all’immunità, ai gruppi di età e alla mortalità. I loro computer hanno impiegato quasi 9.000 ore a eseguire equazioni e il loro modello, pubblicato ad agosto come prestampa, mostra che se all’inizio c’è solo una scarsa disponibilità di vaccino, gli anziani dovrebbero avere la priorità se l’obiettivo è quello di ridurre la mortalità.
Ma per i vaccini che sono efficaci almeno al 60 per cento, una volta che ce n’è abbastanza per coprire almeno la metà della popolazione, passare a individui sani di età compresa tra i 20 ei 50 anni e ai bambini ridurrebbe al minimo gli eventi infausti. Il modello prevede anche quanti decessi possono essere evitati con diverse quantità di copertura vaccinale. Per esempio, se il 20 per cento della popolazione è già stata infettata ed è immune, i decessi potrebbero essere dimezzati vaccinando solo il 35 per cento del resto della popolazione, sempre che il vaccino sia efficace almeno al 50 per cento.
Nel modello di Matrajt e dei suoi colleghi, l’immunità di gregge viene raggiunta una volta che il 60 per cento della popolazione è immune. “È del tutto normale che modelli diversi forniscano numeri diversi”, ella chiarisce, per spiegare perché la sua stima varia leggermente dalla cifra dell’OMS del 65 per cento.
Il modello fa “un ottimo lavoro esaminando un gran numero di casi possibili”, afferma Michael Springborn, un
economista che si occupa di ambiente e risorse presso l’Università della California, a Davis, che ha appena definito il suo modello con Jack Buckner, un collega della UC Davis e Gerardo Chowell, un epidemiologo matematico della Georgia State University. Il loro studio, pubblicato in prestampa, indica anche le potenzialità di un attento targeting iniziale nel ridurre le morti. I modelli suggeriscono che anche un vaccino parzialmente efficace somministrato solo a una parte della popolazione “può fare davvero molto per ridurre le infezioni e decessi”, sostiene Springborn. (Si vedano grafici 2 e 3).
L’ipotesi di Lee, creata con un software sviluppato per la prima volta nel 2003, in collaborazione con il CDC, per l’erogazione di scorte in caso di catastrofi naturali e pandemie, analizza come la malattia potrebbe essere contenuta in aree con tassi di infezione diversi e inizialmente scarse forniture di vaccini. A New York City, che è stata colpita così duramente in primavera, il suo modello prevede che circa il 60 per cento della popolazione potrebbe aver bisogno dell’immunità per contenere la pandemia.
Supponendo che il 20 per cento sia già infetto, circa il 40 per cento dovrebbe essere vaccinato. A San Diego, tuttavia, dove i tassi di infezione sono stati inferiori, il modello di Lee suggerisce che il 65 per cento dovrà raggiungere l’immunità attraverso l’infezione o la vaccinazione. A Houston, la cifra può raggiungere il 73 per cento perché l’infezione si è propagata a “lenta combustione” e a causa delle grandi e vulnerabili popolazioni latinoamericane e afro-americane, che sono esposte a rischi sproporzionati.
Lee avverte che questi risultati non significano che sarà possibile andare a una partita di football a Houston o a uno spettacolo di Broadway a New York, ma che con le precauzioni attuali, il virus potrebbe essere contenuto con le percentuali fornite nei suoi modelli, fino a quando non aumenteranno le dosi di vaccino. Sebbene i risultati siano diversi, la maggior parte dei modelli concorda sul fatto che alcuni fattori sono critici, in particolare il gruppo di età, che modifica il rischio di contrarre, diffondere e morire a causa di un virus.
La diffusione dei virus non è sempre prevedibile: l’influenza suina, per esempio, ha risparmiato in una certa misura gli anziani, mentre la SARS-CoV-2 ha gravemente colpito gli over 65. Gli adulti di età pari o superiore a 65 anni costituiscono il 16 per cento della popolazione degli Stati Uniti, ma rappresentano circa l’80 per cento dei morti per covid.
Inoltre, l’età influenza indirettamente i modelli di trasmissione. Nel 2009, Alison Galvani e Jan Medlock, due epidemiologhi di Yale, hanno pubblicato un modello matematico su “Science”, in cui si dimostra che indirizzare i vaccini antinfluenzali a bambini e giovani adulti (oltre agli anziani) avrebbe potuto ridurre le infezioni da influenza suina da 59 milioni a 44 milioni e, per l’influenza stagionale, si sarebbe potuti passare da 83 milioni di infezioni a 44 milioni. I bambini, si scopre, esercitano un ruolo trainante nella trasmissione dell’influenza e proteggerli rappresenta una forma di difesa per tutta la società.
Lo studio, e altri simili, hanno ispirato un cambiamento nella politica del CDC sulla priorità alla vaccinazione dei bambini. “È stata una rivoluzione nel modo in cui pensiamo ai vaccini”, afferma Larremore. I modelli di vaccinazione ora considerano di routine il potere della protezione indiretta dei più vulnerabili, vaccinando i maggiori responsabili della diffusione. L’età si interseca anche, in modi complessi, con la connettività sociale in diverse regioni. Per esempio, le comunità afro-americane e latine negli Stati Uniti sono state colpite in modo sproporzionato dal covid-19, in parte a causa della prevalenza di più generazioni che convivono, nel senso che gli individui più anziani sono molto più esposti ai giovani adulti probabili diffusori di infezione.
L’importanza della rete di rapporti sociali
La modellazione della connettività richiede il disegno di griglie che rappresentino il modo in cui viviamo e ci spostiamo. Nel 2008, una ricerca di valore storico ha definito una griglia che gli epidemiologi usano ancora oggi ovunque. Ha stratificato le persone in gruppi in base all’età, da 0 a 70 anni e oltre. Nello studio, più di 7.000 persone hanno tenuto un diario dei loro contatti giornalieri (quasi 98.000), che sono stati suddivisi per luogo (casa, scuola, lavoro, tempo libero) e per natura (fisica o non fisica, durata).
Il modello ha rilevato che la fascia di età compresa tra i 5 e i 19 anni accusa la più alta incidenza di infezione quando un nuovo agente patogeno inizia a diffondersi in una popolazione non esposta mai in precedenza, forse a causa del loro contatto più frequente e fisico con gli altri. Ha anche mostrato quanto profondamente le reti di connessione di una società influenzino la trasmissione.
Il modello è stato ampliato a livello globale nel 2017, con i tassi di contatto registrati in 152 paesi. “È il paradigma che usiamo tutti”, spiega Matrajt, “perché è il modello migliore che abbiamo per identificare il modo in cui le persone si contattano tra loro”. Per esempio, “se i bambini sono davvero i fulcri intorno ai quali si muove la società”, dice Larremore, “vaccinandoli per primi si frammenta la rete di trasmissione”.
Il distanziamento sociale della scorsa primavera ha drasticamente alterato l’input nel tipico modello di trasmissione, dice Springborn. I dati dell’Institute for Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington mostrano il potere del distanziamento sociale nel ridurre la trasmissione. Le griglie di contatto in studi precedenti provengono “da tempi pre-pandemici”, ha scritto Springborn in un’e-mail. “Ci aspettiamo che l’allontanamento sociale si attenui con la diminuzione del numero di infezioni”. In effetti, sostiene Lee, se le persone rispettassero al 90 per cento le regole sulle mascherine per il viso e sul distanziamento sociale, potremmo già da ora contenere il virus senza un vaccino.
Nello studio di Springborn, Buckner e Chowell, il distanziamento sociale è modellato creando categorie stratificate per età sia per i lavoratori essenziali sia per quelli non essenziali. I lavoratori essenziali – operatori sanitari, operatori del settore alimentare e molti insegnanti, tra gli altri – sono ad alto rischio di contagio perché non possono praticare il distanziamento sociale.
Questo modello rileva che i decessi, così come il totale degli anni di vita persi, diminuiscono drasticamente quando viene data la priorità ai lavoratori essenziali nel ricevere il vaccino. I lavoratori più anziani essenziali tra i 40 e i 59 anni dovrebbero avere la priorità se l’obiettivo è ridurre al minimo i decessi, sostengono gli autori.
Senza vaccino, circa 179.000 persone potrebbero morire nei primi sei mesi del 2021, afferma Springborn. Il modello del suo team suggerisce che i decessi potrebbero scendere a circa 88.000 se un vaccino fosse introdotto gradualmente, somministrandolo al 10 per cento della popolazione ogni mese e distribuendolo in modo uniforme, senza dare la priorità a nessun gruppo. Ma la circolazione mirata dei vaccini, in base all’età delle persone e al fatto che siano lavoratori essenziali, potrebbe salvare altre 7.000 o 37.000 vite, a seconda della situazione.
Esistono più metodi per sfruttare la connettività sociale oltre ai diari e ai dati dei telefoni cellulari. Il censimento e altri dati riflettono l’età, la professione e lo stato socioeconomico e Lee include queste informazioni nei suoi modelli. “Il codice postale fornisce una quantità enorme di informazioni”, egli afferma. I dati sanitari sulla prevalenza della malattia e sui ricoveri possono rivelare le altre malattie non correlate che i pazienti covid-19 hanno, nonché le vulnerabilità in una data area.
Anche le informazioni sul tipo di abitazione, siano essi grattacieli o case unifamiliari, possono fornire un indizio di quanto le persone sono raggruppate e di quanto è probabile che interagiscano. L’inserimento di questo tipo di dati consente l’implementazione di un vaccino sensibile alle situazioni locali. Lee sostiene di aver bisogno di modellare circa 500 città rappresentative negli Stati Uniti per coprire il paese in modo accurato.
L’etica è importante quanto i modelli
Per quanto potenti possano essere i modelli, rimangono una guida imperfetta. Inevitabilmente si intersecano con profonde e vaste preoccupazioni di ordine sociale. La pandemia ha colpito soprattutto le minoranze e chi ha bassi redditi. Per questo motivo, vari gruppi stanno esaminando i principi etici che dovrebbero inquadrare l’allocazione dei vaccini, secondo Hanna Nohynek, vice responsabile dell’Infectious Diseases Control and Vaccinations Unit del Finnish Institute for Health and Welfare e membro del gruppo di lavoro sui vaccini del SAGE dell’OMS.
Negli Stati Uniti, le Accademie nazionali di scienze, ingegneria e medicina hanno iniziato a creare modelli della distribuzione equa di un vaccino. Inoltre, sono emersi altri due importanti studi, uno associato alla University of Pennsylvania School of Medicine e l’altro alla Johns Hopkins University. Entrambi sono guidati da preoccupazioni sull’etica, l’equità, la massimizzazione dei benefici, la creazione di fiducia e il bene pubblico.
Ma costruire un clima di fiducia può essere difficile nella pratica. Per esempio, è ampiamente riconosciuto che i neri hanno subito ricoveri e decessi a tassi sproporzionatamente alti rispetto ai bianchi. Tuttavia, quando gli esperti di etica iniziano a parlare di dare la priorità ai neri per i vaccini, può essere percepito come l’intento di sperimentare su di loro esponendoli a un rischio maggiore. Se c’è diffidenza tra gli afroamericani, è una reazione logica a “una storia secolare di abusi in ambito medico sulla popolazione afro-americana”, dice l’esperta di etica medica Harriet Washington, autrice di Medical Apartheid.
In definitiva, sia i modelli etici che quelli matematici devono confrontarsi con la realtà. “Non è un lavoro semplice perché la matematica essenzialmente si riduce a un calcolo di vantaggi e svantaggi”, afferma Lipsitch, l’epidemiologo di Harvard. Tuttavia, afferma Larremore, i modelli faranno da punto di riferimento nei giorni difficili.
Jill Neimark ha scritto su “Discover”, “Scientific American”, “Science”, “Nautilus”, “Aeon”, “NPR”, “Quartz”, “Psychology Today” e “New York Times”. Il suo ultimo libro è The Hugging Tree.
immagine di: Getty / MIT Technology Review
(rp)