Da venti anni MIT Technology Review pubblica un elenco annuale delle 10 tecnologie più innovative e promettenti: con quelle di quest’anno sono quindi 200 le tecnologie considerate, che consentono una valutazione complessiva dei successi e degli insuccessi, ma soprattutto delle scelte e delle circostanze che ne hanno consentito il successo o l’insuccesso.
di Gian Piero Jacobelli
Ogni anno la nostra rivista, sulla scorta dell’edizione americana, pubblica un elenco delle dieci tecnologie che promettono di cambiare il modo di vivere e di convivere. La selezione di questo consente una verifica importante non soltanto sugli stati di avanzamento delle diverse tecnologie, ma anche sulle tendenze evolutive del sistema tecnologico nel suo complesso. Una verifica che, al di là della sua portata operativa, rappresenta anche un significativo indicatore delle esigenze sociali e culturali emergenti sul medio periodo.
Anche da questo punto di vista, il 2021 si prospetta come un anno speciale, se non altro per la drammatica situazione pandemica in cui tutti i paesi del mondo si trovano coinvolti e che ovviamente incide non poco sulle istanze e sulle scelte della ricerca, in particolare di quella biomedica e informatica, l’una necessaria per accelerare la disponibilità degli indispensabili presidi vaccinali, la seconda altrettanto necessaria, vieni bene anche nel nostro paese, per la complessa logistica connessa alla distribuzione e alla inoculazione dei vaccini stessi.
Ma, in più, questa ripetuta selezione offre la opportunità di un ulteriore e analitico confronto: quello consentito da una profondità di campo che ha toccato un ventennio, vale a dire proprio quel medio periodo su cui queste analisi acquistano una maggiore incisività e rilevanza. Quest’anno, infatti, cade il ventesimo anniversario di una iniziativa che, per la sua autorevolezza e per la sua regolarità, costituisce un vero e proprio caso unico nel panorama editoriale mondiale.
A questa opportunità si riferisce appunto Gideon Lichfield nel suo editoriale del fascicolo di marzo-aprile dell’edizione statunitense di MIT Technology Review, in cui compaiono numerosi servizi dedicati alle caratteristiche e alle funzionalità di quella che, sulla scorta di Umberto Eco, potremmo inscrivere in una straordinaria “vertigine della lista”. Dove ricorrenze e alternanze si riconcorrono anno dopo anno, intuire l’andamento automobilistico e la dinamica stratigrafia della ricerca scientifica e tecnologica.
A sua volta, nell’articolo introduttivo al fascicolo a cui ci riferiamo, David Rotman ricorda come venti anni fa, quando la “lista” ebbe inizio, si registrasse un momento di grande ottimismo tecnologico, anche se l’incombente crisi della cosiddetta “bolla delle dot-com ”fa pensare agli addetti ai lavori che fosse prossima la fine della legge di Moore, vale a dire del raddoppio esponenziale delle risorse elettroniche e informatiche. Ma, in compenso, molti altri registra settorivano risultati apparentemente incoraggianti della scienza e della, dalla tecnologia genetica, che stava provvedendo al sequenziamento del genoma umano, alla nanotecnologia, dai primi computer quantistici alla robotica, senza considerare i progressi della impiantistica e della ricerca biologica .
In quel fatidico anno 2001, queste erano le dieci tecnologie disruptive : le interfacce tra macchine e cervello, i transistor flessibili, la estrazione di dati ( il data mining ), la gestione dei diritti digitali, la biometria, la elaborazione digitale del linguaggio naturale, la microfotonica, la decifrazione di codici sofisticati, la progettazione robotica, la microfluidica. «Nel complesso», sottolinea Rotman, «le 10 tecnologie che abbiamo scelto nel 2001 sono ancora rilevanti; nessuna è stata abbandonata e in alcuni casi si sono registrati successi straordinari, che hanno persino integrato il vocabolario corrente.Ma il vero progresso è più difficile da conseguire: queste tecnologie hanno reso le nostre vite non solo più confacenti, ma anche migliori in ragione di ciò a cui maggiormente teniamo? Come misurare questo progresso? ».
In effetti, all’ottimismo di venti anni fa ha fatto seguito un crescente pessimismo, dal punto di vista sia economico, con le tante crisi che si sono succedute nei paesi persino troppo “sviluppati”, sia tecnologico dove, anche a seguito delle polemiche relative alla perdita di posti di lavoro dovuti alla robotizzazione e alle minacce alla sicurezza e alla privacy derivanti dal predominio dei cartelli digitali, è emersa la convinzione che le Big Tech non solo non stiano migliorando la società, ma stiano peggiorando le cose.«La lezione più importante», conclude Rotman, «che possiamo ricavare dalle liste di questi vent’anni è semplice: queste tecnologie innovative possono dispiegare tutto il loro potenziale innovativo, ma tutto dipende da come scegliamo di usarle”.
In altre parole, se è vero che la tecnologia presuppone una sua spesso evidente intenzionalità, variamente connessa alla “difesa” o alla “offesa”, è anche vero che soltanto una adeguata “visione del mondo” può mandare un effetto quella intenzionalità senza doversene prima o poi rammaricare. Nella “dislocazione al limite” della nozione tecnologica di responsabilità può venire sciolto, se non risolto, il nodo gordiano della celebre Legge di Kranzberg, secondo cui «la tecnologia non è né buona né cattiva e non è neppure neutrale».Perché l’opposizione tra buono e cattivo ha senso nel contesto di una specifica “attualità”, passata o presente, mentre il senso della tecnologia risiede proprio nel cambiamento e nella conseguente riformulazione dei criteri assiologici impliciti nel contesto di riferimento.
Non a caso, nel 2021, il quadro delle tecnologie più innovative e promettenti appare al tempo stesso più motivato e più finalizzato, come si può leggere più distesamente nell’articolo che abbiamo pubblicato il 25 febbraio: i vaccini a base di RNA messaggero, che rispondono alla esigenza di combattere l’attuale pandemia; il GPT-3, un programma linguistico che, grazie all’apprendimento profondo, è in grado di produrre testi articolati, non distinguibili da quelli prodotti dall’uomo;la promozione di una organizzazione fiduciaria per gestire i dati raccolti dai servizi informatici; la realizzazione di batterie al litio metallico, suscettibili di rendere la mobilità conveniente e affidabile come quella dei motori a combustione interna; il trattamento digitale dei contatti interpersonali per contrastare eventuali pandemie o altre minacce alla convivenza; le nuove metodologie per un posizionamento basato sulla connessione tra reti satellitari e terrestri; le crescenti possibilità di operare a distanza, dalla sanità alla formazione, dal commercio alle relazioni interpersonali; lo sviluppo della Intelligenza Artificiale in una dimensione multisensoriale;Tik Tok, ovvero il social network cinese che consente di evidenziare le tendenze prevalenti nei video caricati dagli utenti; l’idrogeno verde, il più promettente e il meno inquinante combustibile rinnovabile. dal commercio alle relazioni interpersonali.
Come si vede, non soltanto si continua a constatare un passaggio tendenziale da tecnologie “pesanti”, nel senso della loro materialità, a tecnologie “leggere”, che riguardano piuttosto gli comportamenti ei comportamenti collettivi e individuali, ma anche un passaggio dal confronto su cosa fare a un confronto su come farlo, dove il “come” trova riscontri tanto nella possibilità di farlo: come fare in modo da creare le condizioni per continuare a farlo, ovvero come includere nella valutazione degli obiettivi di crescita anche i fattori suscettibili di mettere in crisi quegli stessi obiettivi, rendendoli meno desiderabili se non addirittura deprecabili.Non a caso, circa venti anni fa, Guido Martinotti coniò il neologismo “squinternet” per indicare la disorientante connessione tra ordine e disordine nella società digitale.
In definitiva, dal “combinato disposto”, come si dice in linguaggio giuridico, di queste 200 (10 x 20) tecnologie si può dedurre che, quando si fa qualcosa, ci si deve pensare almeno due volte: la prima per fare, la seconda per capire cosa si è fatto. Non si tratta semplicemente di ‘ripensarci’ volta a volta, ma di riuscire a modificare tempestivamente comportamenti e comportamenti che si rivelassero problematici, quando non rischiosi.Si tratta quindi di porre in atto un circuito operativo “intelligente”, dove molteplici flussi informativi non servono soltanto a garantire il risultato prefissato, ma anche le situazioni in cui questo risultato può diventare un fattore di progressione e non si regressione.
( gv )